Noia, ansia e motivazione: La teoria dell’eccitazione che spiega il comportamento umano
Nel corso del Novecento, diversi psicologi hanno cercato di spiegare cosa ci spinge a compiere determinate azioni, e ad evitarne altre. Tra queste interpretazioni, la teoria dell’eccitazione della motivazione occupa un ruolo centrale.
Secondo questo modello, la motivazione nasce dal tentativo di mantenere un livello di eccitazione fisiologica ottimale: né troppo basso, per evitare la noia, né troppo alto, per non sfociare nell’ansia.
L’eccitazione è infatti un continuum che va da uno stato di quiete e sotto-stimolazione, fino ad arrivare a uno stato di allerta e sovrastimolazione.
La ricerca suggerisce che il comportamento umano si muove costantemente all’interno di questo fragile equilibrio.
Origini della teoria: da Murray a Zajonc
Il primo a proporre formalmente una teoria dell’eccitazione fu Henry Murray nel 1938. Murray osservò che bisogni fondamentali come il successo, e il potere non erano semplicemente risposte automatiche, bensì processi guidati dal tentativo di regolare la propria eccitazione interna.
Quando il livello di stimolazione era troppo basso, le persone cercavano attività che lo aumentassero; mentre quando era troppo alto, cercavano di ridurlo. Negli anni successivi, altri studiosi ampliarono questo modello.
Robert Zajonc: l’eccitazione come condizione essenziale della performance
Zajonc fu tra i primi a mettere in luce come l’eccitazione fisiologica non rappresentasse un semplice “rumore di fondo” dell’esperienza umana, bensì un elemento essenziale che influenza in modo diretto la qualità delle prestazioni.
Il suo contributo più noto riguarda il fenomeno della facilitazione sociale, in cui la presenza di altre persone aumenta i livelli di eccitazione e, di conseguenza, può migliorare le performance su compiti semplici o ben appresi, mentre può peggiorarle su quelli complessi o nuovi.
Secondo Zajonc, dunque, l’eccitazione non è né buona, e né cattiva. Il punto centrale è trovare un livello ottimale di attivazione: una zona intermedia in cui corpo e mente siano sufficientemente svegli e reattivi, senza però essere eccessivamente sovraccaricati.
Troppa poca eccitazione → apatia, scarsa attenzione, nonché ridotta motivazione.
Troppa eccitazione → agitazione, ansia da prestazione, nonché difficoltà di concentrazione.
Zajonc sottolinea anche l’importanza dell’ambiente sociale e delle pressioni esterne, mostrando che la motivazione non dipende solo da fattori interni, ma è influenzata anche dal contesto in cui ci troviamo.
John Atkinson: la soglia individuale di eccitazione, e la motivazione al successo
Atkinson ampliò la discussione sull’attivazione, introducendo il concetto di differenze individuali. Secondo lui, ogni persona possiede una sorta di “set point” personale di eccitazione, dato che:
Alcuni funzionano meglio con un alto livello di stimolazione, tipico delle persone “sensation seekers”, più energiche e orientate all’azione.
Altri rendono di più in ambienti tranquilli, dove il livello di pressione è moderato e la mente può concentrarsi senza subire alcun tipo di interferenza esterna.
Alla base di questa visione c’è il suo più ampio modello motivazionale, centrato sulla motivazione al successo, e motivazione ad evitare il fallimento.
L’eccitazione diventa quindi un indicatore dello stato emotivo con cui si affronta un compito, dove:
Chi ha una forte motivazione al successo, vive la sfida come un qualcosa di stimolante e divertente,
Chi teme il fallimento al contrario, può sperimentare una forma di eccitazione più negativa e destabilizzante.
Componente biologica e psicologica dell’eccitazione
Un punto chiave nella teoria di Atkinson è il riconoscimento che l’eccitazione possiede radici biologiche universali — tutti gli esseri umani provano attivazione fisiologica in risposta agli stimoli — ma anche una dimensione psicologica soggettiva:
- Biologica, dato che coinvolge sistemi come il sistema nervoso autonomo, la secrezione di adrenalina e noradrenalina, l’aumento del battito cardiaco, nonché della tensione muscolare.
- Psicologica, dato che riguarda come interpretiamo gli stimoli, le nostre esperienze passate, le aspettative, le credenze personali e persino la nostra personalità.
Due persone possono vivere lo stesso evento in modo radicalmente diverso: ciò che per qualcuno è una sfida esaltante, per un altro può essere una fonte incredibile di ansia.
Sfida e minaccia: i due motori dell’eccitazione
Secondo questo modello, le variazioni di eccitazione dipendono principalmente da:
Sfida
La situazione è interpretata come affrontabile: la persona percepisce di avere risorse sufficienti per gestire in modo efficiente il compito.
In questo caso:
l’attivazione fisiologica aumenta in modo positivo;
le funzioni cognitive rimangono efficienti;
si potenziano motivazione, creatività, reattività e concentrazione.
L’eccitazione da sfida è associata a performance elevate, senso di competenza e crescita personale.
Minaccia
La situazione viene percepita come superiore alle proprie risorse o come potenzialmente dannosa. Qui l’eccitazione aumenta in modo più intenso e destabilizzante:
si amplificano ansia, tensione muscolare, nonché pensieri catastrofici;
il sistema attentivo si restringe;
la capacità di eseguire compiti complessi si deteriora.
L’eccitazione da minaccia non impedisce l’azione, ma la rende meno efficace e più disorganizzata.
Modelli motivazionali basati sull’eccitazione
Nel campo della psicologia, esistono diversi modelli che spiegano la motivazione partendo dal ruolo dell’attivazione fisiologica (arousal). Tra i più influenti troviamo la teoria della riduzione della spinta di Clark Hull, e la teoria dell’eccitazione ottimale di Yerkes e Dodson.
Questi modelli descrivono come i livelli di eccitazione influenzano il comportamento umano.
1. La teoria della riduzione della spinta di Clark Hull
Secondo questa teoria, il comportamento nasce dal tentativo di soddisfare bisogni fisiologici primari come la fame, la sete e il bisogno di ossigeno.
Quando questi bisogni non sono soddisfatti, si genera una spinta (o drive) che incrementa l’eccitazione e motiva l’organismo a mettere in atto comportamenti mirati a ristabilire il giusto equilibrio.
Hull propose che:
i comportamenti che riducono la spinta vengono rinforzati;
anche azioni rischiose, come la ricerca del brivido o l’uso di sostanze, possono essere interpretate come tentativi di modificare l’eccitazione interna;
la riduzione della spinta spiega parte della motivazione, ma non tutta.
LE CRITICHE A QUESTA TEORIA
Molti psicologi sottolineano che la teoria non spiega motivazioni complesse, come creatività, esplorazione, gioco o aspirazioni non realistiche (per esempio voler diventare un atleta olimpico senza averne le competenze), né tiene pienamente conto delle peculiarità umane.
Hull fu inoltre criticato per basarsi soprattutto su studi animali. In questo contesto fu osservato il fenomeno dell’induzione della spinta: in alcuni casi, gli animali aumentavano la motivazione dopo aver consumato un rinforzo, invece di ridurla.
Un esempio classico è quello dei ratti nei labirinti, la cui motivazione a cercare cibo aumentava anche quando lo avevano già ricevuto.
2. La teoria dell’eccitazione ottimale
Questa teoria – proposta da Yerkes e Dodson nel 1908 – sostiene che secondo questo modello, le prestazioni dipendono dal livello di eccitazione (arousal): non troppo basso, non troppo alto, ma ottimale — e questo punto ottimale cambia in base al tipo di compito e alla persona.
✔️ Compiti facili → meglio con arousal alto
I compiti semplici, ripetitivi o automatici tendono a trarre vantaggio da un livello di eccitazione più elevato. Perché?
Richiedono meno concentrazione profonda
Un po’ di “energia nervosa” può aumentare la rapidità nell’elaborazione dei compiti
È difficile che l’eccesso di attivazione porti a errori gravi
In pratica: più sei energico, più vai veloce, e il rischio di sbagliare è molto basso.
✔️ Compiti difficili → meglio con arousal più basso
I compiti complessi — quelli che richiedono ragionamento, precisione o creatività — funzionano meglio con un livello di eccitazione più moderato.
Perché?
troppa attivazione porta facilmente ad ansia
l’ansia riduce la concentrazione
nelle attività complesse serve calma per riflettere e prendere decisioni ben ponderate
Quindi: troppa energia può “bloccare”, far perdere lucidità o peggiorare le prestazioni.
Ricerca di sensazioni e teoria dell’eccitazione
Nel 1984 Marvin Zuckerman ampliò la comprensione del rapporto tra eccitazione e prestazione collegando la teoria dell’arousal al concetto di sensation seeking, ovvero alla ricerca di sensazioni.
Secondo Zuckerman, le persone differiscono naturalmente nella quantità di stimolazione di cui hanno bisogno per sentirsi motivate, vigili o semplicemente “vive”.
Alcuni individui hanno un livello di arousal basale più basso e, per raggiungere lo stato ottimale di attivazione, ricercano esperienze intense, nuove o più rischiose. Questa tendenza non è solo psicologica, ma è stata associata anche a differenze genetiche, neurochimiche (come la regolazione della dopamina) e comportamentali.
Le ricerche condotte negli anni successivi hanno mostrato inoltre, che le persone che ottengono punteggi elevati nei test di sensation seeking tendono ad avere una forte preferenza per attività ad alta intensità.
Queste possono comportare la pratica di sport estremi (paracadutismo, arrampicata, immersioni in profondità), ed esperienze sociali ed emozionali più stimolanti, fino ad arrivare, in alcuni casi, all’uso di sostanze eccitanti o psicostimolanti.
Per questi individui, la ricerca di stimoli intensi non rappresenta solo un passatempo, ma una modalità attraverso cui raggiungere il livello di eccitazione che permette loro di sentirsi pienamente coinvolti e mentalmente attivi.
Esempi reali: quando l’eccitazione guida il comportamento
Socializzazione e ricerca di stimoli
Andare in discoteca, o cercare situazioni socialmente vivaci può essere interpretato come un tentativo di raggiungere il livello di eccitazione desiderato.
Per alcune persone, luci, musica e interazioni con gli altri rappresentano la quantità ideale di stimolazione, mentre per altre, lo stesso ambiente può risultare eccessivo, spingendoli a preferire attività più tranquille, come una passeggiata immersi nella natura.
Fame e regolazione interna
La fame rappresenta uno degli esempi più immediati del legame esistente tra eccitazione fisiologica e motivazione. Quando l’organismo percepisce un calo nelle riserve energetiche, avvia tutta una serie di risposte biologiche che modificano il livello di arousal.
Per alcune persone questo stato può tradursi in un aumento dell’energia e della vigilanza: l’organismo infatti, rilascia ormoni come l’adrenalina e il cortisolo, che rendono più attenti e pronti all’azione, facilitando la ricerca di cibo.
Per altre, invece, la stessa condizione produce l’effetto completamente opposto, dato che la riduzione degli zuccheri nel sangue può causare affaticamento, irritabilità, difficoltà di concentrazione e un generale senso di rallentamento. In questi casi, la fame diminuisce l’eccitazione, anziché aumentarla.
Queste reazioni contrastanti dipendono dalle differenze individuali nelle soglie di eccitazione, dato che alcune persone rispondono con maggiore sensibilità alle variazioni ormonali, mentre altre tollerano meglio i cali energetici.
La teoria dell’eccitazione spiega quindi perché lo stesso stimolo — la fame — possa motivare all’azione alcuni individui e ridurla in altri, influenzando comportamenti ed emozioni in modo spesso molto differente.
Conclusione: un equilibrio dinamico
La teoria combinata mostra in conclusione, che le prestazioni ottimali emergono quando esiste un equilibrio fra:
Livello di eccitazione biologica,
Interpretazione psicologica della situazione,
Differenze individuali nella tolleranza allo stimolo,
Natura dello stimolo (sfida vs minaccia).
Comprendere e modulare l’eccitazione diventa dunque una strategia fondamentale per migliorare il rendimento personale, prevenire il sovraccarico e costruire un rapporto più funzionale con stress e pressione esterna.















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