Perché il mondo non ama chi pensa troppo? La lezione di Schopenhauer

pensare troppo

Ecco una situazione che può capitare a molti: ci si ritrova in una conversazione leggera, fatta di pettegolezzi, notizie superficiali e argomenti ripetitivi, e in mezzo a questa conversazione sterile, si prova ad introdurre un’idea più profonda, o un’analisi articolata.

Il risultato? Sguardi vuoti, cambi di argomento, e in un attimo proviamo un forte senso di incomprensione. Alla fine di tutto ciò, comprendiamo, che è meglio stare in silenzio.

Questa dinamica non riguarda solo la timidezza o le differenze caratteriali, ma è un fenomeno molto comune, osservato e descritto da diversi filosofi e pensatori come Arthur Schopenhauer.

Secondo la sua visione, quando una persona vede il mondo con maggiore complessità, può scoprire di avere sempre meno interlocutori con cui condividere i suoi pensieri.

Intelligenza come distanza: la lettura di Schopenhauer

Per Schopenhauer, l’intelligenza non era semplicemente un talento, ma un elemento capace di separare gli individui dal resto della società.

Secondo lui, chi pensa in modo profondo, non vive immerso nelle illusioni quotidiane, ma nota continuamente contraddizioni, incoerenze, e false certezze.

E questa lucidità spesso non è ben accolta. La maggior parte delle persone — spiegava il filosofo — preferisce la semplificazione, il conforto, e la certezza immediata.

La verità, infatti, non sempre premia, anzi… molto spesso crea disagio. E dove c’è disagio, si tende ad evitare.

Una società costruita sulla conformità

Il mondo, osservava Schopenhauer, funziona grazie a ciò che potremmo definire un “patto implicito”, dato che occorre mantenere stabili certe idee, anche se non sempre vere.

Per vivere senza eccessivo conflitto interiore, molti si affidano a certezze collettive, quali:

  • La felicità coincide con il consumo;

  • Il successo segue una strada predefinita;

  • Il buon senso è sempre affidabile;

  • Ciò che la maggioranza crede è automaticamente valido.

Chi mette in discussione queste basi si espone — spesso inconsapevolmente — a diffidenza e rifiuto. Accade oggi come accadeva nel passato: le idee dissonanti turbano gli equilibri, e chi le esprime diventa un elemento scomodo.

Non solo grandi nomi: un meccanismo quotidiano

La storia è ricca di esempi. Socrate venne condannato per aver “corrotto i giovani” semplicemente insegnando loro a interrogarsi. Galileo fu perseguitato per una scoperta, che oggi diamo per scontato.

Lo stesso Nietzsche fu considerato folle perché scardinava la morale dominante. Tuttavia. la dinamica non riguarda solo i grandi pensatori.

Succede anche nella vita di tutti i giorni:

  • Si solleva un’osservazione acuta e qualcuno cambia discorso;

  • Si nota un dettaglio rilevante e si viene etichettati come “quelli strani”;

  • Si propone un punto di vista diverso e si riceve indifferenza.

Chi nota ciò che gli altri ignorano, rischia di diventare un elemento fuori posto.

La solitudine come scelta consapevole

Secondo Schopenhauer, l’isolamento non è sempre imposto dall’esterno, ma molto spesso rappresenta una scelta progressiva. Al principio c’è la volontà di partecipare, di condividere idee e trovare un dialogo alla pari.

Tuttavia, col passare del tempo, le conversazioni superficiali diventano faticose, e il bisogno di adattarsi, intellettualmente estenuante.

Il risultato è un lento allontanamento, dove:

  1. Si evitano ambienti dove il confronto non è possibile;

  2. Si selezionano con maggiore cura le relazioni;

  3. Si scopre che la compagnia più stimolante è spesso quella dei propri pensieri.

Una scelta che appare naturale, ma che porta con sé un rischio: una mente che riflette senza qualcuno con cui confrontarsi rischia di chiudersi in un ciclo autoreferenziale, trasformando il rifugio in isolamento psicologico.

Quando capire diventa un peso eccessivo

Molti grandi pensatori del passato — da Pascal a Kafka — hanno descritto un senso di distacco sempre più crescente verso il mondo. Schopenhauer sosteneva che comprendere troppo chiaramente la realtà potesse sottrarre fascino alla vita quotidiana.

Mentre la maggior parte delle persone trova motivazione nelle illusioni — il merito, la giustizia, il destino — chi riflette in profondità finisce per vedere anche le crepe di queste narrazioni.

E quando si vede oltre, tornare indietro non è più possibile. Come scrisse Nietzsche: “Se guardi a lungo nell’Abisso, l’Abisso guarda anche te.”

Esiste una strada per vivere con questa consapevolezza?

Se l’intelligenza porta all’isolamento, e la consapevolezza rende più difficile affrontare il mondo, come si può continuare a vivere, senza che tutto questo diventi schiacciante? Per Schopenhauer la risposta non era la fuga, ma l’accettazione.

Accettare la propria solitudine

Non bisogna accettare la solitudine come a una condanna, ma come condizione naturale per chi vede il mondo senza filtri. La solitudine, spiegava, può diventare un privilegio: uno spazio in cui pensare, creare, e osservare.

Cercare menti affini

La solitudine intellettuale non implica assenza totale di contatti. Si possono trovare interlocutori attraverso:

  • Libri e filosofia;

  • Comunità e ambienti di confronto;

  • Percorsi creativi o scientifici.

Anche i pensatori più isolati hanno lasciato idee che hanno trovato valore nel tempo.

Trasformare il pensiero in azione

Una mente priva di stimoli rischia di ripiegare su sé stessa, ma se indirizzata verso la creazione, lo studio, la ricerca o l’innovazione, può diventare una forza straordinaria.

Accettare l’incomprensione come parte del percorso

La società raramente comprende i suoi pensatori nell’immediato. Solo dopo, quando le loro idee smettono di essere “pericolose”, diventano riconosciute.

Se ti senti fuori posto, forse — suggerirebbe Schopenhauer — non è un difetto, ma un segnale della tua capacità di vedere ciò che altri ignorano.

Nata e cresciuta a Rosignano Solvay , appassionata da sempre per tutto quello che ruota intorno al benessere della persona.Biologa, diplomata all'I.T.I.S Mattei