Buoni o cattivi? La scienza svela la vera natura dell’essere umano

siamo buoni o cattivi

Esiste una scintilla di bontà dentro di noi fin dalla nascita, oppure la crudeltà è la nostra vera eredità? Da secoli filosofi, scienziati e pensatori si arrovellano su una domanda tanto antica quanto attuale: l’uomo nasce buono o cattivo?
Se ci guardiamo intorno, la risposta sembra sfuggente: la storia è costellata di massacri e guerre, ma anche di gesti eroici e altruistici. È la società che ci corrompe o siamo, nel profondo, predestinati a lottare tra luce e oscurità? Scopriamolo subito!

I neonati giudicano già il bene e il male?

Incredibilmente, alcune delle prove più convincenti sull’innatismo della morale arrivano proprio dai più piccoli: i neonati.

Paul Bloom, psicologo dell’Università di Yale, ha realizzato esperimenti diventati famosi, in cui bambini di appena 3-6 mesi — troppo piccoli per essere stati “educati” — osservavano brevi scenette animate: in una, un personaggio aiutava un altro a scalare una collina; in un’altra, un personaggio diverso cercava invece di ostacolarlo.

Quando veniva chiesto loro di scegliere tra i due personaggi, i neonati preferivano sistematicamente quello altruista. Incredibile, vero?
Fatto ancora più interessante era che quando il personaggio “cattivo” veniva punito da un altro, i bambini sembravano approvare la punizione.
Come se avessero un senso rudimentale di giustizia, prima ancora di saper parlare!

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Cosa possiamo dedurre?

  • Esiste una preferenza spontanea per la cooperazione.

  • Il senso di giustizia potrebbe essere biologico, non solo culturale.

  • La morale emerge prima dell’insegnamento.

Eppure, attenzione: questi studi non provano che i bambini siano “buoni” in senso assoluto. Dimostrano solo che la capacità di distinguere buono e cattivo è innata.
Il modo in cui svilupperemo questa capacità dipende da mille fattori: educazione, esperienze, e cultura.

Mi affascina pensare che, dentro di noi, esista una bussola morale naturale. Ma come tutte le bussole, può essere ignorata o peggio manipolata…

L’uomo è cattivo di natura? L’eredità oscura della nostra evoluzione

L’aggressività è scritta nei nostri geni?

Se da piccoli sembriamo avere una scintilla di bontà, da grandi assistiamo troppo spesso al suo opposto. Perché?

Secondo molte teorie evolutive, l’aggressività e l’egoismo sono comportamenti che hanno aiutato l’evoluzione.
In un mondo primitivo, chi era troppo altruista rischiava di morire. Chi era disposto a difendere il suo gruppo, o addirittura a eliminare i rivali, aveva più probabilità di sopravvivere e riprodursi.

L’essere umano come animale sociale… ma spietato

L’uomo si è evoluto come animale sociale, certo, ma  la socialità non significava bontà universale. Significava invece:

  • Proteggere il proprio clan

  • Diffidare degli estranei

  • Collaborare all’interno del gruppo, ma competere ferocemente con gli altri

In fondo, anche oggi vediamo dinamiche molto simili: nazionalismi, razzismo, e tribalismi di ogni tipo.

Ecco cosa ne pensano gli scienziati:

Richard Wrangham, antropologo di Harvard, sostiene che l’uomo abbia ereditato una forma di “aggressività controllata”, utile per dominare e proteggere il gruppo.

Frans de Waal, etologo, mostra come anche gli scimpanzé siano capaci sia di atti di grande violenza che di sorprendenti gesti di altruismo.

Il paradosso della violenza umana

In pratica, siamo una specie capace di estrema cooperazione interna… e di brutale violenza esterna.
Siamo, allo stesso tempo, costruttori di civiltà e predatori organizzati.

Personalmente non credo che siamo “cattivi” per natura. Ma siamo, per natura, ambivalenti. Capaci di costruire ponti o muri, a seconda delle circostanze. È questa ambivalenza che ci rende umani, meravigliosamente complessi e pericolosamente instabili.

La cultura: l’arma a doppio taglio che modella la nostra morale

L’influenza dell’ambiente: la morale come costruzione sociale?

Se da un lato esistono basi biologiche della morale, dall’altro la cultura gioca un ruolo fondamentale nel plasmare ciò che consideriamo “giusto” o “sbagliato”.

Jonathan Haidt, uno dei più grandi studiosi contemporanei di psicologia morale, sostiene che il nostro senso etico non sia il prodotto di una razionalità pura, ma piuttosto di intuiti morali radicati, che poi giustifichiamo razionalmente a posteriori.

In pratica: sentiamo prima, ragioniamo dopo.

La morale varia da cultura a cultura

Un esempio?

  • In alcune società l’onore familiare è sacro, al punto da giustificare vendette violente.

  • In altre, il valore supremo è il rispetto dell’individuo, anche a scapito della famiglia.

Ciò che in una cultura è considerato “eroico”, in un’altra potrebbe apparire come un comportamento “barbarico”.

Da ciò possiamo intuire che:

  • La cultura amplia o restringe la nostra naturale propensione all’altruismo o all’ostilità.

  • Le norme sociali influenzano profondamente i nostri giudizi morali.

  • Anche il conformismo è un potente meccanismo di regolazione: facciamo spesso il “bene” o il “male” semplicemente per adattarci al gruppo.

La cultura come arma a doppio taglio

La cultura, dunque, può elevare l’essere umano… o corromperlo.
Può creare sistemi di valori che promuovono la compassione e i diritti umani, oppure generare regimi totalitari che giustificano i genocidi.

Gli esperimenti chiave: la banalità del male e la forza del conformismo

Non possiamo parlare di natura umana senza citare alcuni esperimenti psicologici storici che hanno scioccato il mondo intero.

L’esperimento di Milgram: l’obbedienza all’autorità

Nel 1961, pochi mesi dopo il processo al criminale nazista Adolf Eichmann, Stanley Milgram decise di capire quanto le persone comuni fossero disposte a infliggere dolore a un altro essere umano, semplicemente perché un’autorità glielo ordinava.

Il risultato fu agghiacciante:

  • Il 65% dei partecipanti arrivò a somministrare scosse elettriche potenzialmente letali a un altro individuo (in realtà un attore) solo perché il “ricercatore” glielo chiedeva.

  • Molti esprimevano disagio, ma continuavano a farlo.

Ecco i risultati dello studio: la maggior parte delle persone può commettere atrocità se spinta da un’autorità legittima.

L’esperimento della prigione di Stanford: il potere dei ruoli

Nel 1971, Philip Zimbardo simulò una prigione in un seminterrato universitario, assegnando a studenti il ruolo di “guardie” e “prigionieri”.
In meno di una settimana:

  • Le “guardie” iniziarono a umiliare, abusare e torturare psicologicamente i “prigionieri”.

  • La situazione degenerò così rapidamente che Zimbardo fu costretto a interrompere l’esperimento dopo solo 6 giorni.

Il contesto sociale e il ruolo assegnato possono trasformare persone normali in sadici o vittime passive.

La “banalità del male” secondo Hannah Arendt

La filosofa Hannah Arendt coniò l’espressione “banalità del male” osservando il processo di Eichmann.
Non un mostro crudele, ma un uomo qualunque che obbediva agli ordini “senza pensare”.

“Il male più grande viene commesso da persone normali che si rifiutano di pensare.”

La cooperazione come strategia di sopravvivenza

Se è vero che l’aggressività è una componente essenziale della nostra natura, non possiamo ignorare il fatto che la cooperazione ricopra un ruolo fondamentale nella nostra sopravvivenza come specie.

Richard Dawkins, nel suo celebre libro Il gene egoista, ha spiegato che anche comportamenti altruistici possono emergere per interesse genetico: aiutare i propri simili, specialmente parenti, aumenta la probabilità di trasmettere i propri geni.

Ma la cooperazione va oltre il semplice egoismo genetico.

I vantaggi evolutivi della cooperazione

  • Caccia collettiva: gruppi organizzati cacciavano prede troppo grandi per un singolo individuo.

  • Protezione reciproca: gruppi solidali respingevano predatori e nemici più facilmente.

  • Cura dei piccoli: società basate sull’aiuto reciproco garantivano una maggiore sopravvivenza della prole.

  • Scambio di conoscenze: il linguaggio, la trasmissione culturale e il progresso tecnologico si sono sviluppati solo grazie alla cooperazione.

In breve: senza cooperazione, non saremmo qui a farci queste domande!

La cooperazione oltre il gruppo: l’altruismo reciproco

Secondo la teoria dell’altruismo reciproco (Robert Trivers), anche aiutare individui non imparentati può essere vantaggioso:
“Io ti aiuto oggi, tu mi aiuterai domani.”

Questo principio è visibile in:

  • Scambi tra tribù diverse

  • Alleanze strategiche

  • Forme primitive di commercio

È affascinante pensare che la nostra grandezza come specie non derivi dalla forza individuale, ma dalla nostra capacità di fidarci, aiutarci e costruire insieme. La cooperazione non è una debolezza: è stata la nostra marcia in più nell’evoluzione.

La natura morale degli altri animali

Per molto tempo si è creduto che solo gli esseri umani fossero capaci di morale. Ma oggi, le osservazioni etologiche hanno incrinato questa certezza.

Frans de Waal, primatologo di fama mondiale, ha documentato comportamenti empatici, cooperativi e giustizialisti in molte specie animali, soprattutto nei primati.

Esempi di morale animale

  • Scimpanzé che consolano un compagno in lutto o dopo una sconfitta.

  • Elefanti che aiutano individui feriti o vecchi a rialzarsi.

  • Delfini che collaborano per salvare membri del gruppo in difficoltà.

  • Corvi che puniscono i compagni troppo egoisti all’interno del gruppo.

Questi comportamenti non sono semplici istinti ciechi: in molti casi, richiedono empatia, memoria sociale e capacità di giudizio.

Le radici della morale

Se anche gli animali mostrano comportamenti “morali”, significa che:

  • La moralità non è esclusiva dell’uomo.

  • Le basi della cooperazione e della giustizia sono molto antiche, che risalgono a milioni di anni fa.

Gli uomini non sono né angeli, e né demoni

La scienza suggerisce che abbiamo una predisposizione innata per la morale, tuttavia abbiamo anche una predisposizione innata alla violenza e all’egoismo. La cultura e il contesto possono esaltare o reprimere queste tendenze, in quanto hanno il potere di trasformare persone normali in santi o in mostri.

Il potere delle scelte

La nostra vita non è il risultato di un destino biologico inevitabile.
È il frutto delle scelte che facciamo, giorno dopo giorno:

  • Scegliamo di collaborare o di escludere.

  • Scegliamo di pensare o di obbedire ciecamente.

  • Scegliamo di proteggere o di distruggere.

La morale non è un dono garantito: è una conquista quotidiana.

Nata e cresciuta a Rosignano Solvay , appassionata da sempre per tutto quello che ruota intorno al benessere della persona. Biologa, diplomata all'I.T.I.S Mattei