Uomini e donne: chi è davvero più solidale? Ecco cosa dice la scienza

C’è un vecchio detto che dice “le donne si fanno la guerra in silenzio, mentre gli uomini si menano e poi si offrono una birra”. Ma quanto c’è di vero in questo?
La solidarietà rappresenta il collante invisibile che tiene insieme i gruppi umani, e rappresenta la forza che ci spinge ad aiutarci, a collaborare, e a provare empatia per l’altro.
Eppure, quando si parla di genere, entrano in gioco mille sfumature: la biologia, la cultura, la competizione sociale, le aspettative, e i ruoli.
Non si tratta solo di capire chi sia più buono o più cattivo, ma come uomini e donne esprimano la loro solidarietà. Forse le differenze non stanno nella quantità di solidarietà, ma nella forma in cui si manifesta.
Nel corso degli ultimi decenni, decine di studi in psicologia sociale, neuroscienze e sociologia hanno cercato di analizzare il comportamento cooperativo di uomini e donne in diversi contesti.
Quello che emerge è un quadro sorprendentemente complesso, dove gli stereotipi spesso si ribaltano. Le donne non sempre sono le più empatiche, mentre gli uomini non sempre sono i più competitivi. In certi contesti, accade esattamente il contrario.
E allora, chi è più solidale? Forse la risposta più onesta è: dipende dal contesto, ma, andiamo per gradi.
Biologia della solidarietà: il cuore e il cervello collaborano
È vero che uomini e donne hanno una diversa predisposizione alla cooperazione?
Le neuroscienze hanno dimostrato che l’empatia e la solidarietà coinvolgono specifiche aree del cervello, in particolare l’amigdala, la corteccia prefrontale e il sistema dei neuroni specchio. Queste regioni sono attive quando vediamo qualcuno provare dolore o gioia.
Alcuni studi condotti all’Università di Zurigo e pubblicati su Nature Human Behaviour hanno mostrato che, in media, il cervello femminile tende ad attivare più intensamente queste aree in risposta a segnali emotivi, mentre quello maschile mostra una maggiore attivazione delle regioni legate alla ricompensa quando la cooperazione porta a un beneficio condiviso.
Per riassumere:
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Le donne sembrano più sensibili alla sofferenza o al bisogno altrui in modo spontaneo.
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Gli uomini mostrano maggiore cooperazione quando questa comporta un risultato tangibile, come il successo del gruppo o un vantaggio collettivo.
Questa differenza non implica che gli uomini siano “più egoisti”. Potremmo dire che sono più strumentali nella solidarietà, mentre le donne più relazionali.
È come se il cervello femminile dicesse “aiuto perché tu stai male”, e quello maschile dicesse “aiuto perché insieme possiamo vincere”. Due vie diverse verso lo stesso obiettivo: la coesione sociale.
D’altra parte, anche l’evoluzione ha ricoperto un ruolo molto importante in questo. In epoche ancestrali, le donne tendevano a formare reti di supporto con altre donne per accudire i figli e condividere risorse, mentre gli uomini collaboravano per la caccia o la difesa del gruppo. Questo avrebbe plasmato strategie cooperative differenti ma complementari.
In sintesi:
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La solidarietà femminile nasce spesso dal legame affettivo e dall’empatia.
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Quella maschile si radica nella collaborazione funzionale e nella fiducia reciproca tra pari.
Nessuna delle due è “migliore”, semplicemente rispondono a bisogni diversi.
Le donne sono più cattive tra di loro?
Uno studio condotto dall’Università del Michigan ha mostrato che le donne tendono a competere in modo più indiretto rispetto agli uomini. Non necessariamente con scontri aperti o aggressioni, ma attraverso la gestione delle relazioni sociali e del linguaggio.
Per esempio, sono più predisposte rispetto agli uomini nell’escludere qualcuno da un gruppo o usare la critica come arma di disprezzo. È la cosiddetta aggressività relazionale, che ha un impatto più psicologico che fisico.
Gli uomini, invece, manifestano la competizione in modo più diretto, tramite sfide, confronto e gerarchie chiare. Potremo dire che la competizione negli uomini possiede una natura più “leale” rispetto a quello delle donne che rappresenta invece, un modello più manipolatorio.
Una volta stabilita la leadership o risolto il conflitto, gli uomini sono più propensi a ristabilire l’equilibrio e a mantenere legami solidi. Da qui nasce l’idea – in parte vera – che gli uomini “litigano e poi fanno pace”.
Ma attenzione: non significa che le donne siano meno solidali. Numerosi studi di sociologia della famiglia e delle comunità hanno dimostrato che le reti di sostegno femminili sono spesso più dense, più durature e più basate sulla reciprocità quotidiana.
Esempi concreti?
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Le madri single tendono a creare reti di mutuo aiuto con altre madri, anche in assenza di legami di sangue.
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Le donne anziane mostrano una maggiore disponibilità al volontariato e alla cura dei nipoti o dei vicini.
Questa forma di solidarietà, però, non fa notizia, mentre gli episodi di conflitto, restano impressi maggiormente nella memoria collettiva.
Gli studi lo confermano: le donne non sono più ostili tra loro, ma semplicemente competono in modo diverso. E paradossalmente, quella stessa sensibilità relazionale che le rende più empatiche le espone anche a conflitti più sottili ed emotivi, che portano a percepire le donne come più cattive e subdole.
In generale, le relazioni femminili (tra donne) tendono a essere molto più intime e basate sulla comunicazione emotiva. Si condividono dettagli personali, fragilità, nonché pensieri profondi. È una forma di legame intensa, ma anche potenzialmente fragile.
Quando la connessione è forte, diventa meravigliosa, tuttavia se nasce competizione, invidia o disaccordo, può trasformarsi in qualcosa di teso, sottile e persino doloroso.
Con gli uomini, molte donne percepiscono invece una relazione più “leggera”, e meno basata sulle sfumature emotive. Gli uomini, culturalmente, tendono a comunicare in modo più diretto, senza leggere troppo tra le righe.
E questo può risultare rinfrescante per chi è abituata a relazioni più complesse o cariche di sottintesi.
La solidarietà maschile: alleati o rivali silenziosi?
La sociologia dei gruppi maschili mostra che la solidarietà tra uomini è fortemente condizionata dal contesto. Quando non c’è competizione diretta, gli uomini tendono a sviluppare legami solidi, basati sulla fiducia e sul rispetto reciproco. È la logica del “noi contro il mondo”, che si rafforza nei gruppi sportivi, nei corpi militari e nelle squadre di lavoro coese.
Tuttavia, quando entra in gioco la competizione per status, riconoscimento o risorse, la cooperazione maschile si indebolisce rapidamente.
Gli studi di Michael Kimmel, sociologo americano, mostrano come la mascolinità tradizionale sia spesso costruita sulla rivalità. In altre parole, molti uomini crescono con l’idea che “essere solidali” vada bene, ma solo finché non si rischia di perdere una posizione di forza.
Interessante è anche ciò che emerge dagli esperimenti economici noti come “giochi del bene comune” (public goods games). In queste simulazioni, i partecipanti dovevano decidere se condividere risorse con il gruppo o tenerle per sé.
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Gli uomini mostrano un’elevata cooperazione nelle prime fasi, specialmente se sanno che i loro contributi saranno visibili.
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Quando però si introduce una componente competitiva o anonima, la loro propensione a collaborare cala più rapidamente rispetto alle donne.
Questo suggerisce che la solidarietà maschile si alimenta di regole chiare e obiettivi comuni. Senza un quadro di riferimento, tende a dissolversi.
Un po’ come una squadra di calcio: se c’è un capitano, un obiettivo e un avversario, il gruppo funziona; se invece il campo è vuoto e ciascuno gioca per sé, l’unità svanisce.
È anche vero che gli uomini mostrano una forma di lealtà pratica, meno verbale ma molto più efficace. Non amano parlare dei propri sentimenti di appartenenza, ma spesso agiscono concretamente per aiutare un amico o un collega. È una solidarietà “silenziosa”, fatta di gesti, e non di parole.
In sintesi:
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Gli uomini sono molto solidali in condizioni di parità o cooperazione strutturata.
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La competizione diretta riduce la coesione.
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La loro solidarietà è spesso più pragmatica e legata alla fiducia reciproca.
Cultura, educazione e aspettative sociali
Non tutto ciò che appare come “naturale” lo è davvero. Gran parte delle differenze nella solidarietà tra uomini e donne dipende da come la società educa, premia e modella i comportamenti.
Fin da piccoli, i bambini vengono socializzati in modo diverso:
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Alle bambine si insegna più spesso la cura, la condivisione e l’ascolto.
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Ai bambini si trasmette l’importanza dell’autonomia, della competizione e del “non mostrarsi deboli”.
Questo condiziona il modo in cui ciascun genere interpreta la solidarietà. Le donne imparano a considerarla una virtù sociale, quasi un dovere morale. Gli uomini, invece, la associano a situazioni di cooperazione “controllata”, dove aiutare non mina la propria indipendenza.
La sociologa Nancy Chodorow ha spiegato che la costruzione dell’identità femminile tende a essere più relazionale, mentre quella maschile più separativa. Questo porta le donne a sentirsi più naturalmente coinvolte in reti di supporto reciproco.
Ma attenzione: la cultura evolve. Le nuove generazioni stanno ribaltando molti di questi modelli. Oggi vediamo uomini più coinvolti nella cura dei figli, più propensi all’ascolto e all’empatia, mentre le donne assumono sempre di più ruoli di leadership, trovandosi a gestire forme di competizione tradizionalmente più “maschili”.
Un esempio emblematico arriva da una ricerca condotta dall’Università di Oxford nel 2021, su oltre 20.000 persone in 27 paesi. I risultati mostrano che:
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Nelle società più egualitarie, le differenze di genere nella cooperazione tendono a ridursi.
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Dove persistono ruoli di genere rigidi, le donne mostrano maggiore solidarietà intra-gruppo, mentre gli uomini mantengono relazioni più gerarchiche.
Dunque, la solidarietà non è solo una questione di biologia, ma anche di cultura appresa. La società, con le sue aspettative e i suoi modelli, continua a plasmare ciò che intendiamo con “l’essere solidali”.
Solidarietà in situazioni di crisi: chi tende la mano per primo?
Le emergenze rivelano la vera natura dei comportamenti sociali. Durante catastrofi naturali, guerre o pandemie, la solidarietà emerge come forza collettiva.
Gli studi condotti dopo l’uragano Katrina e durante la pandemia di COVID-19 hanno mostrato che:
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Le donne sono state più attive nel volontariato e nell’assistenza diretta, spesso assumendo ruoli di coordinamento nelle reti di aiuto locale.
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Gli uomini hanno mostrato una forte tendenza all’organizzazione logistica e alla protezione fisica del gruppo.
Ancora una volta, due forme di solidarietà diverse ma complementari: una “di cura” e una “di struttura”. Entrambe indispensabili.
Quando l’umanità si trova sotto pressione, uomini e donne reagiscono diversamente, ma il risultato è lo stesso: una risposta collettiva che combina empatia e azione. È come se la natura umana avesse due ali: quella femminile, che abbraccia, e quella maschile, che costruisce.
Conclusione
Alla fine la domanda rimane aperta con molti interrogativi: chi è più solidale, tra uomini o donne?”
Le donne tendono a mostrare una solidarietà più spontanea, relazionale ed empatica. Gli uomini invece tendono a una solidarietà più funzionale, organizzata e situazionale, ma entrambe le forme rispondono alla stessa esigenza: ovvero quello di mantenere coeso il gruppo umano.
Quando uomini e donne collaborano, si compensa ciò che all’uno manca con ciò che l’altro possiede.
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