Cronaca nera e psicologia: ecco perché siamo attratti dal dramma e dalle tragedie

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Perché ci incolliamo allo schermo quando il telegiornale parla di un delitto efferato, mentre sbadigliamo davanti alla notizia del matrimonio di una coppia felice? No, non siamo diventati tutti cinici o insensibili. 

Il fascino della cronaca nera, e quell’attrazione spesso inconsapevole per il dramma, l’orrore e l’angoscia, non è una moda passeggera. È un fenomeno radicato nella psicologia umana, alimentato da millenni di evoluzione, da meccanismi di sopravvivenza e da bisogni emotivi profondi.

E no, non è solo “colpa dei media”. I media si limitano a rispondere a un’esigenza che esiste già dentro di noi, ovvero in quell’irrefrenabile bisogno di capire il male, di anticipare il pericolo e di confrontarci con ciò che ci spaventa. Preparati a un viaggio nei meandri della mente umana, dove scopriremo come e perché il buio ci attrae più della luce.

🧠 Il cervello ama il dramma

Il bias della negatività

Immagina di leggere due notizie diverse. La prima racconta di una coppia anziana che si tiene per mano dopo 60 anni di matrimonio, mentre la seconda narra di un omicidio misterioso avvenuto nel centro di una grande città. Quale notizia delle due credi che ricorderai a distanza di una settimana?

Il 99% delle persone ricorderà quasi sicuramente la seconda. Questo accade per via del bias della negatività, un fenomeno psicologico che ci spinge a notare, ricordare e dare più peso agli eventi negativi rispetto a quelli positivi.

È un meccanismo evolutivo. Nell’Età della Pietra, ignorare un pericolo poteva decretare la nostra morte. Ecco perché il nostro cervello si è evoluto per prestare massima attenzione a ciò che minaccia la nostra sicurezza.

  • Le informazioni negative si elaborano in zone più ampie del cervello rispetto a quelle positive

  • Gli stimoli minacciosi attivano più velocemente l’amigdala, la sentinella delle emozioni

  • Le esperienze dolorose generano tracce mnemoniche più profonde

Lo psicologo Paul Rozin, insieme ai colleghi, lo ha espresso perfettamente: il male è più forte del bene. Il male colpisce più in profondità, come un urlo in una stanza silenziosa.

Emozioni forti e attenzione ai massimi livelli

Quando leggiamo una notizia di cronaca nera, il cuore accelera, le pupille si dilatano e la mente si mette in uno stato di allerta – si attiva il sistema simpatico. Questo avviene perché:

  • Paura

  • Rabbia

  • Disgusto

  • Shock

scatenano in noi una reazione biologica potentissima, simile a quella che proveremmo davanti a un leone nella savana. È un cortocircuito emotivo che rende impossibile distogliere lo sguardo.

Le storie felici, invece, sono più “morbide” e più tranquille. Ci fanno sorridere, sì, ma non ci tolgono il fiato. Non innescano la stessa tempesta ormonale.

🔍 Curiosità protettiva e confronto sociale: altri due fattori chiave

La curiosità… morbosa (ma utile)

C’è chi la chiama ossessione, ma in realtà si tratta di curiosità protettiva. Una sorta di radar interiore che ci spinge a voler sapere cosa è successo, come è successo e soprattutto perché è successo. Tutto per un solo scopo: sentirsi più preparati nel caso capitasse a noi.

È come se il cervello ci dicesse: “Studia questo crimine. Impara da questo errore. Non farti trovare impreparato.”
Certo, spesso questo non ha un’applicazione pratica. Ma l’illusione del controllo basta a farci sentire più sicuri.

Non è un caso se gli articoli di true crime, i podcast sui serial killer e i documentari sugli omicidi siano tra i contenuti più popolari degli ultimi anni.

“Per fortuna non è capitato a me”

Sembra crudele da dire, ma è proprio così. Le notizie tragiche attivano in noi un confronto sociale discendente. Leggere di chi ha perso tutto ci fa percepire, per contrasto, un senso di gratitudine per la nostra situazione.

È il classico: “Poteva capitare a me” o peggio “Per fortuna io sto bene”. È un meccanismo inconscio, ma efficace nel generare un senso di sollievo. La cronaca nera, paradossalmente, ci rassicura.

📚 Cosa dicono gli studi a riguardo?

Lo studio di Baumeister

Nel celebre articolo “Bad is Stronger Than Good” (2001), il ricercatore Roy Baumeister, insieme a Finkenauer, Vohs e Rozin, ha dimostrato che le esperienze negative:

  • Influenzano il comportamento più di quelle positive

  • Restano impresse nella memoria più a lungo

  • Richiedono più tempo e sforzi per essere superate

  • Hanno effetti più duraturi sulle relazioni e sull’autostima

In pratica, se ti fanno 10 complimenti e una sola critica… indovina cosa ti rimarrà impresso maggiormente? Esatto: la critica. E la stessa dinamica vale con le notizie.

Clasen e l’attrazione per la paura

Il ricercatore Mathias Clasen, specializzato in letteratura horror e neuroscienze, ha esplorato in profondità il motivo per cui ci piace “spaventarci per finta”.

Nel suo libro “Why Horror Seduces” (2017) spiega che:

  • La paura simulata (film horror, cronaca nera, thriller) è una palestra emotiva. Ci alleniamo ad affrontare il pericolo, ma in sicurezza.

  • Sperimentare emozioni intense in un contesto controllato ci aiuta ad affrontare meglio ansie e paure reali.

Quindi leggere di un crimine ci spaventa, ma ci permette anche di processare emozioni che altrimenti non sapremmo gestire. È come guardare un temporale da dietro un vetro: affascinante, pauroso… ma sai che non ti bagnerai mai.

“Se sanguina, fa notizia”: la regola d’oro del giornalismo

Questa frase è diventata negli anni ’80 una vera e propria legge non scritta nelle redazioni giornalistiche. Il concetto? Le notizie violente o tragiche attirano più lettori, più spettatori e più click.

E questo è stato ampiamente verificato:

  • Un’analisi del Pew Research Center ha mostrato che le notizie di cronaca nera sono tra le più lette e condivise online.

  • I titoli contenenti parole come “uccide”, “muore”, “dramma”, “terrore” o “shock” generano tassi di apertura più alti.

  • I servizi dei TG dedicano spesso il primo blocco alle notizie più gravi o scioccanti.

Il paradosso è che i media non “corrompono” il pubblico, ma ne seguono gli interessi. In altre parole: non ci danno quello che fa bene, ci danno quello che attira.

❤️ Ma perché ignoriamo l’amore e la felicità?

Sarebbe bello il contrario, vero? Un mondo in cui la prima pagina è dedicata a una coppia che adotta un bambino o a una comunità che si aiuta a vicenda. Ma purtroppo, queste notizie vengono relegate in fondo, quando va bene. Perché?

1. La felicità è prevedibile, e la prevedibilità annoia

Una storia d’amore che finisce bene? Bello, ma ci si aspetta che vada così. Nessun colpo di scena. Nessun pericolo. Nessun rischio.

Le narrazioni positive sono più lineari, più “tranquille”, e il nostro cervello, sempre a caccia di stimoli nuovi e inaspettati, le percepisce come meno interessanti.

2. L’ottimismo a lungo andare stanca

Sembra assurdo, ma è così. Un eccesso di positività può risultare:

  • Banale

  • Forzato

  • Poco autentico

Al contrario, le emozioni negative sono viste come più intense, più profonde e più “vere”.

3. Le aspettative sociali premiano il cinismo

In molte culture occidentali – soprattutto nei contesti urbani e individualisti – l’ottimismo è visto con sospetto. Si tende a pensare che chi è troppo felice sia:

  • Naïf

  • Superficiale

  • Disconnesso dalla realtà

Invece chi è sempre informato sui disastri del mondo viene percepito come “profondo”, “consapevole” e “intelligente”.

🌍 Cronaca nera e società: conseguenze reali su mente e comportamento

Assorbire quotidianamente notizie tragiche crea un impatto concreto sulla nostra visione del mondo, sulle nostre emozioni e sulle relazioni con gli altri. Alcuni effetti sono evidenti, mentre altri più subdoli. Tutti, però, contribuiscono a plasmare il nostro modo di vivere.

1. Una visione distorta della realtà

Più ci esponiamo a notizie violente, più rischiamo di sviluppare quella che gli psicologi chiamano “sindrome del mondo cattivo”, teorizzata da George Gerbner.

In pratica:

  • Le persone che consumano molte notizie tragiche iniziano a credere che il mondo sia più pericoloso di quanto non sia in realtà

  • Questo genera sfiducia negli altri, paura costante, e talvolta ansia sociale

Se senti ogni giorno parlare di rapine, stupri, e omicidi, ti viene spontaneo pensare che “fuori è pieno di matti” — anche se i dati dicono il contrario.

2. Assuefazione e desensibilizzazione

All’inizio, un titolo crudo ci colpisce. Poi ne vediamo dieci, cento, mille… E a un certo punto… non sentiamo più nulla. Questa è la desensibilizzazione emotiva: un processo per cui, dopo essere stati esposti ripetutamente a contenuti disturbanti, smettiamo di reagire.

In pratica:

  • Le tragedie diventano solo uno sfondo

  • Le vittime diventano numeri

  • Le emozioni si anestetizzano

E così, quello che un tempo ci avrebbe scioccato, oggi lo scorriamo con indifferenza. Un po’ come chi lavora in pronto soccorso e non batte ciglio davanti al sangue. Solo che noi non siamo medici. Siamo solo… molto esposti.

3. La paura come strumento di controllo

La paura è una leva potente in grado di orientare l’opinione pubblica. Non è un caso se alcuni ambienti mediatici — o politici — fanno leva sui fatti di cronaca nera per costruire narrazioni specifiche: criminalità = immigrati, degrado = giovani, insicurezza = bisogno di ordine.

Non sempre il fine è informare. Spesso è rappresentato dal fatto di guidare le emozioni, e di conseguenza, far prendere decisioni.

📱 Social media: acceleratori di negatività (con like e commenti)

Se la TV è stata la miccia, i social network sono la benzina. Il modo in cui sono costruite le piattaforme social amplifica a dismisura la visibilità e la diffusione dei contenuti negativi.

1. L’algoritmo ama la rabbia

Facebook, TikTok, X e Instagram possiedono al loro interno algoritmi progettati per massimizzare il tempo che trascorri sulla piattaforma. E sai cosa ti tiene incollato?

  • Notizie scioccanti

  • Contenuti che ti indignano

  • Video che suscitano rabbia, paura o disgusto

Uno studio del MIT Media Lab ha dimostrato che le fake news a contenuto emotivo negativo si diffondono 6 volte più velocemente delle notizie vere e positive. Perché? Perché ci fanno reagire. Commentiamo, condividiamo e ci arrabbiamo. E l’algoritmo, che non possiede alcuna etica, ma solo ” stupide ” metriche, le premia.

2. La logica del click: meglio “sconvolgente” che “consolante”

Il titolo: “Bambina salva cane dal fiume” fa sorridere.
Il titolo: “Bambina sbranata da pitbull in pieno centro” fa cliccare.
E questo comportamento fa tutta la differenza del mondo.

Il sistema premia i contenuti che performano meglio, non quelli che fanno bene alle persone. Il risultato?

  • Sovraesposizione a contenuti negativi

  • Alterazione della percezione della realtà

  • Senso costante di pericolo e sfiducia

3. La community della paura

Sui social, inoltre, si creano vere e proprie echo chambers della negatività. Gruppi, pagine e profili che si nutrono di contenuti violenti o tragici, dove si commenta con cinismo o rabbia ogni nuova disgrazia.

E chi prova a proporre un contenuto positivo spesso viene etichettato come:

  • Ingenuo

  • Fuori dal mondo

  • Poco “interessante”

La narrazione felice è diventata, in certi ambienti, quasi controcorrente.

🧘 Come possiamo uscire dalla spirale della negatività

La nostra attrazione verso la cronaca nera è naturale, tuttavia possiamo imparare a gestirla, riconoscerla e persino a bilanciarla. La chiave sta nella consapevolezza.

1. Allenare il cervello alla gratitudine

La gratitudine è un muscolo che si può allenare.

  • Scrivi ogni giorno 3 cose, anche piccole per cui sei grato della giornata appena trascorsa

  • Condividi storie positive con amici

  • Coltivare la memoria degli eventi felici, non solo quelli traumatici

Questo riduce l’ansia, migliora l’umore e… riequilibra l’attenzione. È come cambiare frequenza radio: smetti di ascoltare solo i bollettini di guerra, ma inizia ad ascoltare anche le notizie positive.

2. Inizia a fare una “dieta mediatica”

Così come non mangeresti 10 cheeseburger al giorno, non dovresti nemmeno assorbire 50 notizie tragiche ogni mattina. Il troppo… storpia.

Prova a:

  • Limitare la lettura delle notizie a uno o due momenti al giorno

  • Evitare i titoli clickbait pieni di “orrore” e “terrore”.

  • Cercare fonti che offrono anche soluzioni, non solo problemi

3. Rieduca l’algoritmo

L’algoritmo è come un animale da compagnia: si nutre di quello che gli dai. Più interagisci con contenuti tragici, più te ne propone di nuovi. Ma… puoi addestrarlo.

  • Segui pagine che diffondono buone notizie

  • Nascondi o segnala i contenuti tossici

  • Commenta e condividi post positivi

Col tempo, il tuo feed cambierà. E il tuo umore con lui.

4. Educare i giovani al senso critico

I ragazzi sono i più esposti. Crescono in un mondo dove la tragedia fa tendenza, e dove l’ansia è spesso spettacolarizzata. Serve una vera educazione mediatica i cui:

  • Insegnare a distinguere tra informazione e sensazionalismo

  • Parlare di emozioni, paura, rabbia… ma anche speranza

  • Mostrare il potere delle storie positive nel costruire il mondo

Nata e cresciuta a Rosignano Solvay , appassionata da sempre per tutto quello che ruota intorno al benessere della persona. Biologa, diplomata all'I.T.I.S Mattei