Quando la dipendenza nasce dalla mancanza d’amore

C’è qualcosa di profondamente sbagliato nel modo in cui guardiamo certe ferite. Spesso vediamo la bottiglia, la siringa, la pillola, lo zucchero, la pornografia, il cellulare… e puntiamo il dito lì. Come se la colpa fosse tutta in quell’oggetto o in quella sostanza.
Come se la dipendenza nascesse dal contatto con una molecola o con uno schermo. Ma non è quasi mai così. La sostanza è solo l’ultima tappa di un viaggio cominciato molto prima. E quel viaggio, nella quasi totalità delle volte, parte da una mancanza.
Non una mancanza qualsiasi. Parliamo della più silenziosa e devastante. Quella che non lascia cicatrici visibili ma spacca l’anima in due. La mancanza d’amore.
È difficile da vedere, perché chi non ha ricevuto amore spesso diventa bravissimo a mascherare il dolore. Ride troppo, lavora troppo, mangia troppo e si distrae sempre. Ma quando cade il sipario e restano solo le ombre, lì dentro troviamo la verità nuda e cruda. Non stava cercando la droga. Era alla ricerca di amore.
La sostanza è il sintomo, non la malattia
Immagina una persona in mezzo al mare, esausta e aggrappata a un vecchio pezzo di legno. Non riesce a nuotare, le onde la travolgono. Qualcuno da lontano esclama: “È quel pezzo di legno il problema! Senza, nuoterebbe meglio.” Ma nessuno si chiede cosa ci faccia lì, sola, nel mezzo di quell’acqua agitata. Nessuno pensa che forse quel pezzo di legno è l’unica cosa che la tiene ancora a galla.
È così che agisce la dipendenza.
Non arriva per distruggerti, come molti pensano. Arriva per tenerti a galla quando tutto il resto affonda. Quando nessuno ti ha insegnato a stare nell’acqua alta della vita e quando l’unico modo per respirare è aggrapparsi a qualcosa, qualunque cosa.
La gente da fuori vede solo il pezzo di legno. Giudica, commenta e dice: “Se solo lasciasse andare il pezzo di legno, nuoterebbe meglio.” Ma non vede l’oceano. Non vede la fatica. Non vede il gelo presente nell’acqua.
Quel legno – la dipendenza – non è una scelta lucida. È l’ultima risorsa. È ciò che la persona usa quando è sola, e non sa più dove mettere le mani. Quando il mondo ti ha tolto tutto, anche il diritto di chiedere aiuto, ti aggrappi a ciò che trovi.
E allora forse la domanda giusta non è più “perché non lascia andare il pezzo di legno?”
La domanda giusta è: perché è finito lì, da solo, in mezzo al mare?
E da lì, forse, si può iniziare davvero a capire e a guarire.
A volte – e fa male perfino pensarlo – la dipendenza può diventare l’unico scopo che tiene la persona ancorata alla vita. L’unico motivo per cui al mattino apre gli occhi. L’unico impulso che fa desiderare ancora un giorno in più.
Ti rendi conto della tristezza di questo pensiero?
Non stiamo parlando di piacere, ma di sopravvivenza.
Per qualcuno, eliminare la dipendenza significa togliere anche quell’unico frammento di scopo rimasto.
E quindi che sia da alcool, da relazioni tossiche, dal lavoro, dal perfezionismo o dal cibo, poco importa. Quello che conta è il buco nero che cerca di riempire. Un buco che ha spesso la forma di un “non sei abbastanza”, “non vali niente”, “nessuno resterà mai per te”. E da dove arrivano queste voci? Quasi sempre dall’infanzia e dalla mancanza di uno sguardo che ci abbia detto con sincerità “tu sei amabile, anche così come sei”.
Diversi studi scientifici, tra cui le ricerche di Gabor Maté, ci mostrano che la dipendenza è una strategia di sopravvivenza. Il cervello cerca qualcosa che attivi i circuiti della ricompensa perché la realtà è troppo dura da sopportare. Non si tratta di debolezza morale. È un tentativo di sopravvivere in un mondo che non ci ha dato abbastanza amore.
E allora ecco che la sostanza diventa l’anestetico. Ma la ferita è sempre lì sotto. Non è mai la cocaina il problema. Il problema è che ti senti solo anche in mezzo alla gente. Non è l’alcol. È quel vuoto che senti quando il mondo si spegne. Non è nemmeno la sigaretta. È l’ansia che ti divora dentro, e che nessuno sembra vedere.
Il corpo si ammala dove l’amore non arriva
Hai mai notato come il dolore emotivo non accolto si trasformi in dolore fisico? La medicina psicosomatica non è più un’ipotesi astratta. È realtà!
Il corpo racconta quello che la mente non riesce a fare. E quando non riceve amore il corpo si ammala. Un famoso studio condotto all’università di Harvard ha seguito per 75 anni centinaia di uomini. Cosa ha predetto meglio la loro salute fisica e mentale a lungo termine? Le relazioni affettive. Non il colesterolo, non il DNA. L’amore!
Quando un neonato non viene toccato abbastanza, non sviluppa correttamente il sistema nervoso. Quando un adulto viene ignorato, giudicato o lasciato solo per troppo tempo, l’ansia cresce, il cortisolo aumenta, e la malattia chiede di stare in prima fila.
E allora forse dovremmo cambiare domanda e prospettiva. Non più “che sostanza usi?” ma “quand’è che hai smesso di sentirti amato?”
La società del vuoto emotivo
Viviamo nell’epoca della connessione perpetua ma della solitudine cronica. Ci mandiamo cuoricini su whatsApp mentre piangiamo in silenzio nel letto. Abbiamo migliaia di follower ma nessuno che ci chieda davvero come stiamo. Siamo connessi, sì… ma a cosa? Non certo al cuore degli altri.
La società moderna ha sviluppato un’industria intera per distrarci dal nostro dolore. Shopping compulsivo, serie infinite, cibo ultra-processato, scroll infinito… Ma sotto questa anestesia collettiva c’è una verità scomoda. Abbiamo fame. Non di zuccheri, ma fame di contatto e presenza autentica.
La pubblicità lo sa. E ci vende oggetti con frasi come “per sentirti speciale” o “perché te lo meriti”. Ma perché dovremmo comprare qualcosa per sentirci degni? Perché da qualche parte, molto presto nella nostra storia, qualcuno ci ha fatto sentire inadeguati. Non abbastanza belli, non abbastanza buoni, non abbastanza forti e via dicendo.
E allora ci adattiamo. Indossiamo maschere. Recitiamo ruoli. Diventiamo performer della felicità altrui. Ma dentro, lentamente, ci svuotiamo.
Chi è cresciuto senza uno sguardo caldo, senza un abbraccio disinteressato o senza una guida sicura, cercherà disperatamente altrove ciò che non ha mai ricevuto. La società gli dirà che lo troverà nel successo, nel corpo perfetto o nel partner ideale, ma sono solo menzogne, te lo assicuro, credimi, l’amore che cerca non lo troverà mai in quel modo. Quelle sono strategie per anestetizzare il VERO problema.
Il potere curativo dell’amore autentico
Non esiste medicina più potente dell’amore vero. Quello che non ti chiede di essere diverso. Quello che non ha bisogno di spiegazioni. Quello che resta sempre accanto a te, qualunque cosa succeda.
Uno sguardo sincero può avere più benefici più di uno psicofarmaco. Un abbraccio al momento giusto può spegnere un attacco di panico. Una parola gentile e un sorriso pieno di amore può fermare il bisogno compulsivo di autolesionismo. Quello che sto dicendo non è “buonismo da quattro soldi”, non sono qui per farti ingoiare la pillola, è la scienza che lo dice.
Quando una persona si sente amata, il cervello rilascia ossitocina, dopamina e serotonina. Ormoni che abbassano lo stress, rinforzano il sistema immunitario e riattivano il “piacere di vivere”. L’amore è una rivoluzione chimica. Ma non solo. È una rivoluzione spirituale. Perché rompe il ciclo della paura.
La paura di non essere voluti. Di non essere abbastanza. Di essere lasciati. L’amore autentico dice: “Puoi essere fragile e mostrare debolezza, io rimarrò sempre accanto a te”. È quella sicurezza che molti cercano nella droga. Ma la droga non resta. L’amore invece si.
Per guarire davvero, servono:
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Relazioni che non ci giudicano
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Presenze che non scappano quando cadiamo
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Persone che ci aiutano a riscrivere la storia che ci raccontiamo su noi stessi
Ogni guarigione profonda parte da qui. Dal sentirsi finalmente visti.
Come si riempie un vuoto d’amore?
La buona notizia? Il vuoto d’amore non è un qualcosa di irreversibile. Tuttavia non si riempie con strategie di marketing o frasi motivazionali. Richiede un viaggio interiore. Occorre fare un lavoro sottile, spesso doloroso, ma immensamente trasformativo.
Ecco alcune tappe fondamentali:
1. Riconoscere che stai vivendo un vuoto interiore e ti manca qualcosa
È inutile combattere un mostro che non vogliamo vedere. Il primo passo è smettere di negare la ferita. Occorre dire a noi stessi: “Mi è mancato qualcosa di fondamentale, e questo ha segnato il mio modo di vivere”.
2. Smettere di colpevolizzarsi
Chi soffre non è debole. È umano. Non sei sbagliato perché cerchi conforto. Sei ferito e meriti cura come ogni essere vivente.
3. Trovare o costruire legami nutrienti
Non serve un amore perfetto. Serve un amore presente. Un’amicizia vera, un gruppo dove sentirsi accolti, un fratello che ti vuole davvero bene, o anche solo una persona che ci consente di essere pienamente noi stessi.
4. Ricostruire il dialogo interiore
Molte voci dentro di noi non sono nostre. Sono echi di chi ci ha fatto sentire inadeguati. Imparare a parlarsi con amore è già un modo per autoguarirsi.
5. Espandere la propria spiritualità
Non serve essere religiosi. Occorre un modo per sentirsi parte di qualcosa di più grande. Per alcuni è la natura, per altri la meditazione, per altri ancora il semplice silenzio condiviso.
Spiritualità non religiosa e guarigione
Parliamo di quella forza misteriosa che ci permette di sentire che la nostra vita ha un senso, anche quando tutto sembra buio.
Una spiritualità profonda ci permette di trasformare il dolore in esperienza. La ferita in apertura. Il vuoto in possibilità.
Molti percorsi di guarigione hanno in comune:
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Il riconoscimento di qualcosa di più grande del proprio ego
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La fiducia nel processo, anche quando non capiamo tutto
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Essere grati per la vita
Ecco come riconoscere la fame d’amore
Come si riconosce la fame d’amore? Ecco alcuni segnali sottili, ma importanti:
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Paura costante di essere abbandonati
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Bisogno eccessivo di approvazione
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Sentirsi vuoti anche dopo aver raggiunto obiettivi che pensavamo ci avrebbero fatti contenti
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Difficoltà a stare da soli
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Tendenza ad attrarre relazioni tossiche
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Rabbia improvvisa e ingestibile
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Dipendenze anche “accettabili” (lavoro, sport, social)
Conclusione
La sostanza è solo un sintomo di un disagio che stiamo vivendo, e l’unica vera cura è l’amore.
E tu? Quando è stata l’ultima volta che ti sei sentito amato davvero?
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