Ecco come i disturbi mentali aumentano il rischio di infarto e ictus

Chi pensa che la depressione o l’ansia possano “solo” minare l’umore, si sbaglia di grosso. La scienza ci dice qualcosa di sconvolgente: i disturbi mentali possono ridurre l’aspettativa di vita anche di 10, 15, perfino 20 anni. Non per suicidio o overdose, come molti credono, ma per un nemico silenzioso e comune: le malattie cardiovascolari.
Una recente revisione guidata da Viola Vaccarino della Emory University, pubblicata su The Lancet Regional Health – Europa, ha tracciato un quadro tanto chiaro quanto inquietante: chi soffre di depressione, schizofrenia, disturbo bipolare, disturbo da stress post-traumatico (PTSD) o ansia ha un rischio molto più elevato di morire prematuramente, soprattutto a causa di infarti, ictus e complicanze cardiache.
Salute mentale e cuore: un intreccio pericoloso
I numeri parlano da soli:
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La depressione aumenta il rischio di malattie cardiache del 72%.
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La schizofrenia quasi raddoppia il rischio (+95%).
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Il disturbo bipolare lo incrementa del 57%.
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Il PTSD alza il rischio di malattia coronarica del 61%.
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I disturbi d’ansia aggiungono un 41% di probabilità in più di morire per cause cardiovascolari.
Capisci perché queste condizioni riducono l’aspettativa di vita così drasticamente? Non si tratta solo di un problema psicologico, ma di un vero e proprio circolo vizioso tra mente e corpo.
Un ciclo pericoloso che si autoalimenta
Gli studiosi spiegano che i disturbi psichiatrici non coincidono soltanto con le malattie cardiache: spesso le causano. E vale anche il contrario: dopo un infarto o un ictus, molte persone sviluppano depressione o PTSD.
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Circa il 18% di chi ha problemi cardiaci soffre di depressione.
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Dopo un infarto, la percentuale sale al 28%.
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Quasi un sopravvissuto su quattro a un ictus sviluppa depressione.
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Circa il 12% di chi ha avuto un infarto manifesta criteri per il PTSD.
Stress cronico, infiammazione sistemica, pressione alta, nonché insulino-resistenza mette a dura prova la salute cardiaca. Si è notato che le persone con disturbi mentali hanno anche un rischio maggiore di stili di vita dannosi, come fumo, alcolici, droghe, sedentarietà e cattiva alimentazione.
È un circolo vizioso in cui la mente colpisce il cuore e il cuore colpisce la mente.
Le soluzioni ci sono
La buona notizia? Esistono strumenti semplici e già noti che possono cambiare le cose.
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Esercizio fisico: migliora la depressione, riduce ansia e stress e al tempo stesso abbassa la pressione, regola l’insulina e protegge i vasi sanguigni. Non è un “extra”, ma una terapia fondamentale.
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Pratiche mente-corpo: yoga, tai chi e meditazione aiutano a ridurre i sintomi psichici e a migliorare i fattori di rischio per il cuore.
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Cure integrate: quando psichiatri e cardiologi collaborano, i risultati migliorano nettamente.
Il passo successivo sarà dimostrare che queste cure integrate non solo alleviano i sintomi psichici, ma riducono anche infarti, ictus e mortalità. Per farlo, servirà includere nei grandi studi clinici anche le persone con disturbi mentali, troppo spesso escluse.
Un cambio di prospettiva necessario
Gli autori dello studio lanciano un messaggio chiaro: bisogna smettere di trattare corpo e mente come compartimenti stagni.
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Le scuole di medicina devono formare medici capaci di vedere i collegamenti.
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I sistemi sanitari devono inserire screening per ansia e depressione in cardiologia, e anche il contrario, come monitorare la salute cardiovascolare nei servizi psichiatrici.
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I dottori devono iniziare a prescrivere alle persone con disturbi mentali pratiche salutari, come esercizio fisico, meditazione, respirazione lenta e diaframmatica, nonché un’alimentazione sana.
Cuore e mente: un binomio inseparabile
Alla fine, il messaggio è semplice e potente: non possiamo più permetterci di curare la mente da una parte e il cuore dall’altra. La riduzione di 10-20 anni di vita non è un destino inevitabile, ma il risultato di lacune mediche e sociali.
E allora la domanda è: vogliamo continuare a pagare questo prezzo, o vogliamo colmare quelle lacune e salvare milioni di vite?
La strada è davanti a noi: occorre iniziare a trattare la depressione come un fattore di rischio per l’infarto, considerare l’ansia al pari della pressione alta, e integrare esercizio e terapie psicofisiche nelle cure di base. Solo così il cuore e la mente smetteranno di farsi la guerra – e inizieranno a salvarsi a vicenda.
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