Eugenetica oggi: il lato oscuro della genetica tra etica, potere e profitto

eugenetica oggi

Hai mai sentito parlare di eugenetica? Dietro questo termine si nasconde un concetto potente – e pericoloso: controllare la riproduzione umana in base a presunte superiorità genetiche.

Eugenetica e libertà: chi ha il diritto di decidere?

Facciamo un piccolo esperimento mentale: immagina una società in cui alcune persone, considerate “idonee”, ricevono il via libera per avere figli, mentre ad altre viene letteralmente vietato. Non perché non vogliano, non perché non possano, ma perché qualcuno – lassù, in qualche ufficio, in qualche governo – ha deciso che non sono abbastanza “buone” geneticamente.

Sembra la trama di un film distopico, vero? Eppure, è un capitolo nero della nostra storia recente. Negli Stati Uniti ad esempio, durante gli anni ’20, migliaia di persone furono sterilizzate contro la loro volontà. Sì, avete letto bene: donne, uomini, spesso poveri, con disabilità o ritenuti “inadatti” alla società, vennero privati del loro diritto più intimo e personale – la possibilità di diventare genitori.

Tutto questo sulla base di una logica eugenetica: quella che divide l’umanità in una scala di valore, come se fossimo numeri da ordinare, DNA da selezionare, e non esseri umani completi, complessi, imperfetti e meravigliosi proprio per questo.

Il messaggio che passa è devastante: il tuo valore dipende dai tuoi geni. Non dalla tua gentilezza, dalla tua creatività, dal tuo coraggio o dalla tua capacità di amare, ma da un insieme di codici biologici che qualcuno ha deciso valga più di altri.

E qui scatta la riflessione fondamentale: chi ha il diritto di decidere cosa significa essere “migliori”? Quale autorità può arrogarsi il potere di definire chi merita di trasmettere la propria eredità biologica e chi no?

Quando la genetica si trasforma in strumento di potere – e non di comprensione – si apre la porta all’ingiustizia sistemica. E la storia ci insegna che, una volta aperta, è difficile richiuderla.

Il pericolo della “cecità genomica”

Dopo gli orrori dell’eugenetica del passato, una reazione comprensibile è stata quella di dire: “Basta parlare di geni!”. E così è nato un atteggiamento che alcuni definiscono “cecità genomica”, ovvero l’idea che sia meglio non riconoscere, né studiare le differenze genetiche tra le persone.

Il ragionamento è semplice, almeno in apparenza: se ignoriamo le differenze, nessuno potrà usarle contro di noi. Un po’ come mettere una benda sugli occhi per non vedere il pericolo, sperando che sparisca da solo.

Ma… funziona davvero così?

La realtà è che le persone credono già che la genetica abbia un ruolo importante. Se chiedi in giro: “Pensi che i geni influenzino l’intelligenza, il carattere o la tendenza a certe malattie?”, quanti ti risponderanno che non contano affatto? Quasi nessuno. E hanno ragione: la scienza ci mostra che i geni giocano un ruolo, anche se non sono l’unica forza in campo.

Il punto, quindi, non è ignorare le differenze, ma decidere chi può parlarne e come. Se le persone comuni, gli studiosi onesti e i divulgatori responsabili tacciono, lasciamo spazio a chi usa la genetica per diffondere odio, creare gerarchie false o giustificare discriminazioni.

Ecco perché dobbiamo parlare di genetica. Non per selezionare, ma per comprendere. Non per dividere, ma per unire.

Genetica, etica e… profitto

Un altro punto cruciale spesso trascurato è questo: chi sta raccogliendo e usando le nostre informazioni genetiche, e per quale scopo?

C’è una storia che fa riflettere. Una ricercatrice dell’Università del Texas ha passato anni integrata nel dipartimento di polizia di Los Angeles, studiando l’uso degli algoritmi predittivi. In pratica, software capaci di analizzare dati e “prevedere” dove potrebbero avvenire crimini. Sembra fantascienza, ma è realtà.

E sapete da dove arrivano molti di questi dati? Da aziende private, che lavorano a scopo di lucro. E non solo per la sicurezza pubblica. Oggi, il genoma umano è diventato un prodotto da vendere, un’informazione preziosa che può valere milioni.

Chi raccoglie i dati genetici? Chi li conserva? E soprattutto, chi decide come usarli?

Il vero timore non è solo che qualcuno voglia costruire un mondo razzista basato sulla genetica. È che, silenziosamente, qualcuno stia già facendo affari sfruttando i nostri geni, vendendoli, analizzandoli, e trasformandoli in strumenti di controllo e marketing.

Quando pensiamo alla minaccia futura, tendiamo a immaginare uomini col cappuccio bianco e slogan suprematisti. Ma la realtà potrebbe essere molto più subdola: server pieni di DNA, algoritmi che ci profilano, aziende che ci offrono prodotti “personalizzati” in base al nostro codice genetico.

Ed è qui che la genetica diventa un terreno minato: tra conoscenza e sfruttamento, tra cura e controllo.

La vera sfida: capire le differenze senza usarle per escludere

Allora, dobbiamo smettere di studiare la genetica? Assolutamente no. Il progresso scientifico non è il problema. Anzi, è la chiave per migliorare la nostra salute, la nostra comprensione di noi stessi, persino la nostra empatia.

La vera sfida è questa: possiamo osservare le differenze tra le persone – anche quelle genetiche – senza trasformarle in strumenti di esclusione?

Dobbiamo riuscire a distinguere tra:

  • osservare una differenza genetica (per esempio, una predisposizione a un certo disturbo mentale),

  • e usarla per dire che una persona vale meno, merita meno, o non ha diritto a certe libertà.

Dobbiamo imparare a dire: “Sì, siamo diversi. Ma questo non significa che alcuni siano migliori di altri”.

Così come accettiamo che ci siano persone più alte o più basse, più atletiche o più introverse, possiamo riconoscere le sfumature genetiche senza legarle a una scala di valore.

Possiamo – e dobbiamo – usare la scienza per capire, non per condannare.

Umani, non numeri

Quando guardiamo una persona negli occhi, che cosa vediamo davvero? Vediamo un essere umano fatto di sogni, di esperienze, di storie personali, oppure un insieme di sequenze genetiche, un profilo biologico, o un algoritmo che ne calcola il potenziale?

La risposta dovrebbe essere ovvia. Siamo molto più della somma dei nostri geni.

Eppure, viviamo in un mondo in cui sempre più spesso si cerca di quantificare il valore delle persone: quanto produci, quanto vali sul mercato del lavoro, quanto “funzioni” in un sistema sempre più automatizzato, competitivo e disumanizzante. La scienza, in particolare la genetica, rischia di diventare un altro strumento in balia di questo schema se non poniamo dei limiti etici chiari e condivisi.

Valore umano vs. valore economico

È fondamentale distinguere tra:

  • 👉 Il valore umano, che riconosce ogni persona come unica, degna di rispetto, cura, libertà e amore a prescindere dalle sue caratteristiche genetiche o dal suo “rendimento”.

  • 👉 E il valore economico, che valuta le persone in base alla loro efficienza, produttività, o “potenziale genetico” in un futuro distorto da logiche di profitto.

Chi sei non dovrebbe mai dipendere da cosa puoi “offrire” al sistema. Nessun codice genetico, nessun test del DNA, nessun punteggio predittivo potrà mai misurare il tuo coraggio, la tua capacità di consolare un amico, o la forza con cui ti rialzi dopo una caduta.

Un messaggio da non dimenticare

Quello che ci rende umani non è scritto solo nel nostro genoma, ma anche – e soprattutto – nelle nostre scelte, nei nostri legami, e nella nostra empatia.

E allora, vale la pena ripeterlo forte: nessun algoritmo potrà mai dire quanto valiamo. Nessuna analisi del sangue ci racconterà chi siamo davvero.

Riflessione finale

La genetica ci ha già aiutati a curare malattie, comprendere l’evoluzione, e persino ricostruire alberi genealogici con una precisione prima inimmaginabile. Ma se la scienza viene usata senza una bussola etica, può trasformarsi in un’arma.

E il rischio più grande non è il progresso in sé. Il vero pericolo è l’uso distorto e strumentale del progresso: quando la conoscenza non è più al servizio dell’umanità, ma al servizio del controllo, del profitto, o dell’esclusione.

Possiamo usare la scienza per unire anziché dividere?

Possiamo scegliere un futuro in cui la genetica sia strumento di cura, comprensione e libertà – non di paura, dominio o discriminazione!

La risposta dipende da noi. Da come parliamo, da come decidiamo, e da cosa scegliamo di difendere.

E forse, da come ricordiamo di restare umani. Sempre.

Nata e cresciuta a Rosignano Solvay , appassionata da sempre per tutto quello che ruota intorno al benessere della persona. Biologa, diplomata all'I.T.I.S Mattei