Perché odiamo i privilegi… ma sogniamo di averli?

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Perché giudichiamo ingiusto il benessere altrui, quando al loro posto probabilmente ci comporteremmo allo stesso modo?

Critichiamo il ricco che ostenta, o “il figlio di papà” accusandoli di ingiustizia, arroganza e di indifferenza verso chi fatica, eppure, quante volte vorremmo essere nella loro stessa posizione?

Da un lato invochiamo equità, mentre dall’altro accarezziamo l’idea del privilegio come desiderio segreto.

L’etica della giustizia: il velo d’ignoranza

Il filosofo John Rawls ha provato a sciogliere questo nodo con un esperimento mentale di enorme valore: il velo d’ignoranza.
Immagina – dice Rawls – di dover scrivere le regole di una società senza sapere chi sarai al suo interno. Non sai se nascerai ricco o povero, maschio o femmina, sano o malato, nella maggioranza o nella minoranza.

Saresti disposto a rischiare? Certo che no! Proprio per questo motivo, dietro il velo, sceglieresti istituzioni più giuste ed eque, capaci di proteggere anche i più deboli, perché ” quello debole ” potresti essere tu.

Ma nella realtà il velo non c’è!
Appena apriamo gli occhi e ci accorgiamo del ruolo che abbiamo ricevuto – basso o alto, marginale o privilegiato – la nostra idea di giustizia cambia colore.

Chi è in alto tende a difendere lo status quo, trovando mille ragioni per giustificare il proprio posto, mentre chi è in basso reclama riforme, redistribuzioni e cambiamento.

La giustizia, così, non appare più come un principio universale, ma come specchio della posizione che occupiamo nella società.

Ipocrisia morale: ciò che diciamo vs ciò che faremmo

Questa tensione si traduce in una delle forme più diffuse di ipocrisia morale.
Siamo pronti a puntare il dito contro i privilegi degli altri, ma quando la vita ci offre scorciatoie, quanti davvero resistono davvero?

  • Il moralista che tuona contro la corruzione ma non rifiuta una “spintarella” per sistemare il figlio.

  • Il lavoratore che condanna i bonus dei dirigenti ma, se promosso, accetta senza esitazione gli stessi benefit.

  • Il politico che promette rigore e uguaglianza, ma che al primo incarico importante usufruisce dei vantaggi che prima criticava.

Il divario tra principi e azioni mostra la fragilità della nostra morale quando si scontra con la tentazione del vantaggio personale. Non siamo sempre mossi da amore per la giustizia: spesso ci ribelliamo perché non siamo noi i beneficiari del privilegio.

Fortuna o merito?

Viviamo immersi nella retorica della meritocrazia: se lavori sodo, sei determinato, e non molli mai, allora arriverai al successo. È il mantra che sentiamo ripetere ovunque: nei discorsi politici, nei manuali di crescita personale, nonché nelle biografie dei “self-made men”.

Ma siamo davvero sicuri che la ricchezza e la posizione sociale si riducono soltanto a merito? La filosofia morale ci invita a guardare oltre la superficie, poiché in realtà entra in gioco un fattore che spesso fingiamo di non vedere: la fortuna.

Circostanze di nascita: Nessuno sceglie la propria famiglia, il proprio quartiere, né il contesto in cui nasce. Essere allevati in un ambiente sicuro, con accesso a buone scuole, o al contrario crescere in una periferia segnata dalla violenza, non è frutto del proprio merito personale, ma è pura casualità.

Contatti e reti sociali: A parità di talento, spesso emerge chi ha le giuste conoscenze. Una raccomandazione, un aggancio al momento opportuno, o un incontro fortunato con la persona “giusta” possono aprire porte che rimangono chiuse agli altri.

Opportunità storiche ed economiche: Ci sono momenti in cui un settore esplode. Pensiamo alla Silicon Valley negli anni ’90 o alle criptovalute nel decennio scorso: chi si trovava lì, con le condizioni giuste, ha cavalcato un’onda irripetibile. Non è solo merito, ma è anche trovarsi al posto giusto nel momento giusto.

Riconoscere il peso della fortuna non significa negare l’impegno personale, tuttavia ridimensiona il mito del “tutto dipende da me”: nessuno è autore assoluto del proprio successo, poiché ognuno costruisce sulle basi di condizioni che non ha scelto.

Esempi concreti: la narrativa del privilegio

Questa ambiguità emerge chiaramente nelle storie pubbliche che ci vengono raccontate.

Il grande imprenditore: Ama narrare la propria scalata come frutto di sacrifici e visione, ma i critici ricordano i capitali iniziali ricevuti dalla famiglia o i rapporti privilegiati con la politica.

Il politico, come “uomo del popolo”: Si presenta come uno di noi, ma il suo cognome apre le porte a scuole d’élite che lo hanno preparato, e il suo “popolo” in realtà non lo ha mai davvero frequentato.

L’ereditiera trasformata in “manager di successo”: Rivendica talento e spirito imprenditoriale, ma sorvola sul fatto che il patrimonio di partenza le abbia permesso di rischiare senza paura di fallire.

Questi casi non vanno letti con puro cinismo, ma come specchio di un conflitto ben radicato: la società oscilla tra due narrazioni, quella della meritocrazia (ognuno è artefice del proprio destino) e quella del privilegio (il successo nasce da vantaggi nascosti).

La verità sta probabilmente nel mezzo, ma tendiamo a scegliere la narrazione che ci conviene di più a seconda della nostra posizione.

Conclusione

Si può davvero desiderare una giustizia imparziale, se nel profondo sogniamo di essere noi i privilegiati?

Forse l’invidia sociale non è soltanto rancore verso chi ha più di noi, ma rappresenta meglio di tutti anche lo specchio della nostra ipocrisia. Condanniamo ciò che vorremmo, perché sappiamo di non poterlo avere. Ci infastidisce il lusso altrui perché ci ricorda il lusso che non è nostro.

E se un giorno toccasse a noi?
Resisteremmo davvero alla tentazione di difendere i nostri privilegi, e di giustificarli come meritati? Oppure scopriremmo, con imbarazzo, che il giudizio che oggi lanciamo contro gli altri potrebbe facilmente rivolgersi contro di noi?

Nata e cresciuta a Rosignano Solvay , appassionata da sempre per tutto quello che ruota intorno al benessere della persona. Biologa, diplomata all'I.T.I.S Mattei