Quando l’amore diventa possesso: perché i femminicidi continuano ad aumentare?

amore diventa possesso

Succede troppo spesso. Un’altra donna uccisa. Un altro uomo che “non accettava la fine della relazione”. Un altro titolo, un’altra foto e un altro mazzo di fiori davanti a un portone chiuso per sempre. E la domanda che ci martella dentro è sempre la stessa: perché accade questo?

Perché un ragazzo non accetta un no. Perché un uomo preferisce distruggere piuttosto che lasciare andare. Perché in tanti, ancora oggi, confondono l’amore con il possesso. E soprattutto, perché nessuno ha insegnato loro che l’amore, quando finisce, va lasciato andare. Non trascinato. Non forzato. E, meno che mai, ucciso.

Il femminicidio non è una tragedia privata. È una malattia culturale

Non è un “raptus”. Non è una sfortuna. Non è nemmeno, come molti ancora dicono, un “delitto passionale”. È un atto sistemico di potere e controllo, che si verifica in una cultura che per secoli ha insegnato agli uomini che possono decidere sul futuro delle donne.

Chiariamo subito un punto: non tutti gli uomini sono violenti, anzi la maggior parte degli uomini non sono violenti e purtroppo, in alcuni casi anche loro sono vittima di donne manipolatrici. Fatto questo piccolo, ma doveroso preambolo, occorre anche dire che la violenza fisica ha radici in un certo tipo di mascolinità tossica che, ancora oggi, fatica a morire.

Una mascolinità che associa il valore dell’uomo al dominio, al controllo e all’incapacità di accettare il rifiuto come una parte sana dell’esistenza.

E i numeri non mentono. Negli ultimi anni, i femminicidi sono aumentati, nonostante le campagne di sensibilizzazione. Nonostante le denunce. Nonostante le richieste di aiuto. Perché?

  • Perché la violenza spesso si consuma tra le mura domestiche, lontano dagli occhi

  • Perché la società continua a minimizzare segnali evidenti, come la gelosia estrema, il controllo o le minacce

  • Perché si educano i bambini a “non piangere” invece che ad “ascoltare”

  • Perché si dice “lei lo ha provocato” invece che “lui ha scelto la violenza”

  • Perché si romanticizza l’ossessione con frasi tipo “ti amo troppo per lasciarti andare”

E infine, perché non si insegna ad accettare che l’amore può finire, e che lasciar andare è a volte il più grande atto d’amore che si possa compiere.

L’incapacità di accettare la fine: amore o ego ferito?

Molti uomini, quando una relazione finisce, non sentono di perdere una persona. Sentono di perdere se stessi. Come se la loro identità si sgretolasse nel momento in cui l’altra persona dice basta. Questo non è amore. Questo è narcisismo ferito. È l’idea che l’altro esiste solo in funzione del nostro bisogno.

Ma cosa porta un essere umano a non tollerare la separazione? A trasformare il rifiuto in vendetta?

  • Un’educazione affettiva inesistente o distorta, dove si impara che “l’uomo non deve mostrare debolezza”

  • La convinzione che la relazione sia un possesso, non una scelta reciproca

  • L’identificazione totale con il ruolo di partner, come se l’esistenza stessa dipendesse da quell’amore

  • La cultura del dominio, dove “perdere” è inaccettabile, anche quando significa perdere l’amore vero

  • La paura della solitudine, che spinge a preferire il controllo alla libertà dell’altro

In tutto questo, l’amore sparisce, e resta solo la frustrazione. L’ossessione. Il bisogno patologico di tenere l’altro con sé, anche contro la sua volontà.

Una domanda allora si impone, brutale ma necessaria:
Che senso ha voler stare con qualcuno che non ti vuole più?

La risposta più sincera sarebbe: nessuno. Eppure, molti ragazzi non ci arrivano. Perché nessuno ha insegnato loro che accettare la fine di un amore non è una debolezza, è maturità. Nessuno li ha educati alla perdita, al lutto e all’elaborazione di un “no” come parte integrante della vita.

E così si innesca un paradosso drammatico. Si vuole trattenere qualcuno a forza, sapendo che non sarà mai felice con noi. Ma se lei non è felice, come potremmo esserlo noi? È un sabotaggio affettivo!

Il paradosso della forzatura emotiva

Costringere qualcuno a rimanere con te quando non ti ama più è come tentare di tenere l’acqua tra le dita. Puoi stringere il pugno quanto vuoi, ma l’acqua scivola via. E più ti accanisci, più perdi tutto.

Eppure, molti uomini si accaniscono. Non perché siano folli, ma perché sono fragili dentro. Fragili a tal punto da non concepire la libertà dell’altro come una realtà possibile. Preferiscono l’illusione del controllo al dolore autentico della separazione.

Ma quella non è più una relazione. È un sequestro emotivo. Un simulacro d’amore che alimenta solo frustrazione, rabbia e odio.

Restare con chi non ci ama è come abitare in una casa in fiamme, cercando di convincersi che il calore sia affetto. È un inganno doloroso, che brucia tutto: la fiducia, la dignità e l’autostima.

E allora sorge spontanea un’altra domanda:

Che senso ha costringere qualcuno a condividere la propria infelicità?

Chi ama davvero non chiede l’infelicità in cambio della propria sicurezza. Chi ama lascia andare. Con dolore, certo. Ma anche con rispetto. Perché l’amore vero è sempre un atto di libertà reciproca. Non di possesso.

Due vite buttate. Una scelta senza ritorno

Quando un uomo uccide una donna perché non accetta di essere lasciato, non distrugge solo la vita di lei. Distrugge anche la propria. E spesso quella di figli, genitori, amici, fratelli e intere famiglie.

Chi compie un femminicidio non è un “innamorato folle”, bensì una persona che ha rifiutato di vivere nella realtà, scegliendo di imporsi con la violenza dove non poteva più amare.

E allora succede il disastro:

  • La donna muore, spesso dopo mesi o anni di violenze taciute, normalizzate e sottovalutate

  • L’uomo finisce in carcere, o si toglie la vita

  • I figli restano orfani due volte: della madre assassinata e del padre assassino

  • Le famiglie affondano nel silenzio e nello stigma

  • La società intera si interroga, ma troppo spesso dimentica dopo pochi giorni

Ma quello che non si dice abbastanza è che tutto questo potrebbe essere evitato. Bastava un gesto: accettare che l’amore potrebbe finire. 

Uccidendo, quell’uomo ha perso tutto. Ha perso anche la possibilità di rinascere. Perché ogni rottura, per quanto dolorosa, è anche un’occasione di trasformazione. Un punto di ripartenza.

Rinunciare all’amore vero per inseguire un’illusione

Forzare una relazione non è amore. È paura. È dipendenza. È bisogno disperato di controllo. È un tappo messo su un dolore antico, spesso mai affrontato. Ma soprattutto, è un gesto che impedisce a entrambi di essere davvero felici.

Chi trattiene qualcuno contro la sua volontà si condanna a una prigione sentimentale. Resta incastrato in una narrazione tossica dove “se ti ho perso, allora non valgo niente”. Ma è falso. È solo una bugia che ci raccontiamo quando abbiamo troppa paura di stare da soli.

E così, tanti uomini si precludono la possibilità di incontrare un amore nuovo, autentico e libero. Perché non riescono a lasciare andare il vecchio. Preferiscono distruggere tutto, invece che ricostruirsi.

Ma il vero amore arriva dopo. Dopo il dolore, dopo la perdita e dopo la trasformazione. Arriva quando smettiamo di voler trattenere l’altro.

Lasciare andare l’altro è un atto d’amore. Anche verso sé stessi!

Spesso pensiamo che lasciare andare qualcuno significhi perdere. Rinunciare. Cedere. Ma la verità è che lasciare andare può essere il gesto più potente di amore che possiamo compiere. Non solo verso l’altro, ma soprattutto verso noi stessi.

Quando trattieni qualcuno che non ti ama più, ti stai anche dimenticando di te. Dimentichi che meriti una relazione in cui l’amore è reciproco. Dimentichi che la tua felicità non può dipendere da qualcuno che ti rifiuta. Rimani legato a un fantasma e smetti di costruire la tua vita reale.

Lasciare andare non è debolezza. È forza. È il coraggio di scegliere la tua dignità invece che il controllo. È dire a te stesso: “Merito di più. Merito qualcuno che mi ami davvero. E se non è questa persona, allora va bene così.”

Solo quando lasci andare chi non ti vuole, crei spazio per qualcuno che ti vorrà davvero. Solo allora puoi guardarti allo specchio e dire: mi sto scegliendo. E questa è la forma più pura di rispetto e amore che possiamo offrire a noi stessi.

Serve una nuova educazione all’amore

Il cambiamento parte da qui. Dall’educazione emotiva. Dall’idea rivoluzionaria che l’amore si insegna, così come si insegna a leggere e a scrivere.

Serve:

  • Insegnare ai ragazzi che essere lasciati non è una vergogna, ma una parte naturale della vita

  • Parlare nelle scuole di affettività, di rifiuto e di relazioni sane

  • Cambiare i modelli culturali che esaltano la gelosia come segno d’amore

  • Smontare l’idea che l’uomo “vero” è quello che vince, che domina e che non piange mai

  • Offrire ai giovani strumenti per affrontare il dolore senza trasformarlo in rabbia

Non basta punire. Serve prevenire. Serve creare una cultura dell’amore che non abbia più paura di lasciar andare. Serve dire chiaramente: l’amore vero non uccide. L’amore vero libera. Sempre!

Nata e cresciuta a Rosignano Solvay , appassionata da sempre per tutto quello che ruota intorno al benessere della persona. Biologa, diplomata all'I.T.I.S Mattei