LaFollette e la licenza genitoriale. Una riflessione sulla tutela dei bambini
Facciamo finta per un momento che tu sia in una sala operatoria. Ora immagina che la persona che sta per operarti non abbia conseguito alcuna qualifica medica, ti sentiresti al sicuro? La risposta è ovvia, eppure, quando passiamo al tema della genitorialità, la questione sembra improvvisamente prendere un’altra piega, quasi come se fosse intoccabile.
Crescere un bambino è una delle responsabilità più grandi e delicate della vita, tuttavia è anche una delle poche attività che non richiede alcun tipo di preparazione.
Il filosofo Hugh LaFollette, già negli anni Ottanta, sollevò una questione molto urgente: possibile che pretendiamo patenti, licenze e certificazioni per guidare un’auto, insegnare, pilotare un aereo, fare il chirurgo, ma non per crescere un essere umano?
La genitorialità può essere fonte di amore, cura e crescita, tuttavia, quando viene esercitata senza consapevolezza o senza gli strumenti necessari, può lasciare segni dolorosi non solo nell’animo dei figli, ma anche nella società che essi andranno a formare.
Un bambino cresciuto senza sostegno emotivo, o confini sicuri rischia di portare dentro di sé, ferite invisibili che possono tradursi in rabbia, disorientamento, nonché comportamenti antisociali.
È così che abusi, trascuratezze e traumi si tramandano come un’eco che si sposta in modo incessante da una generazione all’altra, continuando a ripetersi finché qualcuno non impara a spezzare quel loop perverso.
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ToggleLa posta in gioco nella genitorialità
Crescere un figlio non significa semplicemente offrirgli cibo e un riparo, ma significa accompagnarlo nel delicato processo di diventare una persona capace di trovare il proprio posto nel mondo.
Lo scopo più autentico della genitorialità è permettere che quel bambino, un giorno, possa diventare un adulto rispettoso, consapevole e autonomo, capace di camminare con le proprie gambe nella società in cui vive.
Ogni parola pronunciata e ogni gesto offerto o negato, lascia un segno nella sua identità. E quando questo processo si incrina o viene abbandonato, non è solo il singolo individuo a portarne le conseguenze. È l’intera collettività che finisce per pagarne il prezzo.
LaFollette sottolinea come la genitorialità abbia un potenziale di danno enorme. Due aspetti lo rendono evidente:
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L’estensione del danno: Un bambino trascurato o abusato non soffre solo nel presente. Quelle ferite possono estendersi all’intera vita adulta, dato che possono trasformarsi in difficoltà affettive, instabilità emotiva, nonché incapacità di fidarsi degli altri.
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La ciclicità del danno: La sofferenza raramente si ferma a una sola generazione. Purtroppo, il dolore quando viene appreso diventa dolore inflitto. I figli di genitori disfunzionali rischiano – anche inconsapevolmente – di ripetere, senza volerlo, le stesse dinamiche.
E allora, se sappiamo che i danni possono essere così profondi e duraturi, perché non prevenire invece di intervenire quando è troppo tardi?
Lo stato è già costretto a intervenire in famiglie dove il benessere dei minori viene minacciato, tuttavia questi interventi, lo sappiamo, sono tardivi, dato che i servizi sociali non bussano alla porta prima che il danno sia avvenuto, ma dopo.
A quel punto, qualcosa nel minore – è triste dirlo – ma si è già spezzato. Eppure, potremmo immaginare un mondo diverso: un mondo in cui si investe nella formazione genitoriale allo stesso modo in cui si investe nella formazione educativa o sanitaria. Un mondo dove la prevenzione viene prima della riparazione, come quando evitiamo di fumare o bere alcolici al fine di prevenire il tumore ai polmoni o al fegato.
È sempre meglio prevenire, che curare quando il problema è già avvenuto.
Diritti dei genitori e diritti dei bambini
La prima obiezione che viene sollevata contro l’idea di una licenza parentale riguarda i diritti. Non esiste forse un diritto naturale alla procreazione? Non siamo forse tutti liberi di avere figli?
Sì, ma i diritti esistono sempre in relazione agli altri. La libertà di parola finisce dove inizia la diffamazione, come nel caso della libertà di muoversi, che finisce dove minaccia la sicurezza altrui.
E allora la domanda è questa: Il diritto di essere genitori può essere considerato superiore al diritto di un bambino di crescere in un ambiente sicuro?
Secondo LaFollette non si tratta di impedire la procreazione. Nessuno sta prendendo in considerazione l’idea di misure coercitive come la sterilizzazione. La questione riguarda più il diritto a crescere il bambino, rispetto a quello di metterlo al mondo.
La genitorialità può essere vista come una responsabilità pubblica, e non solo privata. I bambini non sono delle proprietà, ma sono delle persone in crescita, e la società intera è responsabile del terreno in cui cresceranno.
In quest’ottica, una forma di verifica delle competenze genitoriali smette di sembrare una violazione e inizia a sembrare un atto di tutela. Non contro i genitori, ma per i bambini.
La paura dell’autoritarismo e dell’invadenza dello Stato
Quando sentiamo parlare di licenza genitoriale, la maggior parte delle persone vengono attraversate da una strana sensazione di inquietudine. L’immagine immediata infatti, è quella di un potere statale che si insinua nelle case, giudicando e separando i figli dai propri genitori. Un incubo distopico che assomiglia più a un romanzo totalitario, rispetto a una proposta politica reale.
È essenziale però comprendere bene che l’idea discussa da LaFollette non punta a creare un mondo dove lo stato decide chi merita di avere figli e chi no. L’obiettivo è un altro, più semplice e più umano: ovvero quello di ridurre i danni prima che avvengano.
Il sistema attuale infatti è reattivo. Interviene solo quando un bambino è già ferito, già traumatizzato, e già segnato da un ambiente familiare tossico e inadatto. A quel punto, però, ha già la ferita è già entrata nel bambino. E ricominciare è difficile, a volte quasi impossibile.
Una licenza genitoriale avrebbe invece un intento preventivo, in quanto educherebbe i genitori a fare un buon lavoro. Immaginatela come una sorta di accompagnamento verso la genitorialità. Allo stesso modo di un corso prematrimoniale, una scuola guida, o un tirocinio protetto. La logica è quella della protezione attiva, non del controllo punitivo.
Si potrebbe immaginare che il percorso includa
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incontri con psicologi ed educatori
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formazione sui bisogni evolutivi del bambino
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discussioni sulle modalità di gestione delle emozioni
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informazioni sui rischi di abuso, trascuratezza e manipolazione affettiva
Come potrebbe funzionare in modo concreto
La questione davvero importante è come tradurre questa idea in pratica senza creare ingiustizie, discriminazioni o abusi di potere. La proposta più ragionevole esplorata da vari filosofi e psicologi contemporanei riguarda una licenza graduale, oppure una certificazione incentivata.
L’opzione della licenza graduale immagina due passaggi:
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Una licenza provvisoria con supporto continuo
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Una licenza definitiva ottenuta dopo un periodo di accompagnamento
Questo permetterebbe di evitare situazioni traumatiche come il distacco forzato del neonato dalla famiglia. Si tratterebbe piuttosto di una fase di osservazione condivisa, dove il sostegno educativo fa da protagonista.
D’altra parte, alcune studiose come Claudia Pap Mangel propongono un approccio ancora più morbido, dove non ci sono obblighi, ma solo incentivi. Ad esempio, chi ottiene una certificazione potrebbe accedere a benefici come:
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riduzioni dei costi dell’asilo
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sostegni economici per la conciliazione tra vita lavorativa e familiare
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reti di supporto psicopedagogico gratuite
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accesso prioritario a corsi e consulenze
In questo modo la certificazione diventa come una cintura nera nella genitorialità. Non è richiesta per combattere, ma ti rende più sicuro, più preparato, e più forte.
Una famiglia consapevole è una famiglia che soffre meno e fa soffrire meno.
Certificazione e percezione pubblica
Il termine licenza può suonare freddo, burocratico, quasi giudicante. Cambiare parola può cambiare mondo. Se parliamo invece di certificazione o percorso educativo alla genitorialità, il discorso prende una tonalità nuova, più umana e collaborativa.
Molti futuri genitori provano ansia, dubbi, paure. Chiedono consigli a internet, amici, parenti, ma la qualità delle informazioni è spesso disomogenea. Una certificazione strutturata potrebbe diventare una bussola, una guida chiara tra mille voci discordanti.
Non esisterebbe un modello unico di famiglia. Nessuna imposizione di valori. Nessuna gerarchia morale. Solo la trasmissione delle conoscenze fondamentali per crescere individui sani e liberi.
La società spesso investe più nell’addestrare chi deve occuparsi dei cani che nell’accompagnare chi deve crescere esseri umani. Forse è arrivato il momento di riconsiderare le priorità.
Bisogna ripensare all’idea che i figli siano una proprietà privata
Una delle intuizioni più profonde di LaFollette è la critica all’idea implicita e radicata secondo cui i figli apparterrebbero ai genitori.
Quando diciamo mio figlio, o mio bambino, non stiamo solo indicando una relazione familiare, ma stiamo implicitamente affermando una forma di possesso.
Tuttavia, un essere umano non si possiede, ma si accompagna, si guida e sia ama. Il bambino non appartiene ne alla madre, ne al padre, ma appartiene a se stesso. E noi, adulti, siamo custodi temporanei della loro crescita.
Riconoscere questo significa riposizionare la genitorialità da potere a responsabilità. Capire già questo meccanismo significa capire che questa certificazione potrebbe rappresentare un modo per supportare il ruolo dei genitori nella crescita dei figli, dato che sappiamo che fare il genitore non è un lavoro facile.
Conclusioni
La genitorialità è una delle avventure più complesse e delicate dell’esperienza umana. Nessuno arriva preparato a questo compito, e non esiste un manuale perfetto che possa insegnare questo compito.
L’essere genitori lo si impara camminando, ascoltando, osservando se stessi, i propri errori, e aggiustando la rotta giorno, dopo giorno. Proprio per questo diventa una responsabilità profonda. Il nostro compito è mettere i figli nelle condizioni migliori per crescere sereni, sicuri e capaci di costruire il proprio benessere. Offrire loro una guida consapevole significa aumentare le loro possibilità di vivere una vita piena, felice e ricca di significato.



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