Perché essere troppo gentili può renderci vulnerabili? Una spiegazione che unisce psicologia e visione machiavelliana.

gentilezza

Molte persone sperimentano durante il corso della vita, una stanchezza particolare, che non dipende da mancanza di sonno o da lavoro eccessivo, ma che nasce dal tentativo continuo di mantenere in equilibrio le relazioni, tramite l’evitamento dei conflitti, una disponibilità infinita, nonché da una comprensione estrema, anche quando sarebbe più legittimo provare rabbia o porre dei limiti.

È una fatica invisibile che nasce dal bisogno costante di mostrarsi “buoni”, educati e moralmente ineccepibili.

Fin da piccoli infatti, molti imparano che essere gentili è la scelta più giusta, e che la bontà sarà sempre ricompensata, ma questa convinzione — ben radicata e rassicurante — può trasformarsi in un’illusione, dato che non sempre il mondo premia i comportamenti virtuosi, e spesso, chi si impegna costantemente per piacere agli altri, finisce solo per sentirsi ignorato o dato per scontato.

La delusione del “bravo ragazzo”: quando la disponibilità diventa invisibilità

Una delle emozioni più comuni vissute dalle persone che si autodefiniscono, come brave persone è la frustrazione.

Molti raccontano di aver aver evitato discussioni per non deludere, o di aver perdonato mancanze importanti pur di non creare tensioni. Altri ammettono inoltre, di aver tollerato persino atteggiamenti irrispettosi, temendo che reagire li avrebbe fatti sembrare “duri” o “egoisti”.

Il risultato di tutto ciò? Più si concede, e più gli altri ti chiedono. Più si dà, e meno si viene valorizzati. Ed è a questo punto che entra in scena una figura storica — Niccolò Machiavelli — spesso fraintesa.

Machiavelli, oltre i luoghi comuni: una lezione sulla natura umana

Contrariamente alla sua reputazione, Machiavelli non invitava alla crudeltà. Nel Principe analizzava il funzionamento del potere e della percezione, mostrando un aspetto della realtà che molti preferiscono ignorare: la morale, se separata dal contesto e dalla strategia, rischia di diventare una trappola subdola.

Secondo il pensatore fiorentino, non conta soltanto essere moralmente giusti, ma anche apparire efficaci.

Non basta avere buone intenzioni: “Tutti vedono ciò che sembri, ma pochi conoscono ciò che sei”. Il rispetto, osservava Machiavelli, non dipende dalle intenzioni, ma dalla capacità di agire, di proteggersi e di essere riconosciuti come individui con un ruolo e un peso sociale ben definito.

Due esempi per comprendere davvero il pensiero di Machiavelli

Quando la bontà si ritorce contro: l’esempio della disponibilità senza limiti

Immaginiamo una persona sempre pronta ad aiutare i colleghi, a coprire turni extra e a risolvere problemi che non le competono. All’inizio viene apprezzata, ma col tempo la sua disponibilità continua diventa scontata.

Ogni “favore” si trasforma in aspettativa, e ogni limite posto — per esempio rifiutare un incarico urgente all’ultimo minuto — viene percepito come una mancanza di impegno.

Il risultato è paradossale: più questa persona dà, meno viene rispettata. La sua bontà — non accompagnata da confini chiari — finisce per essere interpretata come debolezza o come mancanza di fermezza.

Si crea così un circolo vizioso in cui l’altro non si sente riconoscente, ma semplicemente autorizzato a chiedere sempre di più.

Quando la bontà equilibrata diventa costruttiva: l’esempio dei confini assertivi

Ora consideriamo una persona altrettanto gentile e collaborativa, ma capace di stabilire limiti chiari.

Anche lui aiuta i colleghi quando può, ascolta con empatia, partecipa attivamente ai progetti, ma sa dire “no” quando un compito eccede le sue responsabilità, o rischia di compromettere il suo benessere.

Questa forma di bontà non è né rigida, né accondiscendente, ma è consapevole. Proprio perché nasce da una scelta, e non dalla paura o da una sorta di automatismo, diventa più credibile e più rispettata.

Chi la circonda capisce che quella persona è altruista, ma anche solida, affidabile, e soprattutto non manipolabile. Il rispetto aumenta — non diminuisce — perché la gentilezza si accompagna alla dignità, e non alla sottomissione.

In questo caso, la bontà diventa un punto di forza, dato che comporta relazioni chiare, sane e basate sulla reciprocità.

NOTA BENE: La cieca obbedienza non genera rispetto. Nessuno considera autorevole chi si limita ad acconsentire a tutto ciò che gli altri chiedono.

Perché la gentilezza può essere scambiata per debolezza?

Nella vita quotidiana, la gentilezza assoluta e senza confini è spesso interpretata come disponibilità illimitata.

Chi non espone mai i propri limiti viene percepito come facilmente manipolabile; chi non reagisce, come privo di conseguenze. In questo senso, Machiavelli spiegava che un leader non deve necessariamente essere temuto, ma deve poter incutere rispetto attraverso la fermezza.

La sua celebre metafora della volpe e del leone incarna alla perfezione questa idea.

La volpe rappresenta l’astuzia: la capacità di riconoscere i pericoli nascosti, di leggere le intenzioni altrui e di evitare le trappole, mentre il leone, invece, incarna la forza e la fermezza, cioè la capacità di imporsi, di difendere i propri confini e di scoraggiare chi potrebbe approfittarsene.

Secondo Machiavelli, “un individuo efficace” deve saper coniugare alla perfezione entrambe queste qualità: lucido nell’interpretare le situazioni e sufficientemente deciso da farsi rispettare.

Solo l’unione di queste due qualità permette di muoversi con sicurezza nelle relazioni e nei contesti complessi di tutti i giorni.

Le radici psicologiche del bisogno di compiacere

La tendenza a voler piacere a tutti raramente nasce da un tratto innato. Spesso è il risultato di un condizionamento precoce: molti bambini infatti, imparano ben presto, che l’approvazione degli adulti dipende dalla loro capacità di essere tranquilli, accomodanti, e silenziosi.

Crescono quindi associando la gentilezza alla sicurezza emotiva.

Con il tempo, questa forma di adattamento può evolvere in una vera e propria sottomissione. L’adulto che da bambino è stato educato a compiacere, finisce infatti, per dire sempre di sì, per evitare il conflitto in ogni circostanza, e per cercare di giustificare anche comportamenti palesemente ingiusti. Allo stesso modo, tende a perdonare troppo in fretta, spesso contro il proprio stesso benessere.

Questo atteggiamento può essere scambiato erroneamente per empatia, in realtà, alla base c’è soprattutto la paura: paura di essere rifiutati, di sembrare egoisti, di perdere l’affetto o la considerazione delle persone intorno. Una gentilezza totale che, anziché proteggere, finisce per imprigionare.

Il rischio è quello di perdere il senso della propria identità, confondendo la gentilezza con l’auto-cancellazione.

Quando la bontà diventa ingenuità

Essere buoni non significa essere disponibili ad oltranza. La vera gentilezza non richiede l’annullamento di sé, ma la capacità di scegliere quando, e come donarsi agli altri. L’ingenuità, al contrario, si aspetta che tutti ricambino sempre con la stessa onestà, ma la realtà non sempre funziona così.

Secondo una lettura moderna, Machiavelli non criticava la virtù, ma criticava l’ingenuità. In un contesto sociale complesso, la bontà senza consapevolezza può trasformarsi in estrema vulnerabilità.

La vera domanda che ogni persona dovrebbe porsi è: la mia gentilezza mi protegge o mi espone?

Perché i confini vanno mostrati fin dall’inizio: l’errore che molti commettono

Mostrare fin da subito di essere una persona gentile, ma anche ferma nelle sue decisioni, è molto diverso dal diventarlo solo dopo che gli altri hanno già percepito una certa arrendevolezza.

Molte persone infatti, tendono ad indossare inizialmente una “maschera di bontà”, per risultare piacevoli. Solo quando si accorgono di essere state messe da parte o sfruttate, allora cambiano atteggiamento, diventando brusche e cercando di recuperare l’autorevolezza ormai perduta.

Il problema è che, a quel punto, l’immagine che gli altri hanno costruito su di loro è già consolidata.

PER CAPIRE MEGLIO: Se dai ogni giorno una mela a qualcuno, quella persona finirà per considerarlo un gesto normale, quasi ovvio. Non perché sia cattiva, ma perché si abitua a riceverla. E quando, dopo mesi, decidi legittimamente di non dargliela più — come farebbe chiunque — l’altro può reagire come se gli stessi togliendo un diritto.

Non è questione di ingratitudine, ma di aspettative: quando abitui qualcuno ad una disponibilità costante, modificare improvvisamente quel comportamento può essere percepito come un torto.

Ecco perché è importante stabilire i confini dall’inizio: non per essere meno generosi, ma per evitare che la gentilezza venga scambiata per sottomissione e che, alla fine, si ritorca contro chi la offre.

Dalla passività all’integrità: come costruire una gentilezza forte

Molti, una volta consapevoli della propria eccessiva disponibilità, reagiscono in modo opposto: diventano duri, distaccati, quasi cinici. È il cosiddetto “effetto rimbalzo”, tuttavia, passare da un estremo all’altro significa, di fatto, perdere ancora una volta la propria autenticità.

L’obiettivo non è diventare freddi, ma integri. Occorre ritrovare una forma di gentilezza che nasce da una scelta, e non dalla paura. Ecco come fare:

Occorre riscoprire la propria voce

Esprimere ciò che si pensa non è egoismo, ma autodeterminazione. Il vero egoismo è aspettarsi che una persona viva soffocando ciò che prova pur di non disturbare.

Imparare a dire no

Un “no” calmo e chiaro, privo di ostilità, è uno strumento di tutela psicologica, dato che stabilisce confini e comunica all’altro, che il proprio tempo ha valore.

Osservare chi si oppone al cambiamento

Quando si diventa più assertivi, chi beneficiava della nostra disponibilità illimitata può reagire con fastidio. È un indicatore importante: significa che il cambiamento sta funzionando.

Smettere di cercare approvazione universale

Non tutti comprenderanno la trasformazione, e va bene così. L’obiettivo finale non è quello di essere accettati da tutti, ma di vivere in modo coerente con la propria verità.

Sostituire il bisogno di essere amati con il bisogno di essere autentici

La stima di sé nasce dalla coerenza, e non dall’accondiscendenza cieca.

Conclusione

Machiavelli non invitava a rinunciare ai propri valori, tuttavia, invitava a smettere di usarli come catene. Vogliamo essere amati a qualsiasi costo o si vuole essere liberi?

Restare intrappolati nel ruolo della “persona sempre gentile” può portare a frustrazione ed invisibilità. Scegliere l’autenticità, invece, significa agire con presenza ed intenzione, definendo confini e riconoscendo il proprio valore.

Il mondo tende a rispettare chi si rispetta; e la libertà, personale ed emotiva, nasce quando si smette di chiedere il permesso di esistere.

Nata e cresciuta a Rosignano Solvay , appassionata da sempre per tutto quello che ruota intorno al benessere della persona.Biologa, diplomata all'I.T.I.S Mattei