Il mito del merito: una riflessione filosofica sul giudizio umano

mito del merito

Fin dall’infanzia impariamo a valutare noi stessi e gli altri sulla base di caratteristiche che la società ritiene desiderabili: la bellezza fisica, l’intelligenza, la forza, la simpatia, la creatività, il talento innato, nonché il successo economico.

Tuttavia, non tutte queste qualità vengono giudicate allo stesso modo. Alcune qualità suscitano ammirazione e rispetto, mentre altre provocano sospetto, svalutazione o persino invidia.

  • La bellezza viene spesso svalutata perché considerata qualcosa che non è stato conquistato con il sudore.

  • L’intelligenza viene invece celebrata come se fosse interamente frutto di scelte e disciplina personale.

  • La simpatia viene vista come qualcosa di autentico, un “merito dell’anima”.

  • Il successo economico rimane un fatto ambiguo: ammirato, sì, ma facilmente attribuito a circostanze esterne o privilegi.

Questa contraddizione rivela una verità inviolabile: non giudichiamo i talenti in base al loro valore, ma in base alla percezione del controllo, che pensiamo una persona abbia su di essi.

Da dove nasce questa differenza di giudizio? 

La cultura del “self-made” 

Le persone idealizzano la figura dell’individuo che si costruisce da solo, e che “ce la fa” grazie alla propria determinazione, nonostante tutto.
Per questo tendiamo a considerare merito solo ciò che appare frutto di uno sforzo consapevole.

Esempi tipici:

QualitàPercezione comuneAssunto implicito
Fisico allenato“Ha lavorato su sé stesso”Sforzo → merito
Intelligenza sviluppata“Ha studiato molto”Disciplina → merito
Simpatia e carisma“È una bella persona”Scelta di comportamento
Bellezza naturale“È solo fortunato/a”Fortuna → non merito

Tuttavia questa distinzione, a ben guardare, è altamente ingannevole.

Anche la capacità di impegnarsi è un dono 

La forza di volontà, la costanza, e la fiducia in sé non nascono dal nulla, dato che sono influenzate da fattori che non dipendono da te:

  • Genetica (temperamento di base, predisposizioni emotive)

  • Educazione familiare: Se cresci con genitori che mollano davanti alle prime difficoltà, è probabile che interiorizzi la loro stessa reazione davanti agli imprevisti della vita.

  • Ambiente emotivo: Se nessuno ti insegna che il fallimento è parte naturale del processo di crescita, lo vivrai sempre come minaccia e non come opportunità. Se vivi in ambienti iper-stressanti molto probabilmente crescerai come una persona poco equilibrata e molto incline alle dipendenze.

  • Esperienze formative: Ciò che viviamo nei momenti chiave della nostra crescita modella la nostra tolleranza alla frustrazione.

In altre parole: Anche ciò che chiamiamo “merito” possiede delle radici che non abbiamo scelto noi.

E la simpatia? È davvero “una cosa che si decide”? 

Spesso si dice: “Chi è simpatico lo è perché vuole esserlo. Chi è chiuso deve solo aprirsi.”

Ma questa è una visione semplificata. L’essere socievoli, spontanei o divertenti non è solo una scelta, ma è soprattutto una predisposizione.

Pensiamo a Jim Carrey: la sua esuberanza non nasce improvvisamente. Non è stato un bambino timido che un giorno ha “deciso” di diventare un vulcano di energia. Il suo stile comunicativo è frutto di una combinazione di:

  • predisposizione temperamentale

  • contesto familiare

  • modelli imitati

  • struttura emotiva interna

Puoi migliorarti, certo, dato che puoi imparare a essere più socievole, ma se la tua natura è introversa e/o malinconica non diventerai mai l’anima della festa nello stesso modo in cui lo è chi nasce con quella predisposizione.

L’invidia e il confronto immediato con le tue mancanze 

Tra tutte le qualità umane, la bellezza è probabilmente quella più facilmente percepita come ingiusta. Non perché sia la più importante in assoluto, ma perché è la più immediata, la più visibile, e la più difficile da contestare o relativizzare.

In un mondo come il nostro, dove la prima impressione conta, e dove l’immagine anticipa il contenuto, la bellezza appare come una sorta di valuta sociale immediata, che:

  • attira attenzione,

  • facilita relazioni,

  • crea opportunità,

  • suscita curiosità.

Ed è proprio per questo che molti la vivono come un’ingiustizia. Non si può scegliere, e non si può “studiare” per ottenerla. O ce l’hai, o non ce l’hai – o almeno così sembra.

Molto spesso si crede che la bellezza sia solo un dono naturale, quando in realtà, in molti casi, è anche il risultato di impegno e incredibile cura. Una pelle luminosa, un corpo armonioso, o un volto definito non dipendono solo dai geni, ma anche da scelte quotidiane: alimentazione, allenamento, disciplina, e costanza.

Allo stesso modo, anche l’intelligenza possiede una propria componente innata: non si può “studiare” per aumentare il proprio QI.

Eppure, qui la percezione cambia completamente. Una persona intelligente viene vista come qualcuno che “ha lavorato su sé stesso”, mentre una persona bella viene spesso considerata semplicemente fortunata.

La differenza sta nel modo in cui ci difendiamo dal confronto: accettiamo più facilmente l’intelligenza dell’altro perché possiamo raccontarci che, con l’impegno, potremmo migliorarci anche noi.

La bellezza invece ci sembra una componente fissa, immediata, e incontrollabile – e ciò che non possiamo raggiungere diventa ciò che più facilmente invidiamo.

Perché invece il talento viene ammirato? 

Non tutte le qualità innate vengono svalutate come la bellezza. I talenti che nascono da predisposizioni naturali vengono spesso celebrati, perché?

La differenza è che il talento produce qualcosa: una canzone che commuove, una partita straordinaria, o un quadro che racconta qualcosa di noi.

Il talento non rimane delimitata dentro la persona, ma si traduce in un’esperienza che gli altri possono sentire, vivere e condividere. La bellezza invece appare come qualcosa che esiste e basta: non crea, e non agisce –  sembra appartenere solo a chi la possiede.

Lo stesso vale per la simpatia: anche se è in parte innata, non genera invidia perché non crea distanza, anzi avvicina. La simpatia fa sentire gli altri accolti e ben voluti. Nessuno si sente minacciato accanto a una persona simpatica; al contrario, ci si sente più a proprio agio. E ciò che ci fa stare bene non lo invidiamo, ma lo apprezziamo.

Indipendentemente dal fatto che una qualità derivi dall’impegno o dalla fortuna, la nostra reazione verso di essa segue una logica emotiva molto semplice: ammiriamo ciò che ci ispira, e amiamo ciò che ci fa sentire accolti, ma invidiamo ciò che mette in luce ciò che crediamo di non avere.

La formula dell’ammirazione

Ciò che determina se una qualità verrà ammirata o disprezzata dipende da due elementi:

  1. Quanto crediamo che quella qualità sia frutto del merito personale dell’individuo.

  2. Quanto quella qualità ci fa sentire meglio o peggio con noi stessi.

Quando una caratteristica viene percepita come ottenuta attraverso lo sforzo, e allo stesso tempo non minaccia la nostra autostima, allora la ammiriamo, dato che diventa fonte di ispirazione, e qualcosa che ci spinge a migliorare.

ECCO LA FORMULA: “Posso lavorarci” + “riconosco il merito” = ammirazione.

Al contrario, quando una qualità sembra completamente indipendente dalla nostra volontà, quindi non meritata, e in più ci mette a confronto con ciò che pensiamo di non avere, allora la svalutiamo o la invidiamo.

ECCO LA FORMULA: “Non dipende da me” + “mi fa sentire “peggio” = disprezzo o invidia.

Per questo la bellezza viene spesso guardata con sospetto: viene percepita come non meritata, e allo stesso tempo ci mette subito in confronto con chi la possiede.

Per questo invece l’intelligenza o il talento vengono più facilmente accettati: possiamo illuderci di poterli sviluppare, e quindi non minano direttamente il nostro valore.

E sempre per lo stesso motivo la simpatia è una delle qualità più apprezzate in assoluto!

Posso lavorarci” + “riconosco il merito” +” mi fa sentire bene” = Ammirazione all’ennesima potenza

Anche nel caso della ricchezza si può osservare la stessa dinamica.

Una persona che parte dal nulla, studia, rischia, fallisce, riprova e alla fine ottiene risultati economici viene generalmente ammirata. Riconosciamo il suo sforzo, la sua resilienza e la sua disciplina.

Tuttavia, il suo successo può comunque generare una lieve invidia, perché ci mette di fronte a ciò che noi non abbiamo ancora raggiunto.
FORMULA:Riconosco il merito” + “mi costringe a confrontarmi” = ammirazione con un’ombra di invidia.

Al contrario, chi nasce in un contesto ricco e riceve tutto senza fatica viene quasi sempre guardato con diffidenza o fastidio, anche se il risultato finale è identico.

Possiamo dire che le due qualità più odiate in assoluto sono la ricchezza ricevuta senza merito e la bellezza. Entrambe vengono percepite come vantaggi non conquistati, ma privilegi ottenuti ancor prima ancora che la persona potesse scegliere o sforzarsi.

E ciò che non è stato guadagnato, ma dona comunque potere, attenzione e possibilità, diventa il bersaglio più immediato dell’invidia.

FORMULA:Non se lo è guadagnato” + “mi ricorda ciò che non ho” = disprezzo o distanza.

In fondo, non valutiamo mai solo il risultato, ma anche la narrativa che immaginiamo ci sia dietro.

Ed ecco un altro punto chiave fondamentale: non tutte le qualità fanno lo stesso effetto sul nostro senso di valore personale. Talento e simpatia, anche se in parte innati, non vengono percepiti come determinanti per avere una “vita grandiosa” allo stesso livello di bellezza o soldi.

Non minacciano il nostro senso di possibilità. La bellezza e la ricchezza invece sì: vengono vissute come dei passepartout sociali, ovvero scorciatoie, che possono far raggiungere la vera soddisfazione.

Il merito esiste o è solo merito della fortuna? 

Non possiamo negare l’influenza della genetica, dell’ambiente in cui cresciamo, e delle circostanze familiari e sociali. Inoltre, esistono predisposizioni che non abbiamo scelto.

Tuttavia, allo stesso modo, non possiamo ignorare l’importanza della nostra responsabilità personale nelle scelte che facciamo, nella disciplina che applichiamo, e nella cura con cui coltiviamo ciò che siamo.

Possiamo dunque affermare che il merito non risiede nell’origine del talento, ma nel modo in cui lo si coltiva.

Noi non scegliamo:

  • la nostra intelligenza di base

  • la nostra sensibilità emotiva

  • la nostra predisposizione fisica o caratteriale

Tuttavia, possiamo scegliere:

  • se svilupparli con cura

  • se metterli al servizio degli altri

  • se ignorarli

  • oppure sprecarli

È proprio in questo spazio intermedio che separa ” le qualità innate” dalla volontà, che nasce la vera dignità del nostro essere.

Nata e cresciuta a Rosignano Solvay , appassionata da sempre per tutto quello che ruota intorno al benessere della persona.Biologa, diplomata all'I.T.I.S Mattei