Un semplice esame del sangue può rivelare la depressione? Lo dice la scienza

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La depressione è molto più di una semplice tristezza passeggera: è un disturbo serio e complesso che può durare settimane, mesi o addirittura anni. Si manifesta con sentimenti persistenti di vuoto, disperazione e anedonia – ossia la perdita di piacere per ciò che un tempo appassionava.

Ma non si ferma qui: i sintomi includono anche cambiamenti importanti nell’appetito, oscillazioni di peso, insonnia o al contrario un bisogno eccessivo di dormire. Se non trattata adeguatamente, la depressione può ridurre la qualità della vita quotidiana, limitando la capacità di lavorare, relazionarsi e prendersi cura di sé stessi. Nei casi più gravi può addirittura portare a pensieri suicidari.

Nonostante l’ampiezza del problema, i trattamenti oggi disponibili non sono sempre risolutivi. Una larga percentuale di pazienti non risponde alle terapie, e molti non ricevono cure adeguate. Le stime più pessimistiche ci dicono che meno del 20% riesce a ottenere una remissione completa. E allora sorge spontanea la domanda: come possiamo migliorare la diagnosi e rendere i trattamenti più efficaci?

Un nuovo indizio potrebbe essere nascosto nel sangue

Una risposta potrebbe arrivare da un indicatore tanto semplice quanto sorprendente: il rapporto tra proteina C-reattiva (PCR) e albumina, abbreviato in CAR.

La proteina C-reattiva è una molecola prodotta dal fegato in risposta all’infiammazione: i suoi livelli schizzano verso l’alto quando il corpo è colpito da infezioni o lesioni. L’albumina, invece, è la proteina più abbondante del plasma e svolge funzioni vitali, come mantenere l’equilibrio dei liquidi e trasportare nutrienti e ormoni.

Mettendo a confronto i valori di PCR e albumina, il CAR offre una fotografia dello stato infiammatorio dell’organismo. Più il rapporto è elevato, più significa che il corpo si trova sotto stress infiammatorio. Finora questo indice è stato associato a prognosi peggiori in malattie come tumori, infezioni e problemi cardiovascolari. Ma adesso entra in scena un nuovo capitolo: il suo legame con la depressione.

Lo studio: i numeri e i risultati

I ricercatori hanno analizzato i dati del National Health and Nutrition Examination Survey (NHANES), un ampio studio condotto negli Stati Uniti su oltre 13.000 partecipanti.

Ecco alcuni numeri chiave:

  • Campione dello studio: 13.159 persone.

  • Età media: 49 anni.

  • Distribuzione di genere: 49% uomini.

  • Percentuale con depressione: circa 8%.

I sintomi depressivi sono stati valutati attraverso il Patient Health Questionnaire-9 (PHQ-9), un questionario standardizzato, mentre i valori di PCR e albumina sono stati ottenuti da analisi del sangue.

Il risultato? Le persone con depressione avevano un CAR significativamente più alto rispetto a chi non ne soffriva. Questa associazione è rimasta valida anche tra i sottogruppi con problemi metabolici, segnalando un’ulteriore conferma dei dati.

Un biomarcatore per la depressione?

Se confermato, questo risultato apre a un’ipotesi affascinante: il CAR potrebbe diventare un biomarcatore della depressione, cioè un segnale biologico misurabile utile a individuare chi è a rischio o chi sta già soffrendo di questo disturbo mentale.

Certo, bisogna essere cauti. Come hanno sottolineato gli stessi autori, lo studio non consente di stabilire un rapporto di causa-effetto. Non sappiamo se sia l’infiammazione a favorire la depressione, se sia la depressione ad aumentare lo stato infiammatorio, o se entrambe le condizioni si alimentino a vicenda. Rimane anche aperta la possibilità che esistano fattori terzi in grado di spiegare questa correlazione.

La voce degli autori

I ricercatori dello studio affermano:

“I nostri risultati hanno dimostrato che un elevato livello di CAR era positivamente associato alla depressione. Tuttavia, per comprendere meglio i meccanismi e confermare i risultati ottenuti saranno necessari ulteriori studi.”

Perché questo studio è così importante?

Immagina un futuro in cui un semplice esame del sangue possa segnalare una predisposizione alla depressione. Non sarebbe rivoluzionario? Potremmo intervenire prima che i sintomi diventino invalidanti, prevenire complicazioni e personalizzare i trattamenti.

D’altra parte, la depressione è un disturbo multifattoriale. Non possiamo tuttavia ridurla solo a un valore di laboratorio, in quanto entrano in gioco anche altri fattori importantissimi, come la genetica, le esperienze di vita, l’ambiente sociale, gli eventi traumatici e molto altro. Tuttavia avere a disposizione un indicatore biologico sarebbe un passo enorme verso diagnosi più precise e terapie più mirate.

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Nata e cresciuta a Rosignano Solvay , appassionata da sempre per tutto quello che ruota intorno al benessere della persona. Biologa, diplomata all'I.T.I.S Mattei