Sei gradi di separazione: una teoria sorprendente che cambia la visione delle relazioni umane.

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Quante persone separano te da Barack Obama? O da un contadino in mongolia? La risposta potrebbe sorprenderti: solo sei. Questa è l’intuizione affascinante alla base del celebre esperimento “Small World” condotto da Stanley Milgram negli anni Sessanta.

Un’idea tanto semplice quanto sconvolgente, che ha rivoluzionato il nostro modo di vedere il mondo: la teoria dei sei gradi di separazione.

Ma cosa significa davvero essere “tutti connessi”? Quanto è solida questa teoria? E che implicazioni ha nella nostra vita quotidiana, oggi che siamo immersi nei social network e nella comunicazione istantanea?

Un esperimento che ha fatto la storia

Nel 1967, lo psicologo Stanley Milgram, già noto per i suoi studi sull’obbedienza all’autorità, lancia un nuovo esperimento sociale. L’obiettivo? Verificare empiricamente quanto siano brevi le catene sociali che ci connettono l’un l’altro negli Stati Uniti.

Come funzionava l’esperimento?

Milgram spedì centinaia di lettere a persone scelte casualmente in Nebraska e nel Kansas. A ciascun partecipante veniva chiesto di far arrivare la propria lettera a un preciso destinatario, un broker di Boston, ma non direttamente: dovevano inviarla a una persona che conoscevano personalmente, pensando che potesse essere più vicina, socialmente, al destinatario finale. Quella persona, a sua volta, avrebbe fatto lo stesso.

Il risultato? In media, ci volevano sei passaggi affinché la lettera raggiungesse il suo obiettivo. Sei gradi di separazione. Sei strette di mano simboliche tra due perfetti sconosciuti.

Dietro le quinte: cosa ci dice questo esperimento?

L’esperimento di Milgram non dimostra che tutti siamo sempre a sei gradi di distanza — anzi, molte lettere non arrivarono mai a destinazione — ma ha aperto un dibattito straordinario sulla struttura nascosta delle relazioni umane.

In realtà, l’idea di una “rete mondiale” interconnessa era già nell’aria. Il matematico Frigyes Karinthy, negli anni ’20, aveva teorizzato un concetto simile nella sua novella Catene, immaginando che qualsiasi persona sulla Terra potesse essere collegata a un’altra attraverso una catena di non più di cinque intermediari. Milgram ha avuto il merito di trasformare questa suggestione letteraria in un test empirico.

Il potere delle reti sociali

Da allora, l’idea dei sei gradi di separazione è diventata un pilastro della teoria delle reti. Gli studiosi hanno scoperto che i sistemi sociali, biologici e tecnologici non sono reti casuali, ma seguono schemi ben precisi: sono reti “a piccoli mondi”, caratterizzate da:

  • Alta coesione locale: gli amici dei miei amici sono spesso anche miei amici.

  • Bassa distanza globale: servono pochi passaggi per raggiungere qualsiasi nodo della rete.

Questo tipo di struttura si trova ovunque: nei collegamenti tra le pagine di Wikipedia, nelle reti neurali del cervello, nei sistemi di distribuzione dell’energia, e naturalmente… nei social network.

E oggi? Il mondo si è ancora più ristretto

Con l’arrivo di Internet, il concetto di “piccolo mondo” ha preso una piega ancora più radicale. Facebook, nel 2016, ha condotto un proprio studio su scala globale, usando dati reali: il numero medio di connessioni tra due utenti sulla piattaforma era di appena 3,57.

Questo significa che la distanza sociale si è ulteriormente accorciata. L’effetto è paradossale: il mondo sembra sempre più grande, eppure si restringe ogni giorno nelle nostre tasche, tra le nostre dita, e nei nostri scroll infiniti.

Ma è davvero un bene essere tutti connessi?

Essere così “vicini” può sembrare meraviglioso. Più empatia, più collaborazione, e più opportunità. Ma comporta anche nuove sfide:

  • Sovraccarico di informazioni: troppe connessioni possono generare rumore anziché comunicazione.

  • Disinformazione virale: bastano pochi gradi per diffondere bufale e propaganda.

  • Perdita dell’intimità: essere connessi a tutti rischia di rendere le relazioni più superficiali.

La connessione non è sempre relazione

A volte mi chiedo: se siamo davvero tutti a sei gradi di separazione, perché ci sentiamo così soli? Viviamo in un’epoca di iperconnessione ma anche di isolamento. Forse la tecnologia ha reso più facile la connessione, ma non necessariamente la relazione.

Essere in rete non basta. Servono profondità, ascolto, presenza. Servono legami autentici, non solo link. Come scrisse il filosofo Martin Buber, “tutto il reale è relazione”.

I sei gradi nella vita reale: esempi sorprendenti

  • Kevin Bacon e il gioco “Six Degrees of Kevin Bacon”, in cui ogni attore del cinema può essere collegato a lui attraverso meno di sei film: un esempio curioso e divertente del concetto.

  • LinkedIn: la piattaforma stessa mostra quanti gradi di separazione ci sono tra te e un altro professionista (1°, 2°, 3°…).

  • Networking professionale: molte opportunità di lavoro si concretizzano proprio grazie ai legami indiretti, attraverso quella “connessione debole” che non vedi ma che ti collega a ciò che cerchi.

In sintesi: cosa ci insegna il piccolo mondo?

Il mondo è più intrecciato di quanto pensiamo. Milgram, senza computer né social network, lo aveva già intuito. Oggi, la scienza delle reti ce lo conferma ogni giorno.

I punti chiave da ricordare:

  • L’esperimento di Milgram dimostra che in media bastano sei passaggi per collegare due sconosciuti.

  • Le reti umane non sono casuali: seguono logiche precise, spesso invisibili.

  • I social network hanno ridotto ulteriormente la distanza sociale.

  • Ma connessione non significa relazione: il vero legame resta umano.

E allora? In un mondo così piccolo, forse è il momento di smettere di sentirsi “isole” e iniziare a sentirci “ponti”. Perché in fondo, non siamo poi così lontani.

Nata e cresciuta a Rosignano Solvay , appassionata da sempre per tutto quello che ruota intorno al benessere della persona. Biologa, diplomata all'I.T.I.S Mattei