Quando la maschera cade: siamo tutti cattivi se messi alle strette?

siamo cattivi

Cosa accade quando la civiltà si sgretola? Quando le regole sociali si dissolvono come neve al sole? È una domanda inquietante, quasi scomoda, che però ci accompagna da sempre: gli esseri umani, se messi alle strette, sono tutti cattivi?

Non basta una risposta semplice. Serve esplorare, scavare nei meandri della psicologia, della storia e dell’istinto umano. Perché in fondo, chi può dirsi davvero certo di come reagirebbe nel buio di un collasso?

La maschera della civiltà

Viviamo sotto un sottile strato di ordine sociale. Le leggi, le convenzioni, e il rispetto reciproco sono come vernici su una parete: sembrano solide, ma basta un graffio profondo e sotto riaffiora la materia grezza.

Lo diceva bene Sigmund Freud in Il disagio della civiltà: l’uomo è costretto a reprimere i suoi impulsi più primitivi per vivere in società. Ma, in condizioni estreme, questa repressione cede.

Alcuni esempi storici lo dimostrano in modo brutale:

  • Durante le carestie, le persone hanno praticato il cannibalismo pur di sopravvivere (basti pensare alla spedizione Donner negli Stati Uniti nel 1846).

  • In tempo di guerra, individui normali diventano carnefici, come accadde durante il genocidio in Ruanda del 1994.

  • Nei disastri naturali, come l’uragano Katrina a New Orleans, sono esplosi episodi di saccheggio, violenza e anarchia.

E allora, forse il vero miracolo non è la cattiveria che emerge sotto pressione, ma il fatto che la maggior parte del tempo riusciamo a restare civilizzati.

Gli esperimenti psicologici che fanno rabbrividire

La scienza ha provato più volte a testare la “resistenza morale” dell’essere umano. I risultati? Agghiaccianti.

Alcuni tra i più celebri:

  • Esperimento di Milgram (1961): volontari comuni erano pronti a infliggere scosse elettriche mortali a sconosciuti semplicemente perché una figura autorevole glielo ordinava.

  • Esperimento della prigione di Stanford (1971): giovani studenti, divisi in “guardie” e “prigionieri”, hanno rapidamente adottato comportamenti sadici e violenti, tanto che l’esperimento fu interrotto dopo appena sei giorni.

Queste ricerche dimostrano che non è necessario essere “cattivi” di natura per compiere azioni malvagie. Basta creare un contesto adatto: paura, autorità, e deumanizzazione.

In fondo, come diceva il filosofo John Locke, “l’uomo è una tabula rasa”: non nasce buono o cattivo, ma il contesto scolpisce il suo comportamento.

La sopravvivenza

Quando la vita è in gioco, ogni maschera cade. L’istinto di sopravvivenza sovrasta ogni costruzione culturale.
Come direbbe Charles Darwin, “la sopravvivenza del più adatto” non riguarda solo la forza fisica, ma anche l’adattabilità… e talvolta l’adattabilità implica fare cose terribili.

In condizioni estreme l’essere umano può:

  • Mentire senza scrupoli

  • Tradire amici e familiari

  • Rubare beni vitali

  • Uccidere per proteggersi

Non perché sia “cattivo” in senso assoluto, ma perché il suo sistema di priorità viene radicalmente stravolto. Prima di tutto, occorre sopravvivere… Al resto ci pensiamo dopo.

Eppure… non tutto è perduto

Se tutto fosse solo una questione di brutalità latente, la civiltà non sarebbe mai nata. E invece vediamo anche esempi opposti: persone che, pur in condizioni disperate, scelgono l’altruismo, il sacrificio, e la solidarietà.

Durante la Seconda Guerra Mondiale, Schindler salvò centinaia di ebrei. Nei momenti peggiori della pandemia da Covid-19, medici e infermieri hanno rischiato la vita per sconosciuti.
La storia è anche piena di chi, pur “messo alle strette”, ha scelto il bene.

Quindi no, non siamo condannati alla cattiveria, ma dobbiamo sapere che il rischio è reale, sempre latente.
Come diceva C.G. Jung, “chi guarda fuori sogna, chi guarda dentro si sveglia”: conoscere il nostro lato oscuro è il primo passo per non diventarne schiavi.

Gli esseri umani possono preferire la morte alla crudeltà?

E qui arriva un’osservazione ancora più interessante: esistono anche esseri umani che, sotto pressione estrema, hanno preferito morire piuttosto che compiere atti crudeli o immorali.

Non è la reazione più frequente, ma è documentata. Vediamo alcuni esempi:

  • Ebrei durante l’Olocausto: molti scelsero il suicidio piuttosto che diventare complici dei nazisti. Alcuni si gettarono contro i recinti elettrificati nei campi di concentramento.

  • Esperimento di Milgram: circa il 35% dei partecipanti si rifiutò di infliggere danni, pur sotto forte pressione da parte dell’autorità.

  • I “giusti”: uomini e donne che, rischiando la propria vita, salvarono ebrei perseguitati, preferendo affrontare la morte piuttosto che cedere alla paura o all’egoismo.

  • L’esperimento del “Buon Samaritano” (Darley e Batson, 1973) studiava come il tempo influenzasse il comportamento altruistico. Alcuni seminaristi, pur essendo di fretta, si fermarono ad aiutare una persona sofferente incontrata per strada. Questo mostrò che, anche sotto pressione, l’altruismo può prevalere.

Questi episodi ci raccontano una verità potente: accanto all’istinto di sopravvivenza, dentro l’essere umano esiste anche un istinto morale, capace di resistere fino alla fine.

Come diceva Viktor Frankl, sopravvissuto ai campi di concentramento:

“A un uomo può essere tolto tutto, tranne una cosa: l’ultima delle libertà umane, la scelta del proprio atteggiamento in qualsiasi circostanza.”

Prima me o prima gli altri? Due pulsioni in lotta fra di loro

Quando il mondo intorno si frantuma e tutto sembra perduto, dentro di noi si accendono due impulsi opposti:

  • Prima me e poi gli altri: l’istinto di sopravvivenza ci spinge a pensare innanzitutto alla nostra salvezza.

  • Prima gli altri e poi me: l’istinto morale ci può portare a mettere il bene altrui sopra il nostro.

Ma quale dei due prevale? Dipende.

Il principio “prima me” è radicato in noi biologicamente: serve a garantire la continuità della vita. Non è egoismo in senso negativo, è una strategia evolutiva.
Se non ci curassimo prima di noi stessi, l’umanità non sarebbe sopravvissuta.

Il principio “prima gli altri”, invece, si sviluppa con la cultura, l’empatia, e la capacità di immedesimarsi nel dolore altrui. È una conquista della coscienza, non un istinto automatico.

Alcuni esempi concreti:

  • In situazioni di naufragio o disastri, molte persone lottano per assicurarsi una scialuppa prima degli altri. “Prima io!”

  • Eppure, esistono casi di individui che hanno ceduto il loro posto su una scialuppa per salvare bambini o anziani. “Prima tu!”

  • Nei disastri aerei, alcuni si fanno largo a gomitate per uscire, altri aiutano chi è ferito anche rischiando di rimanere intrappolati.

La scelta dipende da vari fattori:

  • Educazione e valori personali

  • Esperienze di vita precedenti

  • Contesto culturale

  • Stato emotivo del momento

  • Presenza di testimoni (che aumenta il senso di responsabilità morale)

Le due facce dell’essere umano

In definitiva, potremmo schematizzare la realtà così:

  • Cattiveria potenziale: Ogni essere umano, in certe condizioni, può compiere atti terribili.

  • Bontà consapevole: Ogni essere umano può anche scegliere di resistere all’oscurità e agire con coraggio e altruismo.

Siamo creature in bilico, capaci di entrambe le scelte.
E forse è proprio questa tensione che rende l’esperienza umana così tragica, affascinante e… irripetibile.

Nata e cresciuta a Rosignano Solvay , appassionata da sempre per tutto quello che ruota intorno al benessere della persona. Biologa, diplomata all'I.T.I.S Mattei