Più abbracci i tuoi figli, più si sviluppa il loro cervello! ( secondo uno studio )

abbraccio neonato salute

Hai mai pensato che abbracciare tuo figlio potesse avere effetti reali sul suo cervello? No, non è solo una questione di coccole. È un qualcosa di molto più profondo. Gli abbracci, le carezze, i gesti affettuosi… Tutti questi gesti d’affetto sono come nutrimento invisibile per lo sviluppo neurologico dei bambini. E la scienza ora ce lo conferma con forza!

Un semplice abbraccio può fare la differenza?

La risposta è sì, e in modo sorprendente! Un recente studio condotto dal Nationwide Children’s Hospital in Ohio ha dimostrato che i bambini che ricevono più abbracci mostrano benefici concreti e misurabili, specialmente a livello cerebrale.

Lo studio: oltre 100 piccoli cuori coinvolti

Pubblicato sulla prestigiosa rivista Current Biology, lo studio ha coinvolto 125 neonati: alcuni nati tra la 38ª e la 42ª settimana, altri molto prima, tra la 24ª e la 36ª. I ricercatori hanno usato una morbida rete EEG per misurare l’attività cerebrale dei neonati quando venivano esposti a un leggero soffio d’aria – un tocco, se vogliamo, quasi impercettibile. Ma i risultati sono stati tutt’altro che lievi.

Il tocco che accende il cervello

È emerso che i bambini nati prematuramente reagiscono meno al tocco rispetto a quelli nati a termine. Ma – ed è qui il punto cruciale – se questi neonati ricevevano più contatto fisico positivo, come carezze o il famigerato “skin-to-skin” (il contatto pelle a pelle), le loro risposte cerebrali diventavano significativamente più intense. Insomma, più affetto = cervello più reattivo.

E non solo: questo effetto positivo derivava non solo dalle coccole dei genitori, ma anche da quelle del personale sanitario. Il cervello dei neonati, come una spugna, assorbe ogni gesto d’amore.

Quando il dolore lascia un segno invisibile

Purtroppo, lo studio ha rivelato anche l’altra faccia della medaglia. I bambini sottoposti a molte procedure mediche dolorose – nonostante venissero somministrati zuccheri e analgesici – sviluppavano una sensibilità ridotta al tocco delicato. È come se il loro cervello avesse imparato ad associare il tatto a qualcosa di negativo. Incredibile, no?

La dottoressa Nathalie Maitre, una delle ricercatrici, ha affermato:

“Speravamo che le esperienze tattili positive in ospedale avrebbero aiutato i bambini a sviluppare una percezione normale del tatto. Ma siamo rimasti sorpresi nello scoprire quanto le esperienze dolorose possano comprometterla.”

Cosa significa tutto questo per noi genitori?

Il messaggio è chiaro: non bastano un lettino comodo, un armadio pieno e una merenda sana. I nostri figli hanno bisogno di affetto. E non in senso astratto. Hanno bisogno di sentirsi tenuti stretti, accarezzati, rassicurati fisicamente. I benefici non sono solo emotivi: sono neurologici, cognitivi, profondamente biologici.

E se non possiamo essere sempre presenti?

È comprensibile. La vita è frenetica, e non tutti possono passare ore a coccolare i loro neonati. Ma anche pochi minuti al giorno possono fare un’enorme differenza. E nei casi in cui i genitori proprio non possono esserci – per motivi medici, lavorativi o altro – gli ospedali dovrebbero intervenire. Lo suggeriscono gli stessi scienziati: terapisti occupazionali o fisioterapisti potrebbero garantire quel contatto che, altrimenti, verrebbe a mancare.

Per riassumere:

  • Gli abbracci sono nutrimento per il cervello: stimolano l’attività neuronale, soprattutto nei neonati.

  • I bambini prematuri sono più vulnerabili, ma rispondono bene al contatto fisico affettuoso.

  • Le esperienze dolorose nei primi giorni di vita possono ridurre la sensibilità al tocco gentile.

  • Il contatto tra ” pelle e pelle ” è un investimento per il futuro: migliora le capacità percettive, cognitive ed emotive del bambino.

  • Gli ospedali dovrebbero garantire esperienze tattili positive, soprattutto nei reparti di terapia intensiva neonatale.

Una riflessione personale…

Quante volte, presi dalla fretta, ci limitiamo a “fare il nostro dovere” come genitori? Cambiare pannolini, preparare pappe, mettere a letto… tutto necessario, certo. Ma cosa dice il nostro cuore? Forse basta davvero fermarsi un momento, stringere forte nostro figlio e farlo sentire amato – con il corpo, prima ancora che con le parole.

Dopotutto, anche noi, da adulti, non desideriamo un abbraccio quando ci sentiamo fragili?

RIFERIMENTI SCIENTIFICI

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Nata e cresciuta a Rosignano Solvay , appassionata da sempre per tutto quello che ruota intorno al benessere della persona. Biologa, diplomata all'I.T.I.S Mattei