Foucault e il controllo invisibile della società.

controllo invisibile

Viviamo davvero in una società libera? O siamo prigionieri di meccanismi così raffinati che non ci accorgiamo nemmeno della loro presenza? Michel Foucault, uno dei filosofi più controversi e affascinanti del novecento, ci lancia in eredità una provocazione potente: il potere non ha più bisogno di catene e sbarre.

Oggi, per tenerci sotto controllo, basta qualcosa di molto più sottile ma altrettanto efficace: farci credere di essere osservati. Non da qualcuno in particolare, ma da un sistema fatto di regole, aspettative e occhi invisibili. E il paradosso è che l’accettiamo senza fiatare, come se fosse normale.

Dal potere repressivo al potere diffuso

Foucault non studia il potere come qualcosa che viene dall’alto, come un re che comanda o uno Stato che impone leggi. Il suo interesse è più sottile: vuole capire come il potere funziona, dove si nasconde e con quali strumenti si insinua nella nostra vita.

Ecco la sua intuizione: il potere moderno non ha più bisogno della forza bruta. Non deve picchiare, minacciare o rinchiudere. È diventato intelligente, invisibile e distribuito. È come l’aria: non lo vedi, ma lo respiri. E soprattutto, è ovunque.

Oggi il potere agisce nei luoghi più insospettabili:

  • nella scuola, che stabilisce cosa significa essere “bravi studenti” e cosa no

  • nell’ospedale, che decide chi è sano e chi ha bisogno di essere corretto

  • nella caserma, che modella corpi obbedienti

  • nell’ufficio, che impone ritmi e comportamenti “adeguati”

In questi luoghi non si usano catene. Si usano valutazioni, diagnosi, voti, orari, protocolli e regole di comportamento. Sono questi gli strumenti attraverso cui il potere plasma il nostro modo di pensare e di essere.

Il potere non si limita a dirci cosa non dobbiamo fare. Ci insegna chi dobbiamo essere.

Non punisce solo chi sbaglia, ma stabilisce cosa sia “giusto”, “normale” e “accettabile”. Decide cosa significa essere sani, intelligenti, produttivi e ben educati. In questo modo, crea la realtà. O meglio: crea la versione del mondo che ci viene insegnata come “normale”.

Il Panopticon o l’arte di sentirsi sempre osservati

Uno dei concetti più noti di Foucault è quello del Panopticon, ispirato a un progetto di prigione immaginato da Jeremy Bentham nel settecento. Immagina una torre centrale da cui si possono osservare tutte le celle, senza che i prigionieri sappiano quando sono osservati. Risultato? Ogni detenuto finisce per controllarsi da solo, perché potrebbe essere sotto lo sguardo del sorvegliante.

Foucault prende questo modello architettonico e lo trasforma in una metafora della società moderna. Non abbiamo bisogno di essere davvero sorvegliati. Basta credere di poterlo essere. E questo ci rende docili, efficienti ed obbedienti.

Un po’ come quando siamo in ufficio e sappiamo che il capo potrebbe leggere le nostre email. O quando ci autocensuriamo sui social, temendo giudizi o sanzioni digitali. Sorridiamo, ma stiamo virtualmente vivendo nel panopticon.

La società disciplinare e i corpi docili

Foucault chiama questa logica società disciplinare. Non si tratta solo di controllare i pensieri, ma anche quella di potenziare il controllo sull’individuo tramite il controllo dei corpi. Ecco allora la nascita di tecniche sempre più raffinate per regolare:

  • la postura degli studenti a scuola

  • i movimenti dei soldati nelle caserme

  • i turni dei lavoratori nelle fabbriche

  • i comportamenti dei pazienti negli ospedali psichiatrici

Il corpo diventa uno strumento da rendere utile, produttivo e prevedibile. Non serve più spezzarlo, basta addestrarlo. E se il corpo si conforma, la mente lo segue. È così che nasce l’individuo moderno, obbediente senza bisogno di ordini. E quasi nessuno si accorge del processo, perché non c’è violenza visibile: c’è solo disciplina.

Il potere non si vede, ma si sente

Questo è il fulcro del messaggio di Foucault. Il potere non è più qualcosa che si impone con un ordine o un decreto. È qualcosa che ti attraversa. Che ti fa fare ciò che vuole, facendoti credere che sia una tua scelta.

Paradossale, vero? No, direi piuttosto inquietante.
Immagina di renderti conto che i tuoi comportamenti – ti svegli a un’ora precisa, prendi un caffè, vai in palestra, ti senti in colpa se non sei produttivo e sorridi in modo educato anche se sei a pezzi – non nascono davvero da te, ma sono il frutto di regole, aspettative e modelli che hai interiorizzato senza accorgertene. Sono l’effetto di un potere che ha fatto di te il suo miglior alleato.

La tua vita, quella che pensavi libera, potrebbe essere in gran parte una risposta automatica a un sistema che ti ha già istruito su come essere.

E la cosa più inquietante? Questo potere non possiede un volto. Non c’è un dittatore da combattere. Non c’è un nemico da odiare. Esiste solo una rete invisibile di norme e aspettative.

Sorvegliare e punire oggi

Nel suo libro Sorvegliare e punire, Foucault analizza con straordinaria lucidità l’evoluzione della pena nel corso dei secoli. Un tempo, la giustizia si esercitava in pubblico, sotto forma di supplizi spettacolari: impiccagioni, torture e roghi. La punizione doveva essere visibile, crudele ed esemplare. Serviva a mostrare la forza del sovrano e a incutere paura nella popolazione.

Ma a un certo punto qualcosa cambia. L’obiettivo non è più vendicare il re ferito, ma correggere l’individuo deviante. La violenza lascia il posto alla disciplina. Le piazze si svuotano e le prigioni si riempiono. Nasce la detenzione moderna, che non vuole più soltanto punire, ma rieducare.

La pena diventa silenziosa, nascosta tra le mura degli istituti penitenziari. E soprattutto, diventa scientifica: si comincia a studiare il comportamento del detenuto, a valutarlo, a misurarlo e a tentare di “aggiustarlo” per reinserirlo nella società.

Ma Foucault ci mette in guardia. Questo cambiamento, che in apparenza sembra più umano e civile, nasconde un nuovo tipo di controllo. Più subdolo, più continuo e più profondo. Ora non si punisce solo ciò che si è fatto, ma chi si è. Si vuole modellare il carattere, il corpo e la mente.

E la prigione, in questo senso, è solo la punta dell’iceberg. Lo stesso meccanismo disciplinare si estende a tutta la società: la scuola “corregge”, l’ospedale “cura”, l’ufficio “valuta”, lo psicologo “normalizza”. In altre parole, non ci sono più sbarre visibili, ma una rete fittissima di micro-controlli che ci accompagnano ovunque andiamo

La sorveglianza ha assunto forme nuove, ancora più insidiose.

  • Le videocamere agli angoli delle strade

  • Gli algoritmi che tracciano le nostre ricerche online

  • I sistemi di riconoscimento facciale

  • I like che decidono il nostro valore sociale

Dalla disciplina al controllo: il potere si trasforma

Foucault muore nel 1984, ma la sua eredità continua a esistere. Pensatori come Deleuze hanno preso il suo testimone e parlano oggi di società del controllo. Non più solo regole da rispettare, ma flussi da gestire. Il potere non ti imprigiona, ti segue. Non ti impone un comportamento, ma ti modella a suo completo piacimento. Ti lascia libero, ma in un recinto che si adatta a ogni tuo passo.

È come un navigatore che ti suggerisce la strada. Puoi scegliere di non seguirlo, ma finirai quasi sempre per ascoltarlo. Perché è comodo e rassicurante. Ma possiamo parlare di libertà?

Cosa ci resta da fare?

La filosofia di Foucault non è pessimista, è lucida. Ci invita a guardare il mondo con occhi diversi. A riconoscere le trame invisibili che ci muovono. E a non darle per scontate.

Ribellarsi? Non sempre serve. A volte basta rendersi conto che la nostra libertà non è illimitata come credevamo di sapere. Occorre prendere coscienza e chiedersi: chi ha deciso che questa condizione sia normale? Perché obbedisco, anche senza comandi? 

Nata e cresciuta a Rosignano Solvay , appassionata da sempre per tutto quello che ruota intorno al benessere della persona. Biologa, diplomata all'I.T.I.S Mattei