Intelligenza e valori morali: Lo studio che potrebbe cambiare tutto
Un nuovo studio pubblicato sulla rivista Intelligence ha rivelato un risultato sorprendente: le persone con capacità cognitive più elevate tendono ad avere basi morali più deboli. Una conclusione che rovescia un luogo comune piuttosto diffuso, quello secondo cui chi è più intelligente possiede anche valori morali più forti o più “illuminati”.
Un mito da sfatare
Da tempo, si è soliti pensare che intelligenza e moralità vadano a braccetto. Le persone brillanti vengono spesso associate a una maggiore etica, compassione ed equità, eppure, la letteratura scientifica su questo tema ha sempre restituito risultati contrastanti.
Alcuni studi hanno collegato l’intelligenza a valori liberali come la giustizia e la compassione, mentre altri hanno invece rilevato un minor attaccamento a principi legati alla tradizione, alla lealtà e alla purezza. Ma qual è la verità?
Il nuovo lavoro di Michael Zakharin e Timothy C. Bates si è posto proprio questo obiettivo: chiarire la relazione fra capacità cognitive e basi morali.
Lo studio si è basato sulla Moral Foundations Theory, secondo cui i giudizi morali si fondano su sei pilastri fondamentali:
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Cura: proteggere gli altri dai danni che potrebbero subire.
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Uguaglianza: garantire equità e giustizia a ogni individuo.
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Proporzionalità: premiare in base al merito.
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Lealtà: essere fedeli alla comunità.
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Autorità: essere rispettosi delle gerarchie e delle regole.
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Purezza: possedere valori legati alla sacralità del corpo e alla moralità tradizionale. Questo principio è alla base dell’idea che occorre impegnarsi a vivere in un modo più sano e naturale.
I primi due fondamenti – individualizzanti – sono più tipici delle persone progressiste. Gli altri quattro – vincolanti – tendono a essere più elevati nei conservatori, che vedono nella coesione e nelle regole comuni un valore fondamentale per garantire sicurezza e stabilità.
Due studi per capire meglio
Per verificare la correlazione fra intelligenza e moralità, i ricercatori hanno condotto due indagini indipendenti nel Regno Unito.
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Primo studio: 802 partecipanti hanno compilato il Moral Foundations Questionnaire-2. Due settimane dopo, 463 di loro hanno sostenuto test cognitivi su ragionamento verbale, riconoscimento di schemi numerici e ragionamento astratto.
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Secondo studio: un nuovo campione di 857 adulti ha completato i due test (morale e cognitivo) nello stesso momento. Questa volta lo studio è stato anche preregistrato: gli studiosi hanno dichiarato in anticipo le ipotesi, per ridurre eventuali distorsioni nei risultati.
In entrambi i casi, sono stati utilizzati strumenti consolidati e modelli statistici per analizzare i dati ottenuti.
Quattro ipotesi a confronto
Gli autori hanno ipotizzato quattro possibili scenari:
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Nessuna relazione fra intelligenza e moralità.
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L’intelligenza rafforza tutti i fondamenti morali.
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Le persone intelligenti privilegiano i fondamenti individualizzanti (cura e uguaglianza), rifiutando i vincolanti.
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Il cosiddetto Morality Suppression Model secondo cui maggiore intelligenza equivarrebbe a basi morali più deboli su tutti i 6 pilastri.
Il verdetto? L’ultima ipotesi è stata confermata.
Risultati sorprendenti
In entrambi gli studi, le persone con punteggi più alti nei test cognitivi hanno attribuito meno importanza a tutti i fondamenti morali. Non solo quindi quelli legati alla tradizione o alla purezza, ma anche a quelli più universalmente positivi come la cura o l’uguaglianza.
Le differenze erano moderate, ma statisticamente solide. Un dato in particolare ha colpito i ricercatori: l’intelligenza verbale si è mostrata correlata a una minore adesione al fondamento della purezza.
In altre parole, chi ha maggiori capacità linguistiche tende a mettere maggiormente in discussione convinzioni legate alla sacralità del corpo o a tabù morali be radicati. Questo potrebbe dipendere dal fatto che il linguaggio e il ragionamento possano erodere convinzioni ritenute invalicabili.
Uomini e donne? Nessuna differenza
I ricercatori hanno anche verificato se esistessero differenze di genere. È emerso che uomini e donne tendono a dare peso in modo diverso ai fondamenti morali, tuttavia il legame fra intelligenza e moralità non cambia: il modello di “indebolimento” è valido per entrambi i sessi.
Perché accade?
Come possiamo spiegare un risultato così controintuitivo? Una possibile chiave è il pensiero analitico. Le intuizioni morali sono spesso frutto di reazioni emotive rapide: proviamo indignazione, compassione o rispetto senza rifletterci troppo.
L’intelligenza, invece, favorisce un ragionamento freddo, distaccato e che tende a mettere in discussione tutto. Così, anche i valori morali più radicati rischiano di apparire meno “naturali” e più arbitrari.
Un altro spunto riguarda proprio l’uso del linguaggio. Chi possiede elevate abilità verbali sembra particolarmente incline a decostruire e reinterpretare i concetti di purezza morale, considerandoli superati. Forse la forza delle parole riesce a scalfire convinzioni che per altri restano intoccabili.
Attenzione ai limiti degli studi
Gli stessi autori hanno sottolineato alcuni limiti degli studi:
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Non si può dire con certezza se sia l’intelligenza a indebolire la moralità, o se siano persone già meno legate ai valori tradizionali ad avvicinarsi maggiormente ad attività intellettuali.
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I dati derivano da questionari di autovalutazione, sempre soggetti a distorsioni. Sarebbe utile poter integrare anche osservazioni dirette o valutazioni esterne.
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I campioni erano composti solo da adulti del Regno Unito: non è detto che in altri contesti culturali i risultati siano gli stessi.
Una riflessione più ampia
Questi risultati ci obbligano a porci una domanda scomoda: essere intelligenti significa davvero essere peggiori dal punto di vista morale? Non necessariamente. Forse l’intelligenza ci rende più critici e meno inclini ad accettare determinati valori come verità assolute.
Un esempio pratico: una persona molto razionale potrebbe considerare la lealtà di gruppo un concetto relativo e banale, ridimensionando così un valore che, in certe situazioni, mantiene unita una comunità. Oppure, potrebbe giudicare la purezza come un retaggio culturale obsoleto, senza percepire nessun tipo di importanza.
D’altra parte, non è forse vero che i grandi cambiamenti sociali sono spesso nati proprio da menti che hanno osato mettere in discussione i valori dominanti? Pensiamo ai movimenti per i diritti civili: senza spirito critico, molti tabù morali non sarebbero mai stati abbattuti.
Conclusione
Lo studio di Zakharin e Bates ci ricorda che l’intelligenza non coincide con la moralità. Essere brillanti può voler dire avere strumenti più potenti per analizzare, criticare e rivedere le norme, ma questo non garantisce di essere persone “migliori”.
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