Salveresti il tuo animale domestico o una persona sconosciuta?
Sei di fronte a una situazione di vita o di morte, e devi compiere una scelta: salvare il tuo amato animale domestico, oppure un estraneo, una persona che non conosci nemmeno.
Quasi sicuramente, molti di noi sceglierebbero di salvare il proprio animale. Questo deriva dal fatto che esiste un legame affettivo profondo tra noi e il nostro compagno a quattro zampe, un legame che non possiamo semplicemente ignorare.
Tuttavia, la vera domanda che dobbiamo porci è: come reagiremmo se fossimo noi, a trovarci in quella stessa situazione, ma con un altro individuo che, di fronte a un pericolo simile, sceglierebbe di salvare il suo animale domestico, anziché nostro figlio? Lo accetteremmo secondo voi?
Se ci chiedessero di mettere a confronto il nostro cane con una persona sconosciuta, molte persone – per quanto “moralmente” giusto sia mettere un essere umano prima – risponderebbero in modo istintivo: “Il mio animale è parte della famiglia e vale assolutamente di più!”.
Il punto non è se sia giusto o sbagliato scegliere di salvare il proprio animale domestico invece di uno sconosciuto. Il punto, è che le stesse persone che farebbero questa scelta – scegliere di salvare l’animale domestico – quasi sicuramente diventerebbero furiose se qualcun altro prendesse la loro stessa decisione, mettendo a rischio la vita di una persona a loro cara.
La psicologia dell’autogiustificazione
Da un punto di vista psicologico, questa dinamica è ben spiegata dal concetto di dissonanza cognitiva. La dissonanza cognitiva si verifica quando le nostre azioni entrano in conflitto con i nostri valori.
In una situazione di emergenza, una persona che decide di salvare il proprio cane anziché un estraneo, riduce questa dissonanza, giustificando la propria azione con il legame affettivo che lo lega all’animale.
“L’amore per il mio cane giustifica questa scelta”. In questo modo, il pensiero giustifica la nostra decisione, fungendo da giustificazione morale, in quanto riesce a bilanciare correttamente il valore della vita umana, con l’affetto che proviamo per il nostro animale domestico.
Senza il legame affettivo con il cane, la scelta sarebbe molto più facile da razionalizzare, in quanto in una situazione di emergenza, il nostro istinto sarebbe quello di salvare l’essere umano.
Questa giustificazione diventa, quindi, molto personale. Quando si tratta di sé stessi, la nostra mente è abituata a difendere le scelte fatte, anche se queste sembrano eticamente ambigue.
L’affetto per il nostro cane “supera” in qualche modo la logica razionale, spingendoci a prendere una decisione che, in un altro contesto, potrebbe sembrare moralmente discutibile. La nostra mente è programmata per trovare un senso in ciò che facciamo, anche quando le scelte non sono razionali.
Il principio dell’uguaglianza
Quando la stessa logica viene applicata a un’altra persona, la situazione cambia drasticamente. L’essere umano tende a valutare la propria esperienza emotiva, come superiore a quella degli altri.
Il legame emotivo con il proprio figlio non può essere giustificato in modo razionale, ma rappresenta un impulso naturale e profondo, che spinge alla protezione. Questo legame è radicato nell’istinto di sopravvivenza, indipendentemente dalle considerazioni morali.
La figura genitoriale è vista come la base della nostra identità, e la perdita di un figlio è qualcosa che va al di là di qualsiasi razionalizzazione possibile.
Nel caso di un altro individuo, che salva il suo cane al posto di nostro figlio, la nostra reazione istintiva sarebbe di estrema rabbia ed incredulità. Il valore di una vita umana, specialmente quella di un figlio, è percepito come superiore sotto ogni punto di vista.
Quando vediamo un altro che compie una scelta simile alla nostra (salvare l’animale al posto di una vita umana), il nostro cervello si trova ad affrontare una reazione di forte di indignazione.
Il dilemma filosofico della “gerarchia dei valori”
La filosofia morale ci insegna che ci sono principi morali universali (come il valore della vita umana), e principi legati alle preferenze soggettive (come l’affetto per un animale domestico).
Tuttavia, la gerarchia dei valori non è mai fissa e universale, ma cambia in base alla percezione individuale e al contesto. Per un genitore, il valore della vita di un figlio è assoluto e incomparabile con quello di un animale, ma per un’altra persona, l’affetto per il proprio animale potrebbe rappresentare un legame altrettanto sacro e fondamentale.
Jeremy Bentham, filosofo utilitarista, sosteneva che le scelte morali dovrebbero basarsi sul principio di fare il maggior bene per il maggior numero di persone, senza distinguere tra esseri umani o animali.
In teoria, questo approccio dovrebbe aiutarci a prendere decisioni morali oggettive, considerando il benessere complessivo, e non facendo differenze tra le singole vite coinvolte.
Tuttavia, nella realtà, l’essere umano è incapace di applicare questa logica in modo universale quando si tratta di scelte che coinvolgono affetti personali.
Quando ci troviamo in una situazione di vita o di morte, la nostra reazione è immediata, e fortemente influenzata dai legami emotivi che abbiamo, come quello con un figlio o un animale domestico.
Non c’è tempo per una riflessione razionale e oggettiva, come suggerisce l’utilitarismo; ciò che prevale è l’istinto e l’affetto, che ci spingono a fare scelte basate sulla vicinanza emotiva.
Anche se razionalmente volessimo applicare il principio utilitarista, la realtà emotiva e affettiva ci porta a prendere decisioni che riflettono la nostra connessione personale con le persone o gli animali coinvolti, piuttosto che un calcolo razionale del “maggior bene”.
Giustificare se stessi, e condannare gli altri
Un altro punto importante è il fatto che gli esseri umani tendono a giustificare le proprie azioni, ma non quelle degli altri.
Se una persona sceglie di salvare il suo cane invece di un estraneo, giustifica la sua scelta attraverso il legame affettivo che ha con l’animale. Tuttavia, se qualcun altro – nella sua medesima situazione – facesse la sua stessa scelta, mettendo il proprio animale al posto di una persona sconosciuta, probabilmente non accetterebbe questa decisione.
La logica affettiva che giustifica la propria azione non sarebbe tollerata se applicata da un’altra persona. La moralità, infatti, diventa così relativa, e legata ai propri interessi personali.
Nel caso del genitore, la risposta istintiva alla stessa situazione sarebbe di rifiuto totale. La morte di un figlio per la salvezza di un animale sarebbe considerata un atto irrazionale e totalmente inaccettabile, nonostante il genitore stesso, in un’altra situazione potrebbe essere altrettanto “egoista”, nel salvare il proprio cane, al posto di un altro essere umano con cui non ha nessun tipo di legame affettivo.
Questo crea una contraddizione morale tra ciò che facciamo per noi stessi, e ciò che siamo disposti ad accettare dagli altri.
Riflessioni finali
La contraddizione che viene fuori da questa scelta, non riguarda solo la moralità, ma anche la natura stessa dell’essere umano. Noi siamo esseri emotivi, e spesso, proprio quando cerchiamo di giustificare le nostre scelte, dimentichiamo che ciò che è giusto per noi, potrebbe non esserlo per gli altri.
La scelta tra salvare un animale o una persona può sembrare un concetto astratto e lontano, ma è un riflesso della nostra capacità di dare valore alla vita. Un valore che cambia a seconda di chi amiamo, di chi siamo e di come percepiamo il mondo.
Post Comment
You must be logged in to post a comment.