La storia di Dolly e il dibattito sulla clonazione, tra etica e futuro.

dolly clonazione

Quando il 5 luglio 1996 venne alla luce Dolly, pochi avrebbero immaginato quanto quella piccola pecora avrebbe scosso la scienza e la società.

Dolly fu infatti il primo mammifero al mondo a nascere tramite clonazione riproduttiva, un risultato che rese i ricercatori del Roslin Institute, in Scozia, celebri in tutto il pianeta.

La sua nascita fu annunciata solo l’anno successivo, nel febbraio 1997, sulla prestigiosa rivista Nature, e da quel momento il dibattito non si è più fermato.

Come è stata creata Dolly?

Dolly è stata creata tramite un processo che prende il nome di trasferimento nucleare di cellule somatiche (SCNT). Sembra complesso, ma il principio è alquanto semplice:

  • Si prende il DNA da una cellula normale dell’animale da clonare (nel caso di Dolly, da una cellula mammaria).

  • Questo DNA viene inserito in un’ovocita privato del suo nucleo, proveniente da un’altra pecora.

  • L’ovocita così “ri-programmato” viene poi impiantato nell’utero di una terza pecora, che porta avanti la gravidanza fino alla nascita.

Il risultato? Un animale geneticamente quasi identico al donatore del DNA. Dolly quindi non era solo una pecora, ma la dimostrazione vivente che la clonazione dei mammiferi era possibile.

Reazioni tra stupore, paura e domande etiche

L’annuncio della nascita di Dolly provocò una reazione mondiale, fatta di meraviglia ma soprattutto di preoccupazione. Non si trattava solamente di un avanzamento scientifico. Questo evento di portata mondiale, apri inesorabilmente la porta a una domanda, che tutti si ponevano:

Se possiamo clonare una pecora, possiamo clonare anche un essere umano?

Molti governi risposero rapidamente, imponendo divieti severi alla clonazione umana, con leggi che prevedevano perfino pene detentive. La clonazione divenne subito terreno di scontro etico, politico e religioso. E, subito nell’immediato, comparve quest’accusa: “È sbagliato, in quanto così si gioca a fare Dio.”

Ecco i principali argomenti contro la clonazione umana

“Ordine naturale” e “dignità”: parole forti, ma cosa vogliono dire?

Quando si dice che la clonazione violerebbe l’“ordine naturale” o la “dignità umana”, che cosa intendiamo davvero?

La storia della biomedicina ci mostra che quello che oggi appare come “una cosa innaturale” domani potrebbe diventare di uso comune: basti pensare alla fecondazione in vitro, una tecnica che un tempo veniva vista con sospetto, e che oggi, viene largamente accettata e diffusa.

L’accusa di “giocare a fare Dio” dice più della nostra inquietudine che della tecnica in sé, dato che questa affermazione sospende l’argomentazione senza affrontare i dettagli – come, quando, e con quali rischi e con quali benefici.

Se la procedura fosse sicura e portasse alla nascita di bambini sani, perché dovremmo considerarla, in linea di principio, moralmente più problematica di altre forme di riproduzione assistita?

La parola “dignità”, seppur potente e carica di significato, da sola non può giustificare il fatto che una tecnica sia giusta o sbagliata, ma deve tradursi in criteri più concreti, che dovrebbero includere: protezione della salute, consenso, e  sicuramente non strumentalizzazione delle persone.

È su questo terreno, e non sugli appelli generici alla “natura”, o alla “dignità” che si giudicano le pratiche mediche.

Identità personale e pressione psicologica: un bambino non è un fotocopia

Un paura molto comune è il fatto che il bambino clonato vivrebbe “nell’ombra” del donatore genetico, un po’ come se avere lo stesso DNA significasse dover replicare gli stessi talenti, la stessa vita, e persino lo stesso destino, ma identità e autonomia non si esauriscono nel genoma.

Gemelli monozigoti – cloni “naturali” – possiedono lo stesso DNA, eppure sviluppano personalità e scelte differenti. E questo dipende prevalentemente dal fatto che anche l‘educazione, il contesto sociale, le relazioni, il caso, e le opportunità giocano un ruolo di primaria importanza nella vita di una persona,

La buona etica non sta nel proibire per paura di aspettative sbagliate, ma sta nel coltivare pratiche genitoriali sane e norme sociali che non incollino etichette sbagliate ai bambini.

Quando si parla di “negazione dell’autonomia” ci si confonde, dato che non è la tecnica in sé a imporre la strada da seguire, ma la maggior parte delle volte sono gli adulti che ci orientano nelle nostre scelte.

In sintesi, un clone non è la copia sbiadita di qualcuno, ma una persona nuova, con una storia ancora tutta da scrivere, capace di sviluppare la propria identità, i propri desideri e le proprie scelte. Proprio come accade per ogni essere umano che viene al mondo.

Diversità genetica

Si teme che la clonazione, se diffusa, riduca la variabilità genetica, rendendo la popolazione più uniforme e vulnerabile, ma come avverrebbe?

Per ridurre in modo significativo la diversità servirebbero numeri talmente enormi, e scelte altamente omogenee per molte generazioni, da sembrare molto improbabile.

Ecco due buoni motivi per cui questo scenario è altamente improbabile:

La riproduzione sessuale resterà la via di gran lunga prevalente, per ragioni biologiche, culturali ed economiche;

L’uso della clonazione, anche se ammesso, sarebbe regolato e rimarrebbe una scelta di pochi. Anche immaginando scenari estremamente “selettivi” – in cui si scelgono donatori con caratteristiche particolari – la società non si trasformerebbe in un enorme laboratorio uniforme.

La realtà è molto più complessa di così: esistono gusti diversi, valori differenti, interessi contrastanti, e tutto questo rende impossibile una standardizzazione totale dell’essere umano.

Il timore di andare incontro ad un appiattimento genetico totale somiglia a una distopia più che a una previsione demografica reale. Ha senso mantenere regole di tutela – contro mercati opachi, coercizioni, abusi – ma la catastrofe della diversità rappresenta solo una paura infondata.

Non bisogna tuttavia negare i rischi, ma occorre ricondurli verso una strada più realistica, dove la regolazione e il monitoraggio bastano a prevenire inquietanti derive.

Quando la paura prende il sopravvento

“Se accettiamo la clonazione, domani accetteremo l’ingegneria genetica più estrema!”: questa è la versione più classica del pendio scivoloso.

Questa argomentazione eccessivamente limitante salta molti passaggi fondamentali. Le democrazie liberali sanno – e devono – decidere caso per caso: si può dire “sì” a una tecnica X, ma con condizioni e limiti, e “no” a una tecnica Y, se comporta rischi sproporzionati.

La bioetica seria lavora con soglie, distinzioni, e proporzioni.

E qui torniamo al cuore dell’argomento: se la clonazione riproduttiva potesse essere praticata con rischi comparabili a quelli della riproduzione ordinaria, perché dovremmo vietarla in blocco?

Oggi il vero motivo per sospenderla è il fatto che la tecnologia non è ancora pronta per affrontare questa sfida, dato che la probabilità di esiti gravi è molto elevata.

Tuttavia questa obiezione non è definitiva: se un giorno la tecnologia diventasse sicura, – se i rischi fossero comparabili a quelli delle nascite naturali o della fecondazione assistita – allora sarebbe necessario rivalutare il giudizio etico di questa pratica.

Come avrai già ben intuito da te queste argomentazioni appaiono spesso esagerati o basati più su timori astratti, che su problemi reali. Secondo la mia modesta opinione, se la clonazione fosse sicura, – cosa che oggi non è – non sarebbe moralmente più problematica di altre forme di riproduzione assistita.

Perché, allora, la clonazione umana non esiste?

La realtà è molto semplice: non ci siamo ancora riusciti. Nonostante molti mammiferi siano stati clonati con successo dopo Dolly, la clonazione dei primati, e quindi dell’uomo, si è rivelata estremamente difficile. Anche quando gli embrioni clonati riuscivano a formarsi, il rischio di malformazioni gravi rimaneva altissimo.

Oggi, la clonazione umana riproduttiva non è solo illegale nella maggior parte dei paesi, ma è anche tecnicamente pericolosa. L’unica ragione sensata per fermarla, dunque, non è solo di natura morale… ma anche di prudenza scientifica.

Clonazione riproduttiva vs clonazione terapeutica

Se clonare gli esseri umani non è una strada molto percorribile, un’altra applicazione dello SCNT sta invece assumendo grande importanza: quello della clonazione terapeutica.

Questa tecnica non ha lo scopo di creare un individuo, ma di:

  • studiare malattie

  • generare tessuti compatibili

  • sviluppare nuove cure

È vero: la clonazione terapeutica comporta la creazione, e successiva distruzione di embrioni – un punto etico molto delicato – tuttavia, sempre più paesi la riconoscono e la regolano, proprio perché potrebbe aprire la via a trattamenti oggi impensabili.

Vale la pena ricordare inoltre, che anche la fecondazione in vitro, oggi di uso comune, era vista un tempo, come “innaturale” e “spaventosa” quando fu introdotta.

Trent’anni dopo: cosa è cambiato?

A distanza di vent’anni, molte delle paure che accompagnavano il dibattito iniziale sono diminuite. Tuttavia, le prime decisioni politiche furono così rapide e drastiche che le voci più razionali, quelle che chiedevano riflessione e non stati d’ansia, vennero inizialmente ignorate.

Oggi, però, lentamente, il discorso sta cambiando. La clonazione, e più in generale le tecnologie di manipolazione cellulare, vengono viste con maggiore calma e consapevolezza.

Forse il futuro ci porterà a cure nuove, e possibilità oggi ancora inimmaginabili. E forse, tra altri trent’anni, guarderemo a Dolly non solo come a una pecora straordinaria, ma prima di tutto, come l’inizio di un nuovo capitolo dell’evoluzione umana.

Nata e cresciuta a Rosignano Solvay , appassionata da sempre per tutto quello che ruota intorno al benessere della persona.Biologa, diplomata all'I.T.I.S Mattei