Scopri la metafora della rana bollita di Chomsky e perché è fondamentale per capire il mondo di oggi.
Immagina una pentola d’acqua sul fuoco e una rana. Se l’acqua è già bollente e provi a buttarcela dentro, salterà fuori all’istante. Ma se l’acqua è tiepida e viene riscaldata gradualmente, la rana rimane lì, placida e sonnolente. Non si accorge minimamente del cambiamento. Finché non è troppo tardi.
È questa l’immagine, tanto inquietante quanto efficace, con cui Noam Chomsky descrive un fenomeno che riguarda tutti noi. Si chiama principio della rana bollita. È una riflessione che ci invita a prestare attenzione al modo in cui i cambiamenti graduali, impercettibili ma continui, possono condurci alla rovina senza che ce ne accorgiamo.
La rana siamo noi
Siamo noi, ogni volta che tolleriamo piccole restrizioni delle nostre libertà, ogni qualvolta accettiamo con indifferenza nuove regole, piccoli aumenti di prezzo, micro-aggressioni, abusi di potere o invasioni nella nostra privacy.
Oggi una videocamera in più in strada. Domani un algoritmo che decide cosa possiamo vedere. Dopo domani una legge che limita il dissenso. Ma se tutto accade lentamente e senza scosse, restiamo lì, inerti e fermi in quella pentola che si scalda, mentre il bollore – punto di non ritorno – si avvicina.
“La popolazione non si accorge del pericolo, se il potere opera lentamente e in modo impercettibile”
Questa frase
Ed è qui che questa metafora colpisce forte. Perché parla della nostra passività, della nostra assuefazione. E soprattutto della nostra tendenza a svegliarci solo quando è troppo tardi.
Una trappola psicologica
Ma perché succede? Perché non ce ne accorgiamo prima?
La risposta è nella natura umana. Il cervello odia il cambiamento improvviso in quanto lo percepisce come una minaccia. Ma i cambiamenti lenti e graduali, vengono assorbiti e normalizzati. Si crea un effetto chiamato normalizzazione del rischio, che ci porta ad accettare condizioni sempre peggiori solo perché si sono instaurate lentamente.
Alcuni esempi:
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In ambito lavorativo: una mail in più la sera, poi due, poi telefonate nel weekend… finché non esistono più orari.
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In politica: un piccolo decreto “in via eccezionale”, poi altri simili… finché l’eccezione diventa la regola.
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In economia: un rincaro giustificato, poi un altro… finché il costo della vita diventa insostenibile.
E noi? Siamo lì, come la rana, a goderci il tepore, senza accorgerci che l’acqua ormai è troppo calda.
Il potere del silenzio
Secondo Chomsky, uno dei meccanismi più insidiosi è proprio il silenzio. Non solo quello dei governi, ma anche il nostro. Il silenzio della società civile, l’apatia e la mancanza di reazione sono il terreno fertile su cui il potere costruisce la sua invisibile gabbia. E in fondo, se nessuno si lamenta, allora va tutto bene, giusto?
Sbagliato. Il silenzio, in questi casi, è il carburante del sistema. È ciò che consente all’acqua di continuare a scaldarsi senza ostacoli. Non è un caso che i grandi cambiamenti autoritari nella storia siano passati spesso in sordina, in modo progressivo e mai con estremo rumore o clamore.
Ma quindi… siamo condannati?
No, tuttavia dobbiamo svegliarci, e occorre farlo subito. Dobbiamo imparare a riconoscere il calore prima che diventi insopportabile. Dobbiamo allenare la nostra consapevolezza critica, nonché interrogarci su ogni piccola modifica nel nostro ambiente e nelle nostre abitudini. Non per diventare paranoici, ma per non diventare ciechi.
Come posso fare? Ecco alcuni antidoti al principio della rana bollita:
3. Attenzione alle abitudini
Ogni volta che una “nuova normalità” si impone, non accettiamola in automatico. Facciamoci sempre delle domande scomode ma fondamentali:
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Com’era prima?
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Perché abbiamo accettato questo cambiamento?
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Ci ha davvero giovato… o ci hanno fregati con il sorriso sulle labbra?
L’essere umano è una creatura abitudinaria. Una volta che qualcosa si ripete per un po’, il cervello smette di metterlo in discussione. È il motivo per cui iniziamo a tollerare:
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pubblicità invadenti ovunque, anche mentre leggiamo una ricetta
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ore extra di lavoro “perché è normale rispondere alle email anche la sera”
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la costante sorveglianza digitale “per la nostra sicurezza”
Ci siamo dentro fino al collo. Ma se non mettiamo mai in discussione queste abitudini, rischiamo di perdere pezzi della nostra libertà quotidiana senza nemmeno rendercene conto.
Un piccolo esempio? Quando le videocamere di sorveglianza sono comparse in città, si diceva: “Solo nei luoghi più a rischio”. Oggi sono ovunque, anche nei parchi, nei mezzi pubblici e perfino nelle scuole. E ci sembrano normali. Ma siamo ancora sicuri che sia giusto? Che serva davvero? O semplicemente ci siamo abituati come il cane viene abituato a fare i propri ” bisogni ” fuori casa?
4. Presidio dei diritti
I diritti non rappresentano una conquista immutabile. Sono come piante delicate: se non li innaffi, appassiscono. Se non li difendi, si spezzano.
Mai dare per scontata una libertà.
Ricorda che tu possiedi:
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Il diritto di manifestare
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Il diritto alla privacy
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Il diritto a un’informazione libera
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Il diritto a una sanità pubblica e accessibile
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Il diritto al lavoro senza sfruttamento
Ogni volta che uno di questi diritti viene limitato “temporaneamente” o “per cause eccezionali”, bisogna stare in allerta. Perché spesso il temporaneo diventa permanente. E l’eccezione… la nuova regola.
Un esempio lampante è quello della sorveglianza di massa introdotta durante emergenze sanitarie o terroristiche. Una volta passata l’emergenza, molte di quelle misure restano lì. Perché? “Per sicurezza”, ci dicono. Ma intanto ci osservano, ci profilano e ci controllano.
Un altro esempio? Il diritto allo sciopero. In alcuni settori essenziali, è stato ridotto o regolamentato in modo sempre più rigido. Prima “per non creare disagi”, poi “per motivi economici”, poi “perché non è il momento”. E il risultato? Il diritto sulla carta esiste ancora… ma nella realtà si è ridotto in forza.
Ogni volta che un diritto si assottiglia, il potere si rafforza. E se nessuno lo nota, e nessuno protesta quel gradino della democrazia sparisce.
5. Reazione proporzionata
Non serve sempre saltare fuori dalla pentola. Nessuno ti sta dicendo di inneggiare alla rivoluzione ogni volta che cambia il regolamento del parcheggio. Ma attenzione: serve reagire con lucidità.
La consapevolezza è il primo passo. Se senti che l’acqua si scalda, non restare fermo. Alzati in piedi, osserva meglio e magari accendi un termometro, per misurare, analizzare e capire meglio. E fallo sapere anche agli altri che l’acqua sta diventando eccessivamente bollente.
Fai capire che ce ne siamo accorti, che siamo vivi, svegli e presenti.
A volte basta poco:
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Scrivere un post, un articolo o anche una lettera a un giornale.
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Firmare una petizione, partecipare a un incontro o a un dibattito.
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Parlare con gli amici, con i figli o con i colleghi.
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Chiedere: “Scusa, ma tu sei d’accordo con questa nuova norma? Ti sembra giusta?”
La reazione non deve essere rabbiosa. Deve essere ponderata e condivisa.
Perché il sistema non teme il caos. Il sistema teme la coscienza collettiva.
Una metafora che brucia
La forza di questa immagine sta proprio nella sua semplicità. Una rana, una pentola e un fuoco. E dietro, un’intera società che rischia di spegnere la propria coscienza civica in cambio di un po’ di comfort.
E poi arriva il punto in cui l’acqua non è più sopportabile. Ma a quel punto… non siamo più in grado di saltare fuori. Ormai il punto di non ritorno è stato più che raggiunto.
Allora bisogna farlo prima. Meglio essere considerati “esagerati” oggi, che pentirsi domani. Meglio alzarsi in piedi per una libertà piccola, che restare seduti e perderle tutte.
Perché il potere, quando è davvero efficace, non impone, ma addormenta.
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