Cibo e ideologia: perché i libri sulla salute ci dividono invece di informarci

cibo e certezza

Viviamo in un’epoca in cui il cibo è diventato ideologia, e i libri sulla salute, anziché un ponte verso la conoscenza, si trasformano spesso in bibbie che predicano la salvezza. Non più strumenti per capire, ma manifesti per convincere.

“Nel dibattito sulla salute, la scienza è diventata una bandiera da sventolare, più che un metodo da applicare.” Ogni autore, ogni influencer, e ogni guru della nutrizione sembra dire: “Credi in me,  dato che vivrai meglio, e più a lungo”. E il pubblico, confuso e spaventato, ci crede davvero.

E questo dipende dal fatto che la salute è diventata quasi un miraggio, un ideale sempre più lontano, in un’epoca in cui il benessere sembra precario, e la malattia una presenza sempre più costante.

Ecco allora che nascono libri che promettono miracoli, come: “La dieta definitiva per vivere 100 anni”, “Mangia questo e non ti ammalerai mai”, “Il segreto che la medicina non vuole dirti”. Titoli che vendono speranza in copertina e certezze assolute.

Il problema non è la divulgazione in sé, ma l’uso che se ne fa. Perché quando la scienza diventa marketing, perde il suo potere più grande: quello del dubbio.

Il potere (e il rischio) della divulgazione

Nel mercato editoriale della salute, i messaggi moderati non vendono. Chi scrive “dipende dal contesto” non scala le classifiche. Chi invece proclama “questo alimento ti salverà, e quest’altro ti ucciderà” conquista titoli, interviste e follower. È il marketing della verità, e funziona benissimo!

Il lettore cerca sicurezza, e l’autore gliela offre, impacchettata con un fiocco scientifico. Tutti vincono, o quasi… Perché nel frattempo, la complessità viene sacrificata sull’altare della semplificazione.

Ecco alcuni esempi di questa dinamica:

  • Libri che esaltano una dieta come l’unica vera e dipingono tutte le altre come pericolose.

  • Manuali che riducono l’alimentazione a una battaglia tra nutrienti buoni e cattivi.

  • Testi che citano selettivamente studi scientifici, ignorando quelli che dicono il contrario.

Questa strategia non è casuale, ma ben studiata. Nella comunicazione, la certezza è un prodotto che si vende bene. “Mangia così e starai meglio” è un messaggio potente perché offre controllo in un mondo dove il controllo sembra impossibile. È una forma di rassicurazione, potremmo quasi definirlo un anestetico per l’ansia moderna.

Tuttavia, la salute non è una formula matematica, bensì un insieme di fattori intrecciati tra loro che comprendono genetica, ambiente, relazioni, sonno, stress, movimento… Pretendere di racchiuderla in 300 pagine e in una dieta “miracolosa” è un po’ come voler spiegare la musica con una sola nota.

Eppure, questo accade ogni giorno. Ed è qui che il linguaggio della divulgazione, se non vigilato, smette di essere una finestra sulla conoscenza e diventa uno specchio deformante.

Il pubblico si trova così intrappolato in un circolo vizioso: più cerca risposte, e più riceve risultati contrastanti. Più vuole capire, più gli viene detto cosa credere. E così, il desiderio di sapere finisce per alimentare l’ignoranza.

La divulgazione è un dono, ma anche una responsabilità. E finché continueremo a confondere la chiarezza con l’assolutismo, rischieremo di perdere di vista la cosa più importante: la verità, quella vera.

Quando la scienza diventa ideologia

C’è un momento, in cui la scienza smette di spiegare e comincia a predicare. È il punto in cui un dato, un’ipotesi o un risultato di laboratorio si trasforma in una verità assoluta. Da lì in poi, non è più conoscenza, ma ideologia.

Molti libri che nascono con buone intenzioni finiscono proprio in questa trappola. Partono da osservazioni sensate – ad esempio, che una dieta vegetale può ridurre il rischio di malattie cardiovascolari – e arrivano a conclusioni estremizzanti, come “le proteine animali sono il veleno” o “la carne è la causa di ogni male”.

All’estremo opposto, troviamo testi che proclamano con la stessa veemenza che “solo il grasso animale è naturale per l’uomo” e che “i carboidrati sono il vero nemico”.

Il meccanismo è sempre lo stesso: una parte di verità viene elevata a dogma universale.

È il fenomeno con il nome del cherry picking, ovvero la “raccolta selettiva delle ciliegie”: si prendono solo i dati che confermano la propria tesi e si ignorano quelli che la contraddicono.

Un po’ come se uno scegliesse solo le recensioni positive di un ristorante per dimostrare che è perfetto, dimenticando le lamentele di chi ha trovato il piatto salato.

Ecco come funziona la macchina ideologica della pseudoscienza ben confezionata:

  • Si parte da un concetto scientificamente plausibile.

  • Lo si amplifica attraverso un linguaggio emotivo e assoluto.

  • Si costruisce una narrazione morale, con un “noi” (i risvegliati) e un “loro” (i manipolatori, le industrie, e la medicina corrotta).

  • E infine si propone una soluzione semplice, chiara, e vendibile.

Non è più divulgazione, ma casi di storytelling ideologico. Un esempio classico è il libro “The China Study”, che parte da un enorme lavoro di ricerca e finisce per essere interpretato come una condanna totale alle proteine animali.

Dall’altra parte ci sono libri come The Carnivore Code, che ribaltano completamente la prospettiva e arrivano a sostenere che solo la carne possa “disintossicare” l’organismo. Entrambi presentano pezzi di verità, ma nessuno dei due racconta tutto il quadro.

Questa semplificazione estrema ha un effetto collaterale pericoloso: trasforma il lettore in credente. Chi sposa una teoria tende a difenderla come un’identità, e non come un’ipotesi. Non discute più, ma combatte con estremo livore. Non cerca prove, ma solo conferme.

Così, invece di generare curiosità e apertura mentale, la divulgazione produce nuovi schieramenti ideologici, con i loro capi spirituali, i loro rituali (gli alimenti sani) e i loro anatemi (gli alimenti “impuri”).

E il dibattito, invece di avvicinarci alla verità, diventa un ring. La scienza in questo modo viene ridicolizzata a fronte di chi vuole avere ragione a tutti i costi.

Quando la scienza si piega alla narrazione

Basta aprire due bestseller di salute qualsiasi per accorgersene. Uno dice: “Il latte è tossico” , mentre l’altro: “Il latte è essenziale”. Uno grida: “I grassi saturi uccidono”, mentre l’altro replica: “I grassi saturi ti salveranno”. Ma com’è possibile che entrambi citino studi scientifici validi che avvalorano la loro tesi”?

La risposta è semplice: dipende da quali studi scegli e da come li interpreti.

  • The China Study associa il consumo di proteine animali a un aumento di alcune malattie croniche, ma altri studi come PURE ed EPIC-Oxford mostrano risultati più sfumati, dove entrano in gioco quantità, qualità e contesto alimentare generale.

  • Eat to Live condanna ogni grasso, mentre The Big Fat Surprise li riabilita. Nel frattempo, la maggior parte delle meta-analisi conclude che ciò che conta davvero è la qualità complessiva della dieta, e non un singolo nutriente.

  • Il digiuno intermittente è esaltato come elisir di longevità in alcuni testi, ma descritto come stress metabolico in altri.

La verità è che la scienza cambia nel tempo, si corregge, si contraddice e cresce. Ed è questo il suo valore, ma l’editoria preferisce la certezza, perché la certezza vende. Nessuno compra un libro dal titolo “Forse funziona, ma non per tutti”.

Così, i dati vengono piegati alla narrazione, come creta modellata per sostenere una storia già scritta. Il risultato?

  • Il pubblico pensa che la scienza sia divisa, quando in realtà è solo complessa.

  • Si diffonde la sfiducia: “Se un giorno dicono che il caffè fa bene e il giorno dopo che fa male, allora non ci si può fidare di nulla”.

  • I messaggi estremi si radicano, perché sono più facili da ricordare, condividere e credere.

Eppure, la scienza non funziona così. Non è un tribunale che emette sentenze definitive, ma un tribunale che continua a riaprire i casi.

“La scienza non è un tribunale che emette sentenze, ma un processo continuo di revisione. Il problema nasce quando la divulgazione finge che sia il contrario.”

La conoscenza evolve, proprio perché si mette costantemente in discussione. È un dialogo, e non un verdetto, tuttavia i libri estremi non vogliono dialogare, ma vogliono raccogliere seguaci.

Il lettore e il bisogno di certezze

Perché amiamo così tanto le risposte semplici? Perché, anche davanti a un argomento complesso come la salute, cerchiamo il bianco e il nero, ignorando il grigio? Forse perché l’incertezza ci spaventa più della malattia stessa.

Viviamo in una società in cui l’informazione è ovunque, ma la sicurezza è merce rara. Siamo sommersi da dati, studi, post, video, esperti veri e improvvisati. E più leggiamo, più ci sentiamo confusi.

È naturale allora che il cervello, stanco e disorientato, scelga scorciatoie. Preferiamo una spiegazione chiara – anche se falsa – a una spiegazione complessa, ma vera.

È un meccanismo psicologico antichissimo. Davanti all’incertezza, l’essere umano si aggrappa a chi parla con più convinzione, non necessariamente con più competenza.

Così il lettore, più che informarsi, finisce per cercare qualcuno a cui credere. Ed è qui che entrano in gioco i libri estremisti, dato che offrono un’ancora in un mare di dubbi.

Molti di noi, leggendo un libro di salute, non cercano solo consigli alimentari, ma una forma di rassicurazione esistenziale. Dietro al “mangia così” si nasconde spesso un messaggio più profondo: “controlla la tua vita”, “proteggiti dal caos”, e “trova la purezza in un mondo inquinato”.

Il cibo diventa così un simbolo di salvezza:

  • “Sgarrare” diventa un peccato, da espiare con digiuni e detox.

  • Gli schieramenti aumentano a dismisura: vegani, carnivori, fruttariani, paleo, keto, crudisti, ognuna convinta di incarnare la vera via verso la salvezza fisica e spirituale.

I social amplificano tutto questo. Gli algoritmi premiano il contenuto più estremo, e non il più accurato. Un post che dice “il glutine distrugge il cervello” ottiene dieci volte più visibilità di un post che spiega “per la maggior parte delle persone il glutine non è un problema”. La paura genera click, e i click generano profitto. E la disinformazione diventa un business molto remunerativo.

Alla fine, il lettore – che partiva con il desiderio sincero di migliorare la propria salute – si ritrova più confuso, più ansioso e più diviso, che mai. E soprattutto, più solo.

Le uniche certezze ad oggi possibili: le lezioni delle Blue Zones

Se una certezza esiste, non arriva da un laboratorio, ma dall’osservazione della vita reale. Basta guardare alle cosiddette Blue Zones, quelle aree del mondo dove le persone vivono più a lungo e in salute: Okinawa in Giappone, Sardegna in Italia, Nicoya in Costa Rica, Ikaria in Grecia, e Loma Linda in California.

La cosa più sorprendente è che non mangiano tutti nello stesso modo.

  • In Sardegna si consuma pecorino, vino rosso e persino carne, ma in quantità moderate.

  • A Okinawa prevalgono verdure, legumi e pesce.

  • A Nicoya mangiano riso, fagioli e uova.

  • A Loma Linda, molti seguono una dieta vegetariana, ma non tutti.

  • A Ikaria si alternano piatti di legumi, erbe selvatiche, vino e piccole quantità di carne.

Eppure, in tutti questi luoghi le persone vivono più a lungo, con meno malattie croniche e con una qualità di vita migliore.

Le persone delle Blue Zones consumano cibi vegetali, ma anche cibi animali, grassi sani, carboidrati complessi, vino in piccole dosi, e alimenti fermentati.

E allora, come possiamo ancora dire che ci sono gruppi di alimenti da eliminare completamente? Davvero crediamo che la natura abbia sbagliato a offrirci una grande varietà di cibi?

L’unico tratto comune non è cosa mangiano, ma come lo fanno:

  • mangiano lentamente,

  • non eccedono mai,

  • privilegiano la qualità rispetto alla quantità,

  • e vivono in comunità coese, dove il cibo è anche legame sociale.

Inoltre, tralasciando l’alimentazione ci sono altri fattori di vitale importanza che sono comuni in queste popolazioni e sono:

  • Movimento quotidiano naturale, e non fitness forzato. Camminano, coltivano, si muovono per vivere, e non per bruciare calorie.

  • Scopo nella vita, quello che in Giappone chiamano ikigai: una ragione per alzarsi ogni mattina.

  • NON CONSUMANO CIBI ULTRAPROCESSATI. Questo l’ho voluto scrivere in maiuscolo appositamente, dato che ad oggi l’unica verità ASSOLUTA nel campo della nutrizione rimane quella di non consumare alimenti processati industrialmente. Puoi cercare milioni di studi e non troverai MAI uno studio che affermi che il consumo anche basso di cibi trasformati possano migliorare la salute.

La moderazione è la regola non scritta che attraversa tutte le Blue Zones. Molti dimenticano un dettaglio fondamentale: anche gli alimenti “salutari” perdono il loro valore se consumati in eccesso. Una dieta che fa bene a 1.500 calorie può diventare dannosa a 2.500, anche se composta da cibi sani.

È per questo che ridurre la salute a una battaglia tra alimenti è un errore. Il vero segreto, se possiamo chiamarlo così, è la varietà, la misura e la coerenza con il proprio stile di vita.

Conclusione

Il primo passo è accettare che la scienza non è una certezza inviolabile, ma un dialogo continuo. È un linguaggio vivo, fatto di ipotesi, revisioni, e correzioni. Cerchiamo di diffidare da chi parla di “prove definitive” o “verità nascoste”.

Il secondo passo è imparare a leggere con spirito critico. Quando apriamo un libro di salute, dovremmo farlo con lo stesso atteggiamento con cui si assaggia un vino nuovo: curiosi, ma pronti a riconoscere le sfumature, i limiti, e le incongruenze.

Non serve rifiutare tutto, ma neppure accettare ogni parola come se fosse il vangelo.

Ecco alcune domande semplici che possono diventare strumenti potentissimi:

  • L’autore cita fonti verificabili o solo opinioni personali?

  • Gli studi menzionati sono indipendenti o finanziati da aziende con interessi economici?

  • Il tono è più scientifico o più predicatorio?

  • Se leggi un libro che dichiara che i grassi sono pericolosi per la salute, non fermarti lì – cerca anche gli studi che contraddicano quella tesi. Non limitarti a conferme, ma vai a caccia di confutazioni. L’obiettivo non è sostenere un’idea già nota, ma avvicinarsi il più possibile alla verità – che spesso si trova nel confronto, e non nella rassicurazione.
  • Ci sono frasi che suonano come slogan (“questa è la verità che nessuno ti dice”) o come inviti alla riflessione (“i dati sembrano indicare che…”)?

Leggere criticamente non significa smontare tutto, ma mettere ogni informazione al suo posto. Anche i libri più estremi possono contenere intuizioni preziose: basta riconoscerle per quello che sono, pezzi di un puzzle più grande.

Il terzo passo è ricordare che la salute è personale. Nessuna dieta, nessuna teoria, e nessuna formula vale per tutti. Ognuno di noi ha una storia biologica unica, fatta di genetica, ambiente, emozioni, e abitudini.

Quello che funziona per qualcuno può essere dannoso per un altro. E infine, occorre fare il passo più importante: ovvero, quello di ritrovare il piacere del dubbio.

Nata e cresciuta a Rosignano Solvay , appassionata da sempre per tutto quello che ruota intorno al benessere della persona. Biologa, diplomata all'I.T.I.S Mattei