Viviamo in una simulazione? Le prove, i dubbi e le teorie più discusse
Oggi siamo in grado di creare ambienti virtuali sempre più realistici, al punto che il confine tra vita reale e vita digitale si fa ogni giorno più sottile.
Immagini e video generati dall’intelligenza artificiale sono ormai difficili da distinguere da quelli reali. Un’evoluzione che solo pochi anni fa sarebbe sembrata fantascienza, rappresenta ad oggi la realtà in cui viviamo.
Realtà virtuale e mondi simulati
Le tecnologie immersive ci avvicinano a contesti sempre più dettagliati e convincenti. Un giorno, un ambiente digitale potrebbe risultare così accurato da diventare quasi indistinguibile dal nostro.
Questo scenario alimenta una domanda che cerca una risposta: e se la nostra realtà fosse essa stessa una simulazione?
L’ipotesi della simulazione sostiene che l’universo che abitiamo possa essere il risultato di un programma artificiale creato da una civiltà superiore e processato su un computer enormemente potente. Una sorta di videogioco estremamente evoluto, dove ogni legge fisica, ogni particella e ogni fenomeno esistono perché programmati.
Le risposte della filosofia antica
L’idea che ciò che percepiamo non sia necessariamente reale risale almeno all’antichità. L’allegoria della caverna di Platone descrive un gruppo di prigionieri che, dalla nascita, vive incatenato in una grotta, e tutto ciò che riescono a vedere sono le ombre proiettate sul muro davanti a loro, ombre che finiscono per rappresentare – agli occhi dei prigionieri – l’unica realtà possibile.
Allo stesso modo dei prigionieri, anche noi potremmo basare la nostra percezione su informazioni limitate, senza conoscere la “vera” realtà.
Un esempio contemporaneo è quello della realtà virtuale. Indossando un visore VR, il cervello può essere facilmente ingannato, dato che uno spazio digitale coerente e immersivo può apparire del tutto reale, dimostrando quanto la nostra percezione dipenda dai segnali sensoriali ricevuti.
La questione sollevata da Nick Bostrom
Il filosofo Nick Bostrom ha formulato uno degli argomenti più influenti e dibattuti riguardo all’ipotesi della simulazione. La sua tesi parte da un presupposto semplice: se una civiltà abbastanza avanzata fosse in grado di creare simulazioni estremamente realistiche della realtà — non semplici videogiochi, ma copie dettagliate di interi universi con esseri dotati di coscienza — allora, con ogni probabilità, ne costruirebbe molte.
Le civiltà mature, infatti, potrebbero avere motivi diversi per generare simulazioni. Ad esempio, per fare ricerca scientifica, esplorare possibili futuri o persino per scopi puramente ricreativi.
Una volta che la tecnologia rendesse possibile creare “mondi completi”, il costo computazionale per generarne altri diventerebbe relativamente basso rispetto alle capacità disponibili. Da qui nasce un punto chiave: se è possibile creare molte simulazioni, allora è probabile che ne esisterebbero moltissime.
A questo punto entra in gioco la statistica. Per rendere il ragionamento intuitivo, Bostrom usa un’analogia molto semplice: immagina una borsa che contiene 1.000 palline rosse e una sola pallina blu. Se estrai una pallina a caso, è estremamente probabile che sia rossa, e non blu. Non perché le palline rosse siano “più importanti”, ma semplicemente perché sono molte di più.
Allo stesso modo, se ci fosse un’unica realtà originale e migliaia o milioni di simulazioni basate su di essa, la probabilità di trovarsi proprio nell’unico universo reale sarebbe molto bassa. Sarebbe più ragionevole pensare di vivere in una delle simulazioni — così come è più ragionevole aspettarsi di estrarre una pallina rossa dalla borsa.
Il punto focale dell’argomento di Bostrom, quindi, non è che viviamo certamente in una simulazione, ma che questa opzione diventa la più plausibile se accettiamo due condizioni:
Che una civiltà abbastanza avanzata possa davvero creare simulazioni perfettamente realistiche;
E che una volta raggiunto quel livello, decida effettivamente di produrne un numero elevato.
Se entrambe queste condizioni sono soddisfatte, allora — sostiene Bostrom — la probabilità che noi ci troviamo nella realtà di base diventa estremamente bassa.
Noi, già oggi simuliamo il comportamento di neuroni, sistemi fisici complessi, ecosistemi e perfino intere città. Se questa tendenza continuerà per secoli o millenni, le simulazioni future potrebbero essere così dettagliate da ospitare esseri coscienti — proprio come potremmo esserlo noi.
In questo quadro, l’ipotesi di vivere in una simulazione nasce da un ragionamento matematico. Quando il numero di mondi simulati supera enormemente il numero di mondi reali, diventa statisticamente più probabile vivere dentro uno di essi.
Le tre strade possibili secondo Bostrom
Una volta accettato che le simulazioni estremamente realistiche siano effettivamente realizzabili, è necessario chiedersi “che cosa succede nel caso in cui sia possibile farlo?”.
Bostrom osserva che, partendo da questa premessa, il percorso evolutivo possibile si riduce a tre soli scenari coerenti. . Il primo è che nessuna civiltà arrivi mai davvero a raggiungere quel determinato livello tecnologico, a causa di una prematura estinzione: ciò impedirebbe la produzione di qualunque tipologia di simulazione.
Il secondo è che alcune civiltà diventino sufficientemente avanzate, ma scelgano comunque di non creare simulazioni, per ragioni culturali, etiche o semplicemente perché non interessate.
Il terzo scenario scatta se si escludono i primi due: se una parte delle civiltà sopravvive e decide di utilizzare quella tecnologia, allora la creazione di simulazioni diventa un fatto reale, e in questo caso risulta più probabile trovarsi all’interno di una di esse.
Le critiche alla teoria
Chi mette in dubbio l’ipotesi della simulazione solleva un punto cruciale: l’assenza di prove verificabili. Se non esiste un modo per confutare la teoria in modo oggettivo, dicono i critici, l’ipotesi esce dai confini della scienza.
A tale affermazione, i sostenitori della teoria rispondono che l’impossibilità di ottenere prove potrebbe essere una caratteristica intrinseca della simulazione stessa, progettata per mantenere coerente l’illusione della realtà.
Altri ipotizzano che eventuali “anomalie” dell’universo possano essere assimilabili a bug o limiti computazionali. Un esempio spesso citato è la velocità della luce: un limite invalicabile che potrebbe rappresentare una sorta di “velocità massima” imposta dal sistema, simile ai vincoli presenti nei videogiochi.
Anche la complessità dell’universo viene utilizzata in entrambe le direzioni: per alcuni è troppo grande per essere simulato, mentre per altri, proprio questa complessità suggerisce un’organizzazione profonda, simile a quella di un programma.
Oltre Bostrom: i contributi più importanti sull’idea di vivere in una simulazione
La realtà che si mostra solo quando serve
Rizwan Virk, informatico del MIT, propone un’idea sorprendente ma intuitiva: la realtà potrebbe comportarsi come un videogioco ben progettato.
Nei videogiochi, lo scenario non viene generato tutto in una volta, dato che il sistema crea nei dettagli solo ciò che il giocatore sta guardando in quel momento, così da non sprecare risorse e memoria.
Virk suggerisce inoltre, che qualcosa di simile potrebbe accadere anche nel nostro universo. Potremmo percepire solo una parte della realtà perché il “sistema”, qualunque esso sia, aggiorna o definisce ciò che osserviamo solo quando lo osserviamo, evitando di “caricare” tutto il resto.
In questa lettura, alcuni aspetti curiosi della fisica potrebbero essere interpretati come segnali di un mondo costruito per funzionare in modo efficiente, mostrando i dettagli solo quando diventano realmente necessari.
Quando l’universo parla il linguaggio dei computer
Il fisico teorico Gates, studiando alcune equazioni avanzate della fisica teorica, ha trovato qualcosa di inatteso: schemi matematici identici ai codici che i computer usano per correggere gli errori quando trasmettono i dati.
Gates non dice che questo prova, che siamo in una simulazione, ma ammette che è curioso il fatto che la realtà sembri basarsi su schemi simili a quelli dei sistemi digitali.
E quindi, la realtà che noi percepiamo potrebbe essere costruita su principi simili a quelli di un sistema digitale, riportandoci al concetto di simulazione.
Se fosse vero…
Scoprire di essere in una simulazione cambierebbe radicalmente la nostra idea di realtà, libero arbitrio e coscienza. Implicherebbe inoltre, che la coscienza possa emergere da una quantità sufficiente di informazioni elaborate, indipendentemente dal fatto che il supporto sia biologico o digitale.
In questo contesto, lo sviluppo di sistemi di intelligenza artificiale avanzata e la creazione di mondi simulati assumono una nuova valenza.
Potremmo non essere solo esploratori del futuro digitale, ma anche replicatori involontari dei processi che potrebbero aver portato alla nostra stessa esistenza.
La condizione umana nell’era della tecnologia
Guardando alla storia dell’umanità, l’evoluzione tecnologica sembra aver accelerato in modo vertiginoso. Se immaginassimo la terra creata un anno fa, la comparsa dell’Homo sapiens risalirebbe a circa dieci minuti fa. L’era industriale, invece, inizierebbe appena due secondi prima di oggi.
In questo quadro, piccoli cambiamenti nei meccanismi cognitivi hanno portato dal vivere sugli alberi ai viaggi intercontinentali. È quindi plausibile che future trasformazioni – come la creazione di superintelligenze artificiali – possano modificare profondamente il “substrato del pensiero”, con conseguenze potenzialmente enormi.
Per alcuni studiosi siamo già sull’orlo di questa svolta. In questo scenario, la nostra ricerca di creare intelligenze artificiali e mondi simulati potrebbe essere parte di un processo più grande, forse simile a quello che – nell’ipotesi simulativa – avrebbe dato origine a noi.















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