Automazione e reddito universale: la salvezza promessa o la fine dell’uomo libero

Chi immagina il futuro popolato da macchine intelligenti lo dipinge come un paradiso del tempo libero, dove l’uomo, finalmente potrà dedicarsi alle sue passioni. Le macchine in questo contesto futuro lavoreranno al posto nostro in cambio del bene più prezioso: il tempo.
Tutto molto stimolante, tuttavia dobbiamo anche porci una domanda semplice, quanto di fondamentale importanza: a chi porterà davvero beneficio questa rivoluzione?
Un salto diverso dal passato
La storia ci insegna che ogni rivoluzione tecnologica ha avuto il potere di scardinare vecchi equilibri che sembravano indistruttibili. L’invenzione della macchina a vapore ad esempio ha sostituito la forza delle braccia e degli animali, permettendo di produrre energia in modo continuo e potente, liberando l’uomo dal lavoro puramente fisico, e spostando la fatica dal corpo alla mente. Ma insieme alla libertà, ha introdotto una nuova dipendenza: quella dalle macchine e dal sistema industriale.
Ogni volta, però, accadeva qualcosa di straordinario. L’innovazione non distruggeva soltanto, ma creava nuove possibilità. Nascevano mestieri mai esistiti prima, nuove forme di ricchezza, nonché nuove economie.
Questa volta, però, la storia sembra scritta con un copione molto diverso. L’intelligenza artificiale non sostituisce solo la forza fisica, ma anche la capacità di pensare, decidere e creare.
Non si limita a sollevare mattoni o spingere carrelli, ma è già in grado letteralmente di progettare, analizzare dati complessi, comporre musica, scrivere articoli, e persino suggerire strategie aziendali o soluzioni scientifiche.
È come se la macchina, da strumento, stesse diventando interlocutore, compagno, e purtroppo nostro competitor.
E questo cambia le regole del gioco!
Perché quando la tecnologia entra nel territorio del pensiero, riduce lo spazio per l’errore umano e la scoperta accidentale. E soprattutto, restringe lo spazio per inventare nuove nicchie di occupazione.
Se una macchina può scrivere poesie, fare diagnosi, dipingere quadri o gestire un’azienda, che ruolo resta all’uomo? Quello di coordinare le macchine o di supervisionare ciò che non sbagliano mai? O forse, semplicemente, guardare da lontano mentre lavorano al nostro posto.
Il rischio è che il progresso, da promessa di libertà, diventi una nuova forma di dipendenza. Perché il giorno in cui le macchine faranno tutto, noi potremmo scoprire che non sappiamo più fare niente.
E se le macchine non avessero più bisogno di noi?
L’idea che le macchine possano autoripararsi, migliorarsi o addirittura replicarsi è già presente nei laboratori e nei progetti dei grandi centri di ricerca.
Pensa a un futuro in cui le macchine si prendono cura l’una dell’altra. Quando un robot si ferma, un altro arriva e lo ripara. Poi, a parti invertite, accade lo stesso. Un circuito chiuso di efficienza perfetta, in cui l’uomo diventa superfluo.
E qui sorge la domanda inevitabile: Quanta manodopera umana servirà ancora in un mondo dove le macchine si prendono cura di sé? Spoiler: pochissima.
In un simile scenario, il ruolo umano rischia di ridursi a spettatore o in casi rari a supervisore. Non sarebbe più l’attore principale del sistema lavorativo, ma solo un semplice guardiano del processo automatico. E quando anche questo controllo verrà automatizzato — perché prima o poi succederà — l’uomo sarà costretto a fare mea culpa.
Diciamolo senza ipocrisie: l’umanità ha la singolare capacità di non imparare mai dai propri errori. Ciò che oggi potremmo ancora controllare, perché perfettamente prevedibile, viene lasciato libero di svilupparsi. Non per mancanza di mezzi, ma per un’eterna tendenza a sottovalutare la gravità del pericolo finché non diventa irreversibile.
Senza la necessità di lavorare, ma anche senza la libertà di creare, cosa resterà della nostra identità?
Il reddito universale
Di fronte a questo scenario, molti grandi imprenditori, soprattutto della Silicon Valley, propongono una soluzione apparentemente umanitaria, e dico apparente per un giusto motivo: il reddito universale di base.
Un assegno mensile garantito a tutti, indipendentemente dal lavoro svolto, per assicurare una vita dignitosa anche in un mondo dove la maggior parte dei mestieri sarà affidata alle macchine.
Sulla carta sembra una conquista sociale, quasi una nuova forma di civiltà, ma come spesso accade, il diavolo si nasconde nei dettagli!
Se il reddito universale fosse gestito da un piccolo gruppo di potere — governi controllati da grandi corporazioni o le stesse aziende tecnologiche che dominano il mercato — allora questa misura rischierebbe di imprigionarci al giogo di poche menti.
Ti do abbastanza per non soffrire, ma non abbastanza per cambiare la tua condizione. Ti tengo in vita, ma ti tolgo il motivo per vivere davvero.
Immaginiamolo così: È come se qualcuno ti dicesse: “Non preoccuparti del pane, te lo porto io ogni giorno”. Sembra generoso, vero?
Peccato che nel frattempo ti abbia tolto il campo di grano, la terra, gli attrezzi e la libertà di decidere quando e come coltivare.
E così, giorno dopo giorno, il reddito universale rischia di diventare un livellamento verso il basso: una forma di uguaglianza solo apparente, in cui tutti ricevono lo “stesso poco”, mentre i pochi conservano tutto.
Ecco i rischi concreti del reddito universale
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La libertà promessa si trasforma in dipendenza reale
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Le persone vivono “a galla”, ma senza possibilità di autoarricchirsi
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Le opportunità economiche restano concentrate nelle mani di pochi
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La massa riceve un sussidio, mentre l’élite controlla capitale, dati e potere
- Il senso critico muore, dato che non possiamo inimicarci chi ci nutre
In altre parole, il reddito universale, se mal gestito, può diventare una nuova forma di schiavitù dolce, dove la catena non è fatta di ferro ma di comfort e routine.
Ricchezza e potere: due facce della stessa medaglia
A un certo punto, accumulare denaro non servirà più. Non perché i ricchi avranno esaurito i propri desideri, ma perché avranno conquistato qualcosa di più grande: il controllo totale dell’economia.
Non sarà più questione di macchine o intelligenze artificiali, ma di un sistema chiuso, perfettamente calibrato, dove il flusso della ricchezza è gestito da pochi e mantenuto in equilibrio per non disperdersi mai.
Il 99% della popolazione vivrà grazie a un reddito garantito, regolato da chi possiede i capitali.
Sarà una società “senza poveri” nel senso più ingannevole del termine: nessuno morirà di fame, ma nessuno potrà più arricchirsi. Tutto sarà stabilizzato, controllato e prevedibile.
Il denaro scorrerà solo dove deve scorrere — in un circuito chiuso tra banche, multinazionali e governi — e tornerà sempre nelle stesse mani.
In un’economia simile, non esiste più la possibilità di salire, di cambiare il proprio destino o di creare qualcosa di proprio. L’idea stessa di mobilità sociale scomparirebbe.
E così, anche se sulla carta tutti avranno abbastanza per vivere, in realtà nessuno sarà davvero libero.
Il potere non starà più nell’avere più soldi, ma nel decidere quanto denaro far circolare, a chi e quando.
Sarebbe la forma più sottile e sofisticata di dominio che l’uomo abbia mai creato: una dittatura economica travestita da equilibrio sociale.
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