Non ereditiamo la colpa, ma ereditiamo il dovere alla memoria!

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Non ereditiamo la colpa, ma ereditiamo il dovere alla memoria!

Questa frase capovolge il modo in cui, troppo spesso, la storia viene raccontata, vissuta, e soprattutto usata. Ci viene insegnato a guardare al passato come a un registro di colpe, in cui qualcuno debba sempre qualcosa a qualcun altro, ma la verità è un’altra!

Nessuno di noi ha firmato i trattati coloniali, sganciato bombe nucleari o costruito campi di concentramento. Gli autori di quegli orrori non ci sono più, eppure le loro colpe sembrano continuare a ricadere su interi popoli, come se nascere in un certo paese bastasse a renderci in automatico, complici di qualcosa che non abbiamo mai vissuto, né scelto.

Questa propaganda sul vittimismo cronico non è soltanto ingiusta, ma è soprattutto profondamente illogica.

Da italiano, non mi sento in alcun modo colpevole per le barbarie commesse dall’Italia in passato.
Non ho partecipato alle spedizioni coloniali e non ho ordinato massacri in Etiopia.
Quella colpa appartiene a chi quelle azioni le ha decise, giustificate e compiute a suo tempo.

Ma proprio perché non sono colpevole, ho il dovere di non ignorarle. 
Perché se smettessimo di studiarle, di raccontarle, e ci ostinassimo a minimizzarle solo perché “ormai è passato”, allora sì: rischieremmo davvero di ereditarne il peso.
Non per ciò che è stato fatto, ma per ciò che abbiamo scelto di non ricordare.

Perché se la colpa è personale e non può essere trasmessa, la responsabilità di ricordare, invece, è collettiva e senza scadenza.
Non riguarda un singolo popolo o una singola nazione, ma l’intera umanità.
È un dovere che ci accomuna tutti.
La storia non è un tribunale, ma un insegnante severo. E le sue lezioni, se ignorate, tornano con interessi altissimi.

Bisogna smettere di vivere la storia come una catena di debiti di sangue. Nessun popolo è geneticamente malvagio. È tempo di rovesciare completamente la logica del risentimento eterno.

Il pericolo del “credito morale eterno”

Quando il dolore diventa alibi per l’ingiustizia

Uno degli errori più tossici del nostro tempo è credere che chi ha sofferto una volta abbia acquisito diritti morali illimitati. Ma non esiste un credito etico ereditario. Il dolore non si trasforma automaticamente in giustizia. E nemmeno in impunità.

Un popolo che ieri era vittima, oggi può diventare tranquillamente carnefice.

Fa male dirlo, ma è necessario. Pensiamo ad esempio al conflitto tra Israele e la Palestina.
C’è chi rivendica il diritto alla difesa armata per gli orrori subiti dai propri antenati, ignorando che nel frattempo sta negando diritti fondamentali a milioni di persone.

❗ Una memoria sana non giustifica la vendetta e sicuramente non trasforma automaticamente le vittime in portatori di verità inattacabili.

Ogni popolo ha diritto alla memoria, tuttavia nessun popolo ha diritto al monopolio della giustizia.

Il rischio di sentirsi sempre dalla parte del giusto

Purtroppo, esiste il serio rischio che in questo modo il dolore patito da un intero popolo nel passato possa trasformarsi in una sorta di lasciapassare etico per ogni loro azione futura, anche se disumana. Come se quel dolore, anche se autentico e profondo, desse il diritto di agire come si vuole, senza mai essere criticati.

È come dire: “Siamo stati vittime, quindi qualsiasi cosa facciamo oggi è giustificata.”

In questo modo il trauma diventa una forma di scudo e la sofferenza un’arma retorica. Chi è stato vittima acquisisce così agli occhi di molti, un’immunità ideologica, e in questo modo nessuno osa più criticare per paura di sembrare insensibile, offensivo o addirittura complice.

Non funziona così.
La sofferenza del passato, per quanto terribile, non ti rende immune dagli errori del presente.
Non può diventare un lasciapassare morale, né una giustificazione automatica per qualsiasi azione, anche se completamente ignobile.

Pensiamoci con un esempio forte ma chiaro:
se un figlio assiste all’uccisione di suo padre, quel trauma non gli dà il diritto di uccidere qualcun altro a sua volta. Il dolore non può trasformarsi in vendetta legittima.

Il male che hai subito non ti autorizza a infliggerlo.
E chi ti ha fatto del male non ti ha dato una licenza per commetterne quello stesso reato.

Anzi, spesso chi ha conosciuto il dolore dovrebbe essere il primo a spezzare la catena della violenza.
Altrimenti non stiamo costruendo memoria: stiamo alimentando solo rancore.

Se la colpa diventasse eterna, allora l’ingiustizia diventerebbe impunibile

C’è un rischio insidioso e spesso taciuto: quando la colpa viene cronicizzata, cioè prolungata nel tempo al punto da diventare parte dell’identità collettiva di un popolo, allora si crea una dinamica perversa.
La parte storicamente colpevole si sente costretta a tacere per sempre, mentre la parte che ha subito acquisisce un credito morale illimitato, come se nulla potesse più esserle contestato.

E così, spinti dal senso di colpa, alcuni paesi finiscono per giustificare qualunque azione provenga dalla parte offesa, anche quando queste azioni sono in aperto contrasto con i diritti umani o i principi di giustizia.
È il caso, per esempio, del rapporto spesso imbarazzato tra Germania e Israele. Un legame sacrosanto, ma che in certi frangenti rischia di diventare cieca complicità, anche di fronte a scelte politiche o militari altamente discutibili.

Se l’ingiustizia di ieri impedisce di criticare quella di oggi, allora non stiamo difendendo la memoria.
Stiamo creando un alibi permanente.

Il punto non è mettere sullo stesso piano vittime e carnefici. Il punto è ricordare che nessun dolore passato legittima l’oppressione presente. Chi ha sofferto non ha il diritto di infliggere lo stesso dolore. E chi ha colpe storiche non ha il dovere di restare muto di fronte a nuove ingiustizie.

La memoria è universale

Spesso sentiamo dire: “I tedeschi se lo devono ricordare per forza.” Oppure: “Spetta agli ebrei custodire la memoria della Shoah.”
Ma siamo davvero sicuri che funzioni così?

No, la memoria non è un affare privato.
Non appartiene solo a chi ha sofferto, né solo a chi ha causato quella sofferenza.
La memoria appartiene a chiunque voglia imparare dagli errori commessi dall’umanità.

Se pensiamo che la Shoah riguardi solo gli ebrei, i gulag solo i russi e il colonialismo solo gli africani… allora abbiamo già perso.
Perché così facendo, trasformiamo la memoria in qualcosa di chiuso e settoriale.

Invece il dovere di ricordare non è solo di chi ha vissuto, ma anche di chi è vivo, dato che l’unica nostra responsabilità è proprio quella di non commettere nuovamente quell’errore.

E la storia lo dimostra ogni giorno:

Il negazionismo non possiede confini.
Oggi qualcuno nega le camere a gas. Domani qualcuno negherà il genocidio del Ruanda. Dopodomani le fosse comuni in Bosnia. Il meccanismo è sempre lo stesso: rimuovere, minimizzare e cancellare.

Il revisionismo si traveste da libertà di pensiero, ma è un inganno. Un esempio lampante di revisionismo a senso unico è quello legato alle foibe.
I crimini del fascismo italiano sono oggi ampiamente riconosciuti e condannati, come è giusto che sia, tuttavia quando si prova a ricordare le uccisioni di civili italiani da parte delle forze comuniste di Tito, molti tendono a giustificare o minimizzare. E ricordiamo che la maggioranza degli italiani che furono uccisi non erano nemmeno fascisti, ma furono ammazzati solo perché italiani.

La disinformazione oggi corre veloce, soprattutto online.
Bastano un meme, uno slogan, una citazione fuori contesto — e anni di studio vengono polverizzati da un tweet virale.
La memoria diventa così un campo di battaglia ideologico.

La memoria non è un tribunale con vincitori e vinti. È un dovere verso tutte le vittime, senza eccezioni. Per questo non possiamo lasciare la memoria solo a chi ha vissuto il dolore.
Dobbiamo prendercene cura tutti. Perché se la dimenticanza è una scelta, allora il disastro è una responsabilità nostra.

🎯 Il nostro compito è rompere questo schema. Ok, ma come?

  • Ricordando che la Shoah non è un fatto ebraico, ma umano.

  • Che la tratta degli schiavi è una ferita globale.

  • Che la guerra in ex-Jugoslavia è una tragedia mondiale, non solo balcanica.

“Se un crimine dell’umanità non ti riguarda, non è perché sei estraneo, è perché ti stai girando dall’altra parte.”

La memoria non deve separare, ma unire nella consapevolezza.
Non è un’eredità per pochi, ma un dovere per tutti.

Il paradosso moderno

Identità senza colpa… ma con implicazioni enormi

Viviamo in un’epoca curiosa. Siamo sempre più ossessionati dall’identità, ma sempre meno disposti ad assumerci il peso della storia che queste identità portano con sé.

“Non ho fatto nulla, perché dovrei sentirmi in colpa?”
Nessuno ti chiede di sentirti in colpa, ma se ti identifichi con qualcosa, devi sapere cosa stai indossando.

Immagina una persona che sventola una bandiera nazista nel 2025 e poi dice:
“Non sono responsabile dei crimini del 1940, è solo una provocazione.”

Certo, non hai costruito i forni crematori.
Tuttavia quello non è un simbolo qualsiasi. È un simbolo nato dalla violenza e dal genocidio del popolo ebraico. Usarlo oggi, non è un atto accettabile, dato che stai scegliendo deliberatamente di ignorare — o peggio, banalizzare — tutto ciò che questo rappresenta.

Questo vale per ogni simbolo, ogni ideologia e ogni identità carica di storia.

Se ti identifichi con un’idea devi assolutamente:

  • Conoscere il contesto da cui proviene
    (Indossare una maglietta di Che Guevara senza sapere chi fosse non rappresenta un’identità.)

  • Essere consapevole di cosa stai evocando agli occhi degli altri
    (Magari per te rappresenta il fuoco della ribellione, mentre per altri potrebbe rappresentare un trauma.)

  • Assumerti le implicazioni morali che quel simbolo comporta verso le persone
    (Non puoi invocare la purezza dell’identità e rifiutare la responsabilità della sua eredità.)

Ci travestiamo da rivoluzionari, da tradizionalisti, da nazionalisti… senza aver letto mezza pagina di storia.
Tuttavia chi gioca con la storia, finisce per diventare la sua prossima vittima.

“Non sei colpevole di ciò che rappresenti, tuttavia sei responsabile di ciò che scegli di rappresentare.”

Conclusione

Non possiamo cambiare quello che è già successo, ma possiamo scegliere cosa farne.

Ogni generazione riceve in eredità due cose preziose:

  • la memoria di ciò che è accaduto

  • e la consapevolezza di cosa può succedere se non stiamo attenti

I genocidi, le guerre, le colonizzazioni, le persecuzioni…
non sono semplici fatti da ricordare con una cerimonia una volta l’anno, ma rappresentano dei campanelli d’allarme.
Ci avvertono di cosa può accadere quando le persone smettono di ragionare e accettano tutto senza porsi le giuste domande.

🎯 Ricordare non vuol dire restare prigionieri del passato.
Vuol dire imparare dagli errori dei nostri antenati.

“Tutti abbiamo il dovere di non banalizzare il passato. Non perché siamo colpevoli, ma perché siamo capaci di imparare da esso.”

Nata e cresciuta a Rosignano Solvay , appassionata da sempre per tutto quello che ruota intorno al benessere della persona. Biologa, diplomata all'I.T.I.S Mattei