L’effetto “numbing”: quando non senti più niente

Ci sono momenti nella vita in cui non sentiamo più nulla. Non è tristezza, non è gioia e non è nemmeno rabbia. È il vuoto. Una sorta di silenzio emotivo che avvolge ogni cosa. Questo fenomeno prende un nome ben preciso in psicologia: emotional numbing, cioè “intorpidimento emotivo”.
Ma cosa significa davvero “non sentire più niente”? È solo una fase? È una difesa della mente? O è il segnale di qualcosa di più profondo che va ascoltato con urgenza?
Che cos’è l’effetto numbing
Un fenomeno più diffuso di quanto si pensi
Numbing non significa semplicemente essere apatici. Non è pigrizia, né indifferenza. È qualcosa di più profondo e inquietante. È una vera e propria anestesia delle emozioni.
Chi lo sperimenta può dire frasi come:
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“So che dovrei essere felice ma non sento nulla”
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“Ho perso interesse per tutto”
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“Anche il dolore è scomparso, ma non è una liberazione”
Questa condizione colpisce il sistema nervoso centrale e ha conseguenze su corpo, mente e relazioni. Non è raro che chi ne soffra non si accorga subito del cambiamento, finché un giorno si sveglia e si rende conto che niente lo tocca più davvero.
Ecco le principali caratteristiche dell’effetto numbing
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Riduzione della risposta emotiva sia positiva che negativa
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Disconnessione dagli altri, anche dalle persone care
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Perdita di interesse verso attività prima significative
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Senso di vuoto o insensibilità
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Assenza di piacere (anedonia)
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Rigidità corporea o “assenza” fisica
È importante capire che il numbing può essere transitorio, ma in molti casi diventa cronico e viene confuso con una “personalità fredda” o “distaccata”.
Numbing e trauma
Quando la mente si difende
L’effetto numbing è una risposta frequente al trauma. Di fronte a eventi estremamente dolorosi o minacciosi, il cervello può attivare meccanismi di difesa per proteggere l’individuo dal collasso emotivo.
Fra questi meccanismi, il numbing è uno dei più sofisticati. È come se la mente, sopraffatta dal dolore, abbassasse l’interruttore delle emozioni. Si diventa insensibili non solo alla sofferenza ma anche al piacere.
Il trauma può essere:
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Acuto come un incidente, una violenza o un lutto improvviso
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Cumulativo come l’abuso psicologico ripetuto, la trascuratezza o la guerra
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Vicariante, cioè assistendo a situazioni traumatiche altrui (pensiamo ai medici, agli operatori di emergenza, ai giornalisti di guerra…)
Il legame con il disturbo post-traumatico da stress (PTSD)
Il numbing è uno dei quattro principali sintomi del PTSD, insieme a:
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Iperattivazione – sistema nervoso costantemente in alleta.
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Rivissuti traumatici
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Evitamento
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Alterazioni cognitive ed emotive
Cosa accade nel cervello?
A livello neurologico, il trauma può influenzare:
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L’amigdala, che regola la paura e le emozioni forti
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L’ippocampo, che archivia i ricordi
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La corteccia prefrontale, che gestisce la razionalità e l’inibizione
Il cervello traumatizzato cerca un equilibrio tra iperattività e difesa. In alcuni casi, sceglie la chiusura totale, generando un’assenza apparente di emozioni che però non rappresentano una forma di equilibrio, ma rappresenta una sorta di sopravvivenza emotiva.
Numbing e depressione
Quando il vuoto diventa una diagnosi
Molti confondono il numbing con la depressione. In effetti, l’anedonia – cioè l’incapacità di provare piacere – è uno dei criteri principali per diagnosticare la sindrome depressiva maggiore. Tuttavia non sono la stessa cosa, anche se possono coesistere.
Nel numbing, il blocco emozionale può essere specificamente legato a un evento traumatico o a un accumulo di stress, mentre nella depressione si parla di una disfunzione generalizzata dell’umore e dell’energia. Entrambe le condizioni possono portare allo stesso risultato: la sensazione di vivere in bianco e nero.
Come distinguere il numbing dalla depressione?
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Nel numbing il vuoto è spesso intermittente o legato a specifici contesti
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Nella depressione il senso di vuoto è costante e si accompagna a pensieri di colpa, autosvalutazione o morte
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Nel numbing si può avere consapevolezza del blocco e desiderio di “sentire” di nuovo
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Nella depressione si perde spesso anche la motivazione a guarire
Tuttavia, le due condizioni possono alimentarsi a vicenda. Il trauma può portare al numbing, che a sua volta cronicizzandosi favorisce la comparsa di un quadro depressivo.
L’impatto sulla vita quotidiana
Un’ombra che si stende su tutto
Il numbing non rimane confinato alla sfera interiore. Ha effetti concreti e devastanti anche sulla vita quotidiana. A livello relazionale, chi lo vive può diventare distante, freddo e talvolta inaccessibile. Gli altri percepiscono questa chiusura come disinteresse o rifiuto, quando in realtà è un grido d’aiuto muto.
Chi ne soffre può:
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Allontanarsi dagli amici senza spiegazione
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Non riuscire più a godersi momenti felici, come compleanni o successi
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Provare indifferenza anche davanti a notizie gravi
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Avere difficoltà a piangere o a commuoversi
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Perdere l’interesse sessuale o l’empatia
Anche sul lavoro il numbing può essere un ostacolo che può comportare:
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Difficoltà a concentrarsi
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Fatica a prendere decisioni
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Perdita di motivazione
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Alienazione dai colleghi
Il corpo non mente
L’emotività è radicata nel corpo. Quando le emozioni vengono anestetizzate, anche il corpo reagisce tramite:
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Contrazione muscolare cronica
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Stanchezza persistente
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Problemi digestivi o tensione viscerale
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Mal di testa frequenti
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Respirazione superficiale
In molti casi, il corpo cerca di “dire” ciò che la psiche non riesce più a sentire. Il risultato è una sofferenza sommersa che non ha voce ma ha un impatto enorme sulla salute psicofisica.
Il cervello e il vuoto emotivo
Negli ultimi anni, si è scoperto che il cervello di chi vive questa condizione mostra modifiche funzionali ben precise, simili a quelle riscontrate nei pazienti con traumi complessi.
Le aree principalmente coinvolte sono:
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L’amigdala che diventa iperattiva o, al contrario, si disattiva per evitare sovraccarichi emotivi
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La corteccia prefrontale ventromediale, che può “spegnerne” l’attività per proteggere la persona dallo stress
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Il sistema limbico, che rallenta le risposte affettive
In pratica, il cervello costruisce una rete difensiva che taglia le emozioni alla radice. Una sorta di cortocircuito che “protegge” nel breve termine ma impoverisce nel lungo periodo.
Tecnologia e dissociazione
Quando anche la realtà diventa insensibile
Viviamo in un’epoca di iperstimolazione continua. Scorriamo centinaia di contenuti al giorno, senza sosta. Ma più immagini vediamo, meno emozioni proviamo. È il paradosso dell’era digitale: più input riceviamo, meno sentiamo.
Il numbing può essere favorito anche da:
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Esposizione costante a notizie drammatiche (guerre, disastri, ingiustizie)
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Overdose di social media, che saturano la soglia dell’emozione
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Uso compulsivo dello smartphone, che inibisce l’ascolto interiore
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Isolamento digitale, dove la connessione virtuale rimpiazza quella umana
Non è raro che, di fronte a un’ingiustizia o a un lutto, ci si sorprenda a pensare: “Strano, non mi fa effetto”. Non è insensibilità. È saturazione emotiva. È numbing mediatico.
Come si cura il numbing?
Dal silenzio alla riconnessione
La buona notizia è che il numbing non è una condanna. È una difesa. E ogni difesa può essere sciolta se viene rispettata e compresa. Il primo passo non è forzarsi a “sentire di nuovo”, ma riconoscere che non si sente più nulla. Accettare questo stato senza giudizio è già un atto terapeutico.
Le strade per uscire dal numbing sono molteplici, ma tutte hanno un punto in comune: riportare la persona a sentire in modo graduale, sicuro e autentico.
Le principali forme di intervento terapeutico
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Psicoterapia del trauma: l’EMDR, la terapia sensomotoria, la terapia somatica e quella basata sulla mindfulness sono particolarmente efficaci per affrontare il numbing legato a esperienze traumatiche
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Terapia cognitivo-comportamentale: aiuta a identificare e cambiare i pensieri che alimentano l’autoanestesia emotiva
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Terapie basate sul corpo: lo yoga, il grounding, la respirazione consapevole e la danza-movimento terapia stimolano il sistema nervoso e riattivano il contatto con il proprio sé
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Arte e scrittura: esprimere senza parole ciò che non si riesce a dire è spesso il primo passo verso la riconnessione emotiva
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Relazioni autentiche: essere accolti senza pressioni da qualcuno che sa ascoltare è spesso più terapeutico di qualsiasi manuale
Il cuore del processo non è “forzarsi a sentire” ma imparare ad ascoltarsi di nuovo, come se si rieducasse il corpo a tollerare gradualmente il calore delle emozioni.
Il vuoto come spazio di rinascita
Dal buio può rinascere la luce
Chi vive l’effetto numbing spesso si sente rotto, difettoso e perso. Ma il vuoto non è solo assenza. Può diventare uno spazio fertile, se smettiamo di combatterlo e iniziamo ad abitarlo con rispetto.
La filosofia zen, ad esempio, vede il vuoto come possibilità. Nella cultura giapponese, l’assenza è lo spazio in cui tutto può accadere. Allo stesso modo, chi ha sperimentato il numbing può imparare a riscoprire le emozioni come una novità.
Ecco alcuni piccoli segnali che stai guarendo:
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Commuoversi per un gesto semplice
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Sentire nostalgia
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Ridere di qualcosa senza aspettarselo
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Avere voglia di raccontarsi
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Tornare ad amare un suono, un colore o un odore
Il risveglio emotivo non avviene come un’esplosione. È un processo lento, sottile, ma profondo.
Conclusioni
Viviamo in un mondo che ci invita ogni giorno a distrarci, ad anestetizzarci, e a rispondere “bene” anche quando tutto dentro ci dice il contrario. Ma c’è una forza silenziosa che ci spinge, anche nei momenti peggiori, a voler sentire ancora.
Questa forza si chiama vita.
E se è vero che sentire comporta rischi – dolore, frustrazione, ferite – è anche vero che sentire è l’unico modo per amare, crescere, creare ed esistere pienamente.
Non dobbiamo guarire per forza. Possiamo cominciare da qualcosa di più semplice: tornare a sentire anche solo un frammento di noi stessi.
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