Congo e Amazzonia: la fine dei polmoni verdi in nome del profitto

Ogni secondo, nel silenzio assordante dei media internazionali, ettari di foresta scompaiono sotto le ruspe, le motoseghe, o le fiamme. La foresta amazzonica e quella del bacino del Congo sono i due più grandi polmoni verdi del pianeta.
Insieme rappresentano oltre il 40% delle foreste tropicali rimaste sulla Terra. Eppure, mentre la crisi climatica avanza e le promesse dei governi si moltiplicano, la distruzione accelera. Ma perché?
Dietro la deforestazione non c’è solo la povertà locale, o il bisogno di coltivare terre o un bisogno accentuato di legname: c’è un vero e proprio sistema globale, interconnesso, alimentato da multinazionali, governi compiacenti e una catena del valore che, in nome del profitto, distrugge ciò che la natura ha impiegato millenni a costruire.
La domanda cruciale, dunque, non è più “Perché si deforesta?”, ma “Chi ci guadagna davvero?” E soprattutto: quali sono le conseguenze ambientali, climatiche e biologiche che stiamo già pagando – tutti – anche se non lo sappiamo?
La foresta amazzonica: una giungla che vale miliardi
Cos’è l’Amazzonia e perché è così importante?
L’Amazzonia si estende su oltre 5,5 milioni di km², attraversando nove paesi sudamericani. È la casa di:
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Più di 390 miliardi di alberi appartenenti a 16.000 specie diverse.
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Circa 10% della biodiversità mondiale, con milioni di specie animali e vegetali.
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Oltre 400 gruppi indigeni, molti dei quali ancora non completamente integrati nel mondo moderno.
Ma l’Amazzonia non è solo una meraviglia biologica. È anche una centrale climatica globale:
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Regola le piogge di tutta l’america latina e influenza i monsoni africani.
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Assorbe tra 1 e 2 miliardi di tonnellate di CO₂ all’anno.
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Emana vapore acqueo che aiuta a mantenere le temperature più stabili.
Eppure, il Brasile – che detiene circa il 60% della foresta – continua a incentivare l’apertura di nuove terre agricole, l’allevamento estensivo di bovini, e l’estrazione mineraria.
I settori che lucrano sulla distruzione
Dietro ogni albero abbattuto si nascondono nomi, fatture, trasporti, e accordi commerciali. I principali responsabili? Eccoli:
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Agrobusiness: Soia, olio di palma, e allevamento intensivo. L’Amazzonia è terra fertile, e i campi di soia brasiliani – destinati per lo più al mangime animale – coprono milioni di ettari.
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Industria del legname: Viene “legalizzata” attraverso concessioni spesso corrotte. Il legname pregiato viene esportato verso Europa, Cina e Stati Uniti.
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Estrazione mineraria: Oro, bauxite, ferro, e rame. Le miniere legali e illegali stanno devastando fiumi e territori.
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Infrastrutture: Strade, dighe e progetti energetici che aprono la via alla colonizzazione di aree vergini.
Ecco un dato agghiacciante: il 95% della deforestazione amazzonica è legata ad attività illegali o semi-legali, dove i controlli statali sono minimi o inesistenti.
Il bacino del Congo: il cuore verde dell’Africa
Una foresta meno nota, ma altrettanto vitale
Se l’Amazzonia è il polmone dell’Ovest, il bacino del Congo è quello dell’Africa. Si estende su più di 3 milioni di km², attraversando sei paesi principali: Repubblica Democratica del Congo (RDC), Camerun, Repubblica del Congo, Gabon, Repubblica Centrafricana e Guinea Equatoriale.
Qui troviamo:
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Oltre 10.000 specie di piante, di cui almeno un terzo endemiche.
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400 specie di mammiferi, tra cui gorilla, bonobo ed elefanti della foresta.
Se non bastasse già questo per capire l’importanza ricoperta da questa foresta, devi sapere che svolge anche un ruolo chiave nel ciclo globale del carbonio, in quanto assorbe ogni anno circa 1,5 miliardi di tonnellate di CO₂.
Eppure, questa foresta è sotto attacco. Non solo da parte delle attività locali, ma soprattutto per via di interessi esterni, spesso legati a economie del Nord del mondo.
I predatori del verde africano
Nel bacino del Congo, la deforestazione segue logiche simili all’Amazzonia, ma con una maggiore opacità politica. Chi sono i principali “clienti” di questa devastazione?
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Compagnie di legname asiatiche ed europee, che sfruttano la debolezza delle istituzioni locali per ottenere concessioni a basso costo.
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Multinazionali minerarie: coltan, cobalto, diamanti, e uranio. Minerali strategici per la transizione energetica “green” del Nord del mondo… estratti distruggendo la natura.
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Bracconaggio e traffico di fauna selvatica, spesso collegati a reti criminali internazionali.
Uno dei casi più emblematici è quello della Repubblica Democratica del Congo, dove l’estrazione del cobalto – fondamentale per batterie di smartphone e auto elettriche – avviene spesso in condizioni disumane, anche nei pressi o all’interno di aree forestali protette.
Chi si arricchisce mentre il mondo si desertifica?
I grandi vincitori: multinazionali e speculatori
Dietro le ruspe non ci sono solo contadini o taglialegna. C’è un intero ecosistema economico internazionale che trae profitti enormi dalla deforestazione. Ecco chi sono i principali attori di questo abominio:
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Multinazionali dell’agroalimentare: Colossi come Cargill, JBS, Bunge e ADM sono stati più volte associati all’espansione di allevamenti e coltivazioni di soia su terreni deforestati. In particolare, la carne bovina brasiliana – alimentata a soia – finisce nei supermercati di tutto il mondo.
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Imprese del legname: Spesso operano attraverso subappalti e società offshore. Alcune imprese europee acquistano legname africano o amazzonico “legalizzato” con documenti fasulli.
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Industrie minerarie: Giganti come Glencore o China Molybdenum operano in Congo, sfruttando le miniere in zone altamente sensibili, spesso con la copertura di governi corrotti.
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Fondi d’investimento e banche: Alcuni fondi finanziano attività agricole e infrastrutturali che distruggono la foresta, ottenendo rendimenti altissimi.
La filiera della complicità
E poi c’è un’altra verità, forse più scomoda: il nostro stile di vita alimenta la deforestazione. Ok, ma come?
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Quando compriamo carne economica proveniente da allevamenti sudamericani.
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Quando acquistiamo smartphone o auto elettriche con batterie al litio e cobalto senza chiederci da dove vengono quei materiali.
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Quando consumiamo prodotti contenenti olio di palma, soia, legno tropicale o carta non certificata.
La foresta si dissolve un po’ anche nei nostri carrelli della spesa.
Le conseguenze ambientali: una ferita globale
Uno degli effetti più gravi e sottovalutati della deforestazione è l’interruzione del ciclo dell’acqua. Le grandi foreste tropicali non sono solo verdi: sono umide, e questa umidità è vitale.
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Gli alberi rilasciano vapore acqueo nell’atmosfera attraverso la traspirazione.
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Questo vapore forma nubi che poi ricadono come pioggia non solo nella zona forestale, ma anche in regioni molto lontane.
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Quando abbattiamo gli alberi, meno pioggia cade. Le stagioni secche si allungano, i suoli si impoveriscono e le coltivazioni falliscono.
Un esempio clamoroso è quello della deforestazione in Amazzonia che influisce sulle piogge anche in argentina e negli Stati Uniti meridionali.
E nel bacino del Congo, alcuni scienziati temono che la riduzione delle precipitazioni legate alla deforestazione possa far desertificare gradualmente aree del Sahel.
Biodiversità al collasso
Secondo il WWF, più di 30.000 specie potrebbero scomparire entro il 2050 solo in Amazzonia, se la deforestazione continua con questo ritmo. Nel Congo, intere popolazioni di bonobo, gorilla ed elefanti della foresta sono già in forte riduzione.
Con la perdita della biodiversità perdiamo:
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Equilibri ecologici che prevengono la diffusione di malattie.
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Servizi ecosistemici fondamentali, come impollinazione, rigenerazione del suolo, e purificazione dell’aria.
Ecco la bomba climatica che stiamo alimentando
La deforestazione è responsabile di circa il 10-15% delle emissioni globali di gas serra.
Ma il problema non è solo ciò che immettiamo. È anche ciò che perdiamo.
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Ogni albero abbattuto è un serbatoio di CO₂ che viene rilasciato.
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Ogni ettaro deforestato riduce la capacità del pianeta di assorbire carbonio.
L’Amazzonia orientale sta già emettendo più CO₂ di quanta ne assorba. È come se un depuratore dell’aria fosse diventato improvvisamente una ciminiera.
Una responsabilità globale
Il paradosso del consumismo ecologico
È ironico, ma reale: molti prodotti della “transizione ecologica” distruggono le foreste.
Auto elettriche, pannelli solari, smartphone “green”: tutti hanno bisogno di metalli estratti da territori vulnerabili, soprattutto nel Sud del mondo.
La corsa al cobalto e al litio sta scatenando una nuova forma di colonizzazione ambientale.
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In Congo, il boom della domanda di cobalto ha portato a miniere artigianali illegali che spesso impiegano bambini.
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In Amazzonia, i progetti energetici legati alle dighe “verdi” hanno causato inondazioni e sfollamenti di comunità indigene.
Politiche ambigue e dichiarazioni vuote
Molti paesi ricchi firmano accordi climatici e si presentano come paladini dell’ambiente, ma allo stesso tempo importano legname, soia o carne da aree deforestate.
Secondo un report della ONG Global Witness, l’Unione Europea è uno dei principali importatori indiretti di deforestazione tropicale, con un’impronta che equivale a milioni di ettari.
Invertire la rotta: è ancora possibile?
La buona notizia è che la natura ha una forza incredibile. Se lasciata in pace – o aiutata con intelligenza – può ricostruire ciò che abbiamo devastato.
In Brasile, ad esempio, alcuni progetti di riforestazione hanno già rigenerato migliaia di ettari in meno di 15 anni, con un ritorno parziale della fauna selvatica.
Nel bacino del Congo, iniziative come il progetto REDD+ (Reducing Emissions from Deforestation and forest Degradation) cercano di compensare economicamente le comunità locali per la conservazione delle foreste. I risultati sono misti, ma il principio è potente: pagare per non tagliare.
Le tecnologie al servizio della foresta
Non tutto ciò che è moderno distrugge. Esistono tecnologie in grado di:
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Monitorare in tempo reale la deforestazione (es. con droni, satelliti, e intelligenza artificiale)
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Tracciare la provenienza dei prodotti per garantire catene di fornitura prive di deforestazione
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Sostituire materie prime distruttive, come il cuoio con materiali vegetali o la carta con fibre alternative
Una piattaforma esemplare è Global Forest Watch, che permette a chiunque, gratuitamente, di visualizzare la perdita di copertura forestale in tempo reale, ovunque nel mondo.
Modelli virtuosi: chi ce la sta facendo?
L’Africa dei villaggi sostenibili
In paesi come il Camerun, il Kenya o il Ghana stanno emergendo comunità rurali autonome che praticano l’agroforestazione: un mix tra coltivazione, foresta e pastorizia. In questo modo:
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Il suolo si rigenera
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La biodiversità viene mantenuta
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Le famiglie hanno cibo e reddito senza distruggere l’ambiente
Un caso celebre è quello dell’agroforestazione del Sahel. Grazie a tecniche tradizionali riprese da contadini locali, oltre 5 milioni di ettari sono stati ripristinati in soli trent’anni.
L’Amazzonia indigena: i guardiani del futuro
Le popolazioni indigene dell’Amazzonia hanno un ruolo chiave nella difesa delle foreste.
Studi mostrano che le aree protette da comunità indigene subiscono meno deforestazione rispetto ai parchi nazionali gestiti dallo Stato.
Eppure, queste comunità sono sotto attacco. Vengono continuamente criminalizzate, ignorate, e a volte persino uccise.
Cosa possiamo fare noi?
Non serve essere scienziati o attivisti per agire. Anche come semplici cittadini possiamo incidere, ogni giorno, con le nostre scelte. Ecco come:
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Scegli prodotti certificati (es. FSC per il legno e la carta, Rainforest Alliance per il caffè, il cacao e le banane)
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Riduci il consumo di carne, soprattutto bovina proveniente dal Sud America
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Evita prodotti con olio di palma non certificato
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Sostieni aziende trasparenti che tracciano l’origine delle materie prime
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Pianta alberi, anche in città, o partecipa a campagne di riforestazione
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Informa e sensibilizza, perché il cambiamento comincia dalla consapevolezza
La politica deve fare la sua parte
A livello globale, è fondamentale:
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Imporre dazi ambientali ai prodotti legati alla deforestazione
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Sostenere i paesi forestali con fondi reali e non promesse
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Creare sanzioni per le imprese distruttive, e non premiarle con appalti e finanziamenti
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Proteggere attivamente gli attivisti ambientali e le popolazioni indigene
Occorre agire subito!
Le foreste non sono solo alberi. Sono memoria, clima, acqua, e vita. Sono connessioni invisibili che regolano l’equilibrio del nostro pianeta.
Lasciarle morire per profitto è come vendere i polmoni per comprare aria in bottiglia.
Il tempo per agire non è domani. È adesso.
La domanda, alla fine, resta la stessa: vogliamo essere parte del problema o della soluzione?
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