Il dilemma evoluzionista: Dio può coesistere con la teoria darwinista?

scienza e religione

Tra i temi più intriganti del dibattito contemporaneo, spicca una domanda che continua a dividere scienziati e filosofi: un evoluzionista può, allo stesso tempo, credere in Dio?

Lo psicologo evoluzionista Steve Stewart-Williams sostiene di no: secondo lui, la teoria darwiniana è profondamente incompatibile con la concezione tradizionale di Dio. In effetti, sin dalla sua formulazione, la teoria evoluzionistica ha cambiato la nostra visione del mondo più di qualsiasi altra scoperta biologica.

Come ricordava Theodosius Dobzhansky, «nulla in biologia ha senso se non alla luce dell’evoluzione». Il filosofo Daniel Dennett l’ha definita un «acido universale», capace di diffondersi in qualsiasi ambito.

Secondo lui, l’idea evoluzionistica non si limita a rivoluzionare solo la biologia, ma dissolve e ricompone ogni ambito del pensiero umano, ed uno dei territori più colpiti da questa “corrosione” riguarda proprio la religione.

L’impatto di Darwin sulla fede religiosa

Quando la scienza si scontrò con la chiesa

La reazione iniziale alla teoria dell’evoluzione fu tutt’altro che tranquilla, dato che diede vita a un’ondata di polemiche. Molti la interpretarono come un attacco diretto ai fondamenti della fede cristiana, in un clima che ricordava da vicino il celebre scontro avvenuto fra Galileo e la chiesa.

All’epoca, la maggior parte dei credenti pensavano che:

  • la Terra avesse un’età di circa 6.000 anni, dedotta considerando i testi biblici come una linea temporale reale;

  • ogni specie fosse stata creata separatamente, come entità perfette e complete;

  • le forme di vita fossero immutabili, esattamente come Dio le aveva concepite.

Tuttavia, attraverso la pubblicazione dell’“Origine delle specie”, Darwin ribaltò completamente questa prospettiva, punto per punto. Le sue conclusioni, fondate su osservazioni e dati raccolti in anni di studio, presentavano una realtà completamente diversa, dove:

  • la Terra non aveva solo 6000 anni, ma era molto più antica, misurabile in centinaia di milioni di anni;

  • le specie cambiavano lentamente nel tempo, accumulando modifiche graduali attraverso la selezione naturale. Un esempio tipico è rappresentato dalle giraffe, che attraverso un collo leggermente più lungo riuscivano a mangiare più foglie, e di conseguenza, a sopravvivere meglio: così, col passare dei millenni, la specie ha sviluppato colli sempre più lunghi;

  • tutti gli esseri viventi erano collegati, poiché facenti parte della stessa storia evolutiva iniziata miliardi di anni fa. Le forme di vita attuali discendono da antenati più antichi che, nel tempo, si sono diversificati in specie sempre più nuove. Anche organismi molto diversi tra loro — come uomini, piante, funghi e batteri — condividono antenati comuni se risaliamo abbastanza indietro nel tempo.

Queste idee ridussero profondamente il valore attribuito agli scritti della Genesi, mettendo in crisi l’idea stessa delle “creazioni separate”. Per molti credenti, questo significò abbandonare uno schema rassicurante, e confrontarsi con una narrazione radicalmente nuova, capace di ridefinire il rapporto tra scienza, fede ed origine della vita.

La fine del progetto divino

Un altro effetto riguardò il celebreargomento del progetto”, ovvero l’idea che la complessità degli organismi fosse prova dell’esistenza di un progettista divino. Filosofi come Tommaso d’Aquino lo usarono per secoli, mentre David Hume ne criticò diversi aspetti, tuttavia nessuno aveva mai fornito un’alternativa convincente, questo fino all’avvento della teoria darwiniana, dato che la selezione naturale offrì per la prima volta:

  • una spiegazione naturalistica della complessità degli organismi;

  • un “progetto senza progettista”.

L’idea centrale era semplice: in ogni generazione compaiono piccole variazioni ereditarie, che migliorano la capacità di sopravvivere o riprodursi. Questi vantaggi, seppur minimi, fanno sì che gli individui che li possiedono, lascino più discendenti, rendendo tali tratti, sempre più comuni nel tempo.

Quando questo processo si ripete per migliaia, o milioni di generazioni, l’accumulo di cambiamenti favorevoli porta alla comparsa di adattamenti complessi, quali occhi capaci di vedere, ali in grado di volare, nonché organismi che sembrano “progettati”, pur essendo il frutto di una lunga serie di piccoli adattamenti lenti, ma inesorabili.

In nessuna parte della teoria compare Dio. È proprio questa assenza a far pensare che, se il progetto può svilupparsi da processi casuali e naturali, allora forse, non è più necessario ipotizzare la presenza di un progettista, per spiegare la complessità della vita.

Scienza e religione: sono davvero incompatibili? 

Per attenuare il conflitto, molti propongono la teoria dei “domini non sovrapposti”, dato che secondo costoro, la scienza e la religione parlerebbero di cose completamente differenti, e non sovrapponibili.

Secondo questo pensiero infatti, la teoria dell’evoluzione descriverebbe i meccanismi naturali con cui la vita si trasforma, mentre la Bibbia indicherebbe semplicemente che Dio è all’origine dell’esistenza, senza fornire tuttavia, dettagli su come sia stato creato il primo essere vivente.

Ecco dove la teoria evolutiva e il teismo entrano di nuovo in conflitto

Anche leggendo i testi sacri in chiave non letterale, emergono comunque nuove difficoltà, poiché:

  1. la teoria moderna esclude qualsiasi intervento diretto di Dio nel processo evolutivo. Non è chiaro che ruolo potrebbe avere un Dio, che manipola dall’alto un processo basato sul caso, e sulla selezione.

  2. Gli organismi sono pieni di difetti. Se Dio avesse “progettato attraverso l’evoluzione”, perché la natura sarebbe così imperfetta?

  3. Il principio guida della selezione naturale è l’idoneità inclusiva: ciò che conta non è il benessere dell’individuo o la moralità delle sue azioni, ma la capacità dei suoi geni di diffondersi nelle generazioni future. Questo mal si concilia con l’idea di un creatore buono ed intenzionale.

Secondo la biologia moderna, l’evoluzione procede tramite mutazioni casuali e selezione naturale, senza scopi, né direzioni prestabilite. Questo solleva quale interrogativo per chi immagina un Dio che guida il processo:

  • Se Dio intervenisse direttamente, introdurrebbe uno scopo, e romperebbe la casualità su cui si basa l’evoluzione.

  • Se intervenisse solo in modo impercettibile, il suo operato sarebbe indistinguibile dai normali processi naturali, e quindi non verificabile.

Per questo molti ritengono difficile conciliare l’idea di un intervento divino con il meccanismo stesso dell’evoluzione.

Gli organismi mostrano imperfezioni difficili da conciliare con un progetto intenzionale 

Se Dio avesse “progettato intenzionalmente l’evoluzione”, ci si aspetterebbero organismi ottimizzati, tuttavia la natura è un esempio eclatante di problemi o soluzioni inefficaci, proprio perché l’evoluzione non “progetta”, ma adatta ciò che già esiste, senza possibilità di ricominciare da zero.

Un esempio tipico è dato dal fatto che molte specie possiedono meccanismi riproduttivi inefficaci o altamente rischiosi. Queste imperfezioni risultano comprensibili solo se le osserviamo da un punto di vista evolutivo, poiché l’evoluzione procede per tentativi ed errori, senza un progetto preciso. Questa deriva invece, non avrebbe senso all’interno di un disegno ben scritto.

La selezione naturale premia la sopravvivenza dei geni, e non la moralità 

Il criterio fondamentale dell’evoluzione è l’idoneità inclusiva, ovvero la capacità dei geni di sopravvivere e diffondersi nel tempo.

Non conta solo il successo riproduttivo individuale, ma anche quello ottenuto indirettamente, favorendo la sopravvivenza e la riproduzione dei parenti che condividono parte del nostro stesso patrimonio genetico.

L’evoluzione, dunque, non “premia” l’individuo in sé, ma l’efficacia con cui i suoi geni si propagano, direttamente, o attraverso i suoi consanguinei. Questo significa che l’evoluzione favorisce ciò che aumenta la trasmissione genetica, e non ciò che è buono o etico secondo i nostri criteri morali. Proprio per questo motivo può:

  • favorire aggressività e competizione, se risultano vantaggiosi;

  • selezionare strategie riproduttive che noi giudicheremmo immorali;

  • generare sofferenza, conflitti ed estinzioni, come effetti collaterali dell’adattamento.

È difficile armonizzare questo ” meccanismo” con l’idea di un creatore buono, che vorrebbe un mondo ordinato secondo valori etici o compassionevoli. La natura evolutiva appare invece indifferente, e a volte brutale.

Il problema evolutivo del male: una nuova sfida per il teismo 

L’evoluzione è un processo spietato. Come osservava il biologo George Williams, la selezione naturale è un meccanismo che può apparire “malvagio”, dato che:

  • milioni di organismi muoiono perché solo pochi possano riprodursi;

  • molte specie mostrano comportamenti crudeli, come infanticidio, abbandono di organismi difettosi, o brutali lotte territoriali.

Darwin stesso riconobbe la difficoltà di conciliare questa immensa sofferenza naturale con un Dio onnipotente, o un Dio infinitamente buono.

Se Dio potesse eliminare questo male, perché non lo fa?

Alcuni rispondono che “Dio si muove in modi misteriosi”, tuttavia, una spiegazione basata sull’ignoranza può giustificare qualsiasi contraddizione, risultando di conseguenza poco convincente.

Queste ipotesi possono sopravvivere alla spiegazione evolutiva?

Alcuni teisti sostengono che esistono tre ambiti in cui l’evoluzione non può sostituire Dio:

  1. L’origine della vita: la teoria evolutiva spiega il cambiamento delle specie, ma non la comparsa dei primi organismi.

  2. La mente e la coscienza: Secondo alcuni filosofi e teologi, fenomeni complessi come la mente e la coscienza non potrebbero emergere unicamente da processi fisici. Ritengono infatti, che il pensiero e l’autoconsapevolezza rappresentino qualcosa che va oltre la semplice attività dei neuroni. Per questo sostengono che tali caratteristiche richiedano una spiegazione ulteriore, forse di natura divina o comunque non riducibile alla sola biologia.

  3. L’origine dell’universo e il fine-tuning: Secondo alcuni ricercatori, molte costanti fisiche fondamentali presentano valori così precisi da rendere possibile la formazione di stelle, pianeti e, infine, della vita. Questo ha portato alcuni a interpretarla come il segno di un intervento intenzionale, sostenendo che un equilibrio tanto delicato, difficilmente possa essere attribuito al puro caso. Da qui nasce l’ipotesi che alla base dell’universo possa esistere un creatore, responsabile di questa armonia cosmica.

Tuttavia, anche queste ipotesi “considerate da alcuni come sicure” diventano molto più fragili di fronte alla ricerca scientifica, dato che:

  • gli studi sull’origine della vita mostrano che processi chimici naturali potrebbero bastare a spiegare la comparsa dei primi organismi, sebbene alcuni dettagli non siano ad oggi, ancora perfettamente chiari.

  • Alcuni fisici ipotizzano persino che principi simili alla selezione naturale possano spiegare la struttura stessa dell’universo.

Dio senza antropomorfismi: una via possibile… ma a caro prezzo 

Per evitare il problema del male — cioè la difficoltà di conciliare un Dio buono e onnipotente con la sofferenza generata dalla selezione naturale — alcuni teologi propongono di abbandonare completamente l’idea di un Dio personale.

La soluzione sostengono, rimane quella di adottare una concezione non antropomorfica di Dio: non un essere che pensa, ama, decide o interviene nella storia, ma qualcosa di molto più astratto ed impersonale.

Secondo questa prospettiva, Dio non sarebbe un creatore simile ad una mente umana su scala infinita, ma:

  • “l’essere stesso”, come suggeriva Paul Tillich, cioè la condizione fondamentale che rende possibile l’esistenza di qualunque cosa;

  • il fondamento ultimo della realtà, ovvero una sorta di principio metafisico senza intenzioni, né volontà;

  • un qualcosa di inaccessibile alla nostra comprensione, non descrivibile con concetti umani come bontà, potere o moralità.

Questa versione di Dio non è incompatibile con la teoria dell’evoluzione, tuttavia, comporta alcune conseguenze.

Per prima cosa, un Dio impersonale non permette alcun rapporto personale. Non si può pregare un principio astratto, né aspettarsi che ascolti o risponda. In questo modo si elimina l’idea stessa di un dialogo con il divino, dato che non ha senso attribuire a questo Dio un progetto morale o un disegno per l’umanità, poiché non possiede intenzioni, scopi od emozioni.

Di conseguenza, il termine “Dio” perde quasi tutto ciò del suo significato originario: non indica più un padre o un salvatore, ma indica solo una realtà ultima di cui non sappiamo quasi nulla e che non sembra avere alcun ruolo attivo nella nostra vita.

Tutto questo discorso ci porta inevitabilmente a porci un’altra domanda: se la concezione di Dio viene modificata al punto da diventare irriconoscibile, rispetto alle versioni religiose classiche, ha senso continuare a parlare di “Dio”?

O è semplicemente un altro nome per indicare un principio filosofico astratto?

Conclusione 

Alla luce della teoria evolutiva, possiamo distinguere quattro possibili atteggiamenti che l’essere umano può adottare nei confronti di “Dio” e della religione.

Possiamo credere in un Dio tradizionale e nel letteralismo biblico: Chi crede in un Dio tradizionale e crede alla lettura biblica alla lettera deve negare l’evoluzione così come è intesa dalla scienza moderna. Questa posizione infatti, richiede di considerare la Genesi come un racconto storico reale, in contrasto diretto con la teoria darwiniana. È un atteggiamento che pone fede e scienza in un conflitto totale e completamente inconciliabile.

Possiamo credere in un Dio tradizionale ma rifiutare il letteralismo biblico. Chi invece crede in un Dio tradizionale, ma rifiuta di credere alla Bibbia, accetta il fatto dell’evoluzione, pur non vedendolo come un processo del tutto indipendente da Dio. Questa visione cerca un equilibrio tra religione e scienza, ma resta in tensione con la teoria evolutiva moderna, che non prevede scopi o intenzioni divine.

Inoltre, affronta il problema del male evolutivo, poiché un Dio buono non avrebbe scelto un processo doloroso, lento e spesso crudele come lo è in certi casi, il processo evolutivo.

Possiamo accettare l’evoluzione e una concezione non antropomorfica di Dio. Un’altra possibilità è quella di accettare pienamente l’evoluzione, ed adottare una concezione di “Dio non antropomorfica”, cioè non simile a un essere umano.

In questa prospettiva, Dio diventa una dimensione spirituale o un fondamento dell’esistenza, compatibile con la scienza. Questo risolve molti conflitti con l’evoluzionismo, ma comporta l’idea di un Dio più distante, e meno personale.

Infine, possiamo rifiutare sia il letteralismo biblico, sia la fede in Dio, accettando l’evoluzione come spiegazione completa, e naturale dell’origine, e dello sviluppo della vita.

In questa visione, la religione è vista come un prodotto umano ed evolutivo, nato dai bisogni psicologici e sociali degli esseri umani. È la posizione che Stewart-Williams considera più coerente con le implicazioni della teoria evoluzionistica, poiché elimina completamente l’intervento divino dal quadro esplicativo.

Nata e cresciuta a Rosignano Solvay , appassionata da sempre per tutto quello che ruota intorno al benessere della persona.Biologa, diplomata all'I.T.I.S Mattei