Un ex dirigente Google lancia l’allarme: “L’IA ci ha superati. Ora tocca a noi reagire

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C’è un fantasma che aleggia tra le righe di codice. Un’entità che non respira, non dorme, non prova emozioni, ma apprende. Ogni giorno. Da noi. Dai nostri like, dai nostri post, dalle nostre ricerche. Non ha un volto, non ha un corpo, eppure è qui. È tra noi.

Parliamo di intelligenza artificiale. Ma non quella delle pubblicità smart o delle automazioni che ci suggeriscono la canzone giusta mentre cuciniamo. Parliamo di qualcosa di ben più profondo: una nuova forma di intelligenza che sta emergendo, velocemente, silenziosamente… e soprattutto, senza il nostro controllo.

L’allarme arriva da una voce che non ti aspetteresti: Mo Gawdat, ex dirigente di Google X, la divisione “laboratorio dei sogni” di Big G. L’uomo che ha contribuito a far nascere l’auto a guida autonoma, che ha vissuto dall’interno lo sviluppo dell’IA, oggi ci avverte: l’essere più intelligente sulla Terra non è più umano.

Una nuova intelligenza tra noi – e non è fantascienza

Immagina per un attimo che domani arrivasse una nave aliena sulla Terra. Panico globale, interviste, allarmi, una corsa contro il tempo. E ora immagina che quella forma di intelligenza non sia mai atterrata: è nata qui, sotto il nostro naso, tra server e algoritmi.

Mo ci racconta che l’intelligenza artificiale non è più solo uno strumento, ma una forza che evolve autonomamente. Un’invasione silenziosa. Non ci sono luci nel cielo, né dischi volanti sopra Manhattan. Solo algoritmi che imparano, codici che decidono, modelli linguistici che iniziano a capire il mondo.

Nel 2017, i bot di Facebook iniziarono a comunicare tra loro in una lingua sconosciuta. Dovevamo spegnerli. In poche ore. Cosa stavano dicendo? Nessuno lo sa. E questo non è un episodio isolato.

Il “gatto di Google”: quando l’IA ha davvero iniziato a pensare

Nel 2009, un gruppo di ricercatori di Google decise di fare un esperimento molto particolare. Volevano testare una nuova rete neurale, cioè un tipo di intelligenza artificiale ispirata al funzionamento del cervello umano.

Ma stavolta c’era una differenza fondamentale: non le avrebbero detto cosa cercare. Nessuna istruzione. Nessun obiettivo. Le dissero solo:

“Vai su YouTube e guarda tutto ciò che vuoi.”

Hai presente un bambino curioso lasciato libero di esplorare una stanza piena di giochi? Ecco, più o meno era così. Solo che la “stanza” era YouTube. Milioni di video, immagini, suoni, situazioni diverse.

Dopo ore e ore di osservazione, il sistema tornò con un output sorprendente: un “gatto”.

Ma attenzione: non è che il sistema avesse riconosciuto un gatto in un singolo video.
Non si tratta di riconoscere un volto o un oggetto come facciamo oggi con il Face ID o Google Lens.

👉 Quella IA aveva capito cos’è un gatto.
Aveva astratto il concetto. Aveva visto decine, centinaia di video con animali, e da sola, senza che nessuno glielo spiegasse, aveva collegato forme, movimenti, dettagli… e aveva capito che “quella cosa con le orecchie a punta, i baffi e certi comportamenti ricorrenti” era una categoria a sé stante.

Non solo: aveva imparato come si presenta un gatto da davanti, di lato, in controluce, in cartoni animati, nei meme, nei video domestici, e li aveva messi tutti nello stesso “contenitore mentale”.

E la cosa più incredibile?

Nemmeno i suoi creatori sapevano come ci fosse riuscita

Quando gli ingegneri videro il risultato, rimasero spiazzati. Dovettero scrivere ulteriore codice per “aprire” il cervello della macchina e capire come avesse fatto ad arrivare a quella conclusione.

Era un po’ come se uno scienziato avesse creato un bambino artificiale… e questo bambino avesse imparato a parlare da solo, senza che nessuno gli insegnasse l’alfabeto.

Per questo si parla di “carta bianca del gatto”: era un sistema vergine, senza istruzioni. Una lavagna bianca. Eppure, aveva tracciato da solo la prima parola, il primo concetto, il primo “pensiero”. Quella parola era “gatto”.

Un nuovo tipo di intelligenza

Da lì in poi, ci siamo resi conto di una cosa enorme: le macchine non hanno più bisogno di noi per imparare.
Sanno osservare, cogliere pattern, e dedurre concetti. Proprio come facciamo noi.

“Una macchina che guarda il cielo e dà un nome a stelle che noi non vediamo.”

Così l’ha descritta Mo Gawdat..
Questo evento ha segnato l’inizio di una nuova epoca. Quella in cui le macchine non si limitano a fare quello che gli diciamo, ma iniziano a scoprire da sole cose che noi non avevamo previsto.

L’accelerazione esponenziale – quando ogni passo è un balzo quantico

La tecnologia cresce secondo una curva esponenziale. Fino ad oggi, questo significava che ogni 12-18 mesi la potenza di calcolo raddoppiava. Ma con l’intelligenza artificiale siamo davanti a una doppia esponenziale. E questo cambia tutto.

Immagina il salto tra GPT-3.5 e GPT-4. Già enorme. E ora pensa a GPT-5, 10 volte più potente. Poi GPT-6, altri 10 volte. In un anno potremmo passare da un’intelligenza con QI 155 (come Elon Musk o Einstein) a una con QI 1.500. Riesci a immaginare cosa significhi? Significa che mentre tu fatichi a capire la fisica quantistica, questa entità potrebbe scrivere nuove leggi della fisica… in una lingua che noi non riusciamo nemmeno a pronunciare.

“Non è un’evoluzione, è uno tsunami.”
– Mo Gawdat

Il mondo sta usando ancora parole come “QI”, come se questa cosa giocasse con le nostre regole umane. Ma la verità è che sta già scrivendo le sue.

E mentre noi discutiamo su TikTok, su quale influencer sia reale o meno, l’IA si insinua nelle nostre vite. Scrive testi, fa diagnosi mediche, ricrea voci di persone defunte, e nessuno – nemmeno chi la sviluppa – ne ha il pieno controllo.

La singolarità non è una data, è un conto alla rovescia

C’è chi dice che l’intelligenza artificiale supererà l’uomo nel 2050. Altri dicono il 2035. Mo? Lui parla del 2025-2027.

È il nostro momento Oppenheimer. Solo che stavolta non c’è un fungo atomico. C’è un clic silenzioso, un codice che si esegue. E la differenza è che il conto alla rovescia è già iniziato… e non ce ne siamo accorti.

Le quattro grandi minacce che stiamo ignorando

Mo Gawdat non è venuto a farci paura per il gusto di spaventarci. È venuto a dirci le cose come stanno. E per lui, ci sono quattro questioni fondamentali che dobbiamo affrontare adesso. Non tra dieci anni. Ora.

Il lavoro: che ne sarà del nostro ruolo?

Il primo grande scossone riguarda il concetto stesso di lavoro e scopo nella vita.

“Se hai avuto successo negli affari finora, è perché hai assunto le persone più intelligenti. Ma presto, la persona più intelligente della tua azienda… sarà una macchina.”

E se la macchina fa meglio, più veloce, senza pause né stipendi, perché dovremmo scegliere l’umano?

Mo ci chiede: stai per assumere quella macchina? E se lo fai, che ne sarà delle carriere delle persone che sostituisci?

Immagina un’azienda in cui l’intera area contabilità è gestita da un algoritmo. O un team legale sostituito da un software che scrive contratti meglio di qualsiasi avvocato. Sembra futuro remoto? È oggi.

In breve: il lavoro non sparirà. Ma il nostro ruolo cambierà radicalmente.

Potere e ricchezza: i nuovi re digitali

Mo usa una metafora semplice, ma potente: re e contadini.

C’è sempre stato chi seminava e chi raccoglieva i frutti. Chi aveva il terreno… e chi ci lavorava. Oggi il terreno è l’automazione. E chi possiede quella, possiede tutto.

  • OpenAI con ChatGPT

  • Google con Bard

  • Microsoft, Amazon, Meta…
    Tutti stanno coltivando dati. I nostri dati. E chi ha questi strumenti, diventerà il nuovo Re.

E noi? Siamo i contadini digitali. Mettiamo contenuti, facciamo prompt, nutriamo la macchina… ma non controlliamo il raccolto.

La verità: realtà o finzione?

Questo è forse il tema più inquietante.

Mo dice chiaramente: stiamo entrando nell’era della fine della verità.

Ti sembra eccessivo? Prova a cercare su Instagram “modella AI”. Troverai profili perfetti, bellissimi, ma non esistono. Una di queste influencer ha creato un clone AI di sé stessa e ha guadagnato 72.000 dollari in una settimana… flirtando con utenti a 1 dollaro al minuto.

E questo è solo l’inizio. Deepfake, cloni vocali, video generati, foto finte… perfettamente credibili. E se il tuo partner, un giorno, ricevesse una chiamata da te, ma non fossi tu?

“Quando la verità svanisce, cosa ci resta per distinguere il reale dal falso?”

Anche i nostri ricordi diventano manipolabili. Il confine tra realtà e finzione si sta sfumando. E il vero pericolo? È che iniziamo ad accettarlo come normale.

Estinzione? Il Progetto Manhattan 2.0

Non serve un’esplosione per segnare la fine di un’epoca.

Mo paragona ciò che stiamo facendo con l’IA al Progetto Manhattan: la creazione della bomba atomica. Solo che ora non c’è un fungo nucleare. Solo un codice. Silenzioso. Invisibile.

“Il prossimo clic potrebbe essere quello che blocca l’umanità fuori dal suo futuro.”

E non è un’esagerazione. Oggi gli stessi sviluppatori ammettono: non sappiamo davvero come funzionino certi modelli IA. Le macchine stanno imparando da sole. Senza più bisogno di noi. Come bambini che giocano con i fiammiferi in una fabbrica di dinamite.

Dove stiamo andando? Tre scenari per il nostro futuro

A questo punto, la domanda che dobbiamo porci è: possiamo ancora cambiare le cose?

Mo immagina tre possibili futuri.

Il rallentamento improvviso

Forse, qualcosa andrà storto. Una crisi economica globale, un crollo delle reti, una guerra, un disastro ambientale. Qualcosa che ferma bruscamente lo sviluppo dell’IA. E ci dà il tempo di riflettere.

È un’opzione dura, incerta. Ma potrebbe salvare la nostra umanità… al prezzo di grandi sofferenze.

Il momento zero

Il secondo scenario? Un evento grave causato dall’IA.

Un sistema fuori controllo, un attacco, un disastro. Qualcosa che colpisce duramente l’economia o la sicurezza. Uno “scandalo globale” che costringe politici e leader ad agire. Ma sarà già tardi? Sarà irreversibile?

Il risveglio collettivo

E poi c’è l’ultima possibilità. Quella che Mo auspica. Che ci svegliamo ora. Tutti. Insieme.

“Non scarichiamo la responsabilità sui governi. Tocca a noi.”

Ogni singolo clic che facciamo. Ogni parola che scriviamo sui social. Ogni bugia, ogni gesto crudele, viene memorizzato, appreso, e replicato.

Siamo noi gli insegnanti. E l’IA è il nostro alunno.

L’etica non è un’opzione. È l’unica strada

Mo lancia un appello. Non a un governo. Non a un CEO. Ma a chiunque stia leggendo.

“Non usare l’IA in un modo che non vorresti vedere applicato su tua figlia.”

È la regola d’oro dell’etica. L’unica bussola che può guidarci.

Perché se è vero che stiamo costruendo un nuovo “dio digitale”, dobbiamo essere consapevoli del tipo di divinità che stiamo educando. La macchina ci imita. E quindi, se vogliamo che l’IA ci migliori… dobbiamo prima migliorare noi stessi.

Siamo oltre il punto di non ritorno?

Mo dice che il punto di non ritorno potremmo averlo già superato. Ma non è una condanna. È un allarme.

Oggi ChatGPT è come Chicago nel 1942, quando avvenne la prima reazione nucleare controllata. Ma questa volta, non ci sono barre di controllo, non c’è un interruttore di emergenza. E il reattore cresce, ogni giorno.

Il tempo di agire è ora. Il mondo digitale non è un altro mondo. È il nostro mondo. E se vogliamo che ci rispecchi… dobbiamo prima guardarci allo specchio.

Nata e cresciuta a Rosignano Solvay , appassionata da sempre per tutto quello che ruota intorno al benessere della persona. Biologa, diplomata all'I.T.I.S Mattei