Vivere senza rimpianti: la lezione dei malati terminali

rimpianti

Ci sono momenti nella vita in cui ci fermiamo, per scelta o per necessità, a chiederci: sto vivendo davvero come vorrei? È una domanda che fa paura, spesso accantonata dietro mille scuse. Eppure, chi si trova davanti all’inevitabile – alla fine della propria vita – non può più evitarla. È lì, nitida e tagliente come una lama.

Molti operatori sanitari, psicologi e volontari che lavorano con persone in fase terminale riferiscono che le ultime settimane o mesi di vita diventano uno specchio crudele ma illuminante. È in quei momenti che emergono i rimpianti, quei pensieri che iniziano con “se solo avessi…” e che spesso raccontano più di mille curriculum, diplomi o conti in banca.

I cinque rimpianti più comuni secondo Bronnie Ware

Una delle testimonianze più toccanti in questo ambito è quella dell’infermiera australiana Bronnie Ware, che ha raccolto le confidenze dei suoi pazienti terminali in un libro diventato celebre: I cinque rimpianti più grandi di chi sta per morire. Le sue parole sono un invito, quasi un urlo dolce, a vivere con consapevolezza.

Ecco i cinque rimpianti più frequenti che ha raccolto:

1. Avrei voluto avere il coraggio di vivere una vita fedele a me stesso

Quante volte, nella nostra quotidianità, ci ritroviamo a fare ciò che “si deve”, senza chiederci se è davvero ciò che vogliamo? Molti malati terminali raccontano di aver passato decenni a inseguire obiettivi che non erano i loro: una carriera scelta per compiacere i genitori, una relazione mantenuta per paura della solitudine o una vita intera vissuta dentro abiti che non calzavano.

Andare controcorrente significa inevitabilmente deludere le aspettative e quindi fare i conti con l’essere giudicati. Eppure ti assicuro, che una volta che arrivi al dolce abbraccio della candida, potresti ridere sul fatto che hai preferito non ferire nessuno invece di godere appieno della vita, come se la tua vita fosse stato un viaggio decido da altri.

La lezione? Il tempo per vivere la propria verità non è infinito. E se non lo facciamo noi, nessuno lo farà per noi.

2. Avrei voluto lavorare di meno

Il lavoro è importante, certo. Ma quando diventa tutto, divora il resto.

Bronnie Ware racconta che molti uomini, al termine della vita, si pentono di aver trascorso le giornate in ufficio anziché a tavola con i propri cari. Ma questo rimpianto non riguarda solo gli uomini: riguarda tutti noi, in un mondo che ci dice che il valore è nella produttività, non nella presenza.

Nessuno, sul letto di morte, rimpiange di non aver risposto a più email. Ma quasi tutti rimpiangono le cene mancate, le risate ignorate e i weekend saltati.

3. Avrei voluto avere il coraggio di esprimere i miei sentimenti

“Ti voglio bene”, “mi manchi”, “mi hai ferito”. Quante parole lasciamo lì, sospese, per paura di sembrare deboli? Il problema è che i sentimenti non detti non scompaiono: si accumulano. Diventano nodi, silenzi pieni e frasi non dette che ci tengono svegli la notte.

Esprimere i propri sentimenti non vuol dire diventare melensi, né ottenere ciò che vogliamo. Ma vuol dire essere veri e non lasciare che la paura ci trasformi in statue fredde.

Chi muore spesso si pente non di aver detto troppo, ma di aver detto troppo poco. Di aver amato in silenzio, di aver perdonato solo col pensiero e di non aver chiesto scusa per orgoglio.

4. Avrei voluto restare in contatto con i miei amici

Le amicizie vere sono come le piante: se non le annaffi, appassiscono. La vita corre, ognuno prende la propria strada, e le giornate si riempiono di impegni. E così, senza neanche accorgercene, ci si ritrova soli.

Molti raccontano, con tristezza, di amici speciali lasciati andare per pigrizia, per mancanza di tempo o per il semplice passare degli anni. Eppure, in quei momenti finali, ciò che manca non sono i regali ricevuti, ma le risate condivise.

Un messaggio ogni tanto, una chiamata senza motivo o un incontro improvvisato. Sono gesti piccoli che, col tempo, costruiscono legami indistruttibili.

5. Avrei voluto permettermi di essere più felice

Questo è forse il rimpianto più doloroso, perché è il più evitabile. Molte persone capiscono, alla fine, che la felicità non era in una promozione, in una casa più grande o in un futuro perfetto bensì nel presente e nascosto nei piccoli dettagli.

Ma la felicità – dicono molti – al tempo sembrava proibita. “Devo prima sistemare tutto.” “Prima gli altri, poi io.” “Non posso essere felice mentre c’è chi soffre.” Tutti pensieri nobili, ma paralizzanti.

Eppure, la gioia non è un premio: è una possibilità. Possibilità che va colta soprattutto anche nei giorni storti. Perché aspettare il momento ideale è il modo migliore per non vivere mai davvero.

Cosa possiamo imparare da queste confessioni?

Non serve trovarsi a un passo dalla morte per capire quanto queste parole siano preziose. Possiamo fare tesoro dell’esperienza degli altri per vivere con più autenticità, più amore e più leggerezza.

Fermati. Respira e ascolta.

Viviamo vite veloci, piene e spesso troppo rumorose. Ma quante volte ci fermiamo davvero ad ascoltare ciò che conta per noi?

Fai spazio a ciò che ami

Non serve cambiare completamente vita da un giorno all’altro. Ma puoi ritagliare spazio per le tue passioni, anche se solo dieci minuti al giorno. Amavi scrivere? Dipingere? Ballare? Non serve un pubblico. Serve solo esserci.

Coltiva le relazioni

Gli amici veri non si trovano ogni giorno. E nemmeno si mantengono da soli. Un messaggio, una chiamata o un gesto piccolo possono fare un’enorme differenza.

Sii gentile con te stesso

Smettila di aspettare di “meritare” la felicità. Non esiste un punteggio minimo per sentirsi degni di vivere bene.

Di’ ciò che senti

Con rispetto, certo. Ma non ingoiare parole che ti bruciano lo stomaco. Le emozioni represse non spariscono, si trasformano in pesi.

Il tempo non è infinito

Ci comportiamo spesso come se il tempo fosse una risorsa illimitata. Rimandiamo le scelte, le scuse, le vacanze o le telefonate. Ma il tempo è l’unica cosa che non possiamo comprare né recuperare.

Ogni giorno in più è un dono. Ma è anche una responsabilità. Perché la vita vera comincia quando smettiamo di sopravvivere e iniziamo a scegliere.

Ecco alcune domande da porsi per fare chiarezza

  • Se morissi domani, cosa rimpiangerei di non aver fatto?

  • Con chi ho dei conti emotivi in sospeso?

  • Quando è stata l’ultima volta che ho fatto qualcosa solo per me?

  • Quante delle mie giornate sono mie davvero?

Un’ultima immagine: la sedia vuota

Immagina una sedia. Una sedia vuota in una stanza. E immagina che lì ci sia il te stesso di ottant’anni. Cosa ti direbbe? Ti ringrazierebbe? Ti chiederebbe scusa? Ti abbraccerebbe con orgoglio o con rimpianto?

Quella sedia è già qui. Sta a noi scegliere come vogliamo che ci guardi, un giorno.

Nata e cresciuta a Rosignano Solvay , appassionata da sempre per tutto quello che ruota intorno al benessere della persona. Biologa, diplomata all'I.T.I.S Mattei