Triade oscura ed alessitimia come predittori di depressione, ansia e stress
Immagina di avere nella testa un navigatore che segnala solo i blocchi stradali, ma non i paesaggi meravigliosi presenti lungo il percorso. Ti avverte quando qualcosa va storto, ma non quando la strada è libera e luminosa.
Ecco come può sentirsi una persona che fatica a riconoscere le proprie emozioni positive: sa quando è stressata o arrabbiata, ma non riesce a “leggere” la gioia o la serenità.
Ora prova ad aggiungere a questo scenario tratti di personalità dominati dal controllo, dalla freddezza o dal bisogno costante di approvazione. Il risultato? Un cocktail psicologico complesso, in cui la mente e le emozioni sembrano camminare su due binari ben separati.
Quando la personalità incontra le emozioni
Un gruppo di ricercatori tedeschi ha voluto capire meglio come i cosiddetti “tratti oscuri” della personalità — machiavellismo, narcisismo e psicopatia — interagiscono con la difficoltà di riconoscere le emozioni (una condizione chiamata alessitimia) e come tutto questo influenzi il benessere psicologico della persona.
Questo studio ha coinvolto 425 adulti, provenienti sia dalla popolazione generale, che da contesti clinici. Ognuno di loro ha compilato questionari che misuravano:
I tratti della triade oscura: machiavellismo (freddezza strategica e manipolazione), narcisismo (bisogno di approvazione e superiorità) e psicopatia (impulsività e mancanza di empatia).
Le strategie di regolazione emotiva, cioè come le persone gestiscono le proprie emozioni: c’è chi riesce a reinterpretare le situazioni (rivalutazione) e chi invece tende a nasconderle o reprimerle (soppressione).
I livelli di alessitimia, ovvero la difficoltà nel riconoscere e descrivere i sentimenti — in particolare quelli positivi.
I sintomi di depressione, ansia e stress.
L’obiettivo non era solo capire se certi tratti erano collegati al disagio mentale, ma se potevano predirlo, anche tenendo conto di altri fattori.
Il machiavellismo: il trionfo del controllo… e dello stress
Tra tutti i tratti, il machiavellismo si è rivelato quello più problematico. Chi tende a vedere il mondo come a un gioco di potere, dove la fiducia è sintomo di debolezza, e la manipolazione una forma di sopravvivenza, ha mostrato livelli più alti di ansia e stress, anche quando si consideravano altre caratteristiche di personalità.
Ma perché? Probabilmente perché vivere costantemente in una modalità di iper-controllo mette in allerta continua il sistema nervoso, dato che la sfiducia, il sospetto e la continua necessità di prevedere le mosse altrui rendono davvero difficile rilassarsi.
Il narcisismo: quando lo stress nasce dal bisogno di brillare
Il narcisismo, invece, ha mostrato un legame più sfumato. Inizialmente sembrava correlato sia alla depressione che all’ansia, ma una volta tolti altri fattori, il vero nodo rimasto era lo stress.
I ricercatori dello studio spiegano che il questionario usato misurava il narcisismo grandioso — quello della fiducia, dell’ambizione e del senso di superiorità — e non il narcisismo vulnerabile, più fragile e ansioso. Quest’ultimo, in altri studi, risulta più legato alla paura del rifiuto e al disagio emotivo.
Vivere cercando costantemente approvazione o ammirazione è stressante. Quando la propria autostima dipende dagli occhi degli altri, basta un commento sbagliato per sentirsi crollare il mondo addosso. È come vivere in equilibrio su una corda tesa sopra il giudizio altrui.
La psicopatia: freddezza emotiva, ma meno sofferenza visibile
La psicopatia, caratterizzata da impulsività e mancanza di empatia, si è distinta per un altro motivo: era associata alla soppressione delle emozioni, cioè alla tendenza a nascondere ciò che si prova.
Tuttavia, una volta considerati gli altri fattori, la psicopatia non era correlata direttamente all’ansia, allo stress o alla depressione.
Forse perché la sua influenza emotiva si mescola con quella del machiavellismo — e quest’ultimo sembra portare un carico più pesante sul piano psicologico.
In pratica, chi tende a reprimere le emozioni non mostra sempre più disagio, ma vive in una sorta di “congelamento interiore”. Il prezzo si paga nel lungo periodo, quando la distanza emotiva diventa un’abitudine.
L’alessitimia e il silenzio delle emozioni positive
Il risultato più sorprendente dello studio riguarda però l’alessitimia, in particolare la difficoltà nel riconoscere e assaporare le emozioni positive. Chi non riesce a leggere o godere dei propri sentimenti positivi è più incline a provare depressione, ansia e stress.
Non si tratta semplicemente di “non essere felici”. È come vivere senza semafori verdi interiori: la vita diventa solo una serie di segnali di pericolo, senza indicazioni su quando fermarsi a respirare e godersi qualcosa di bello.
Ecco perché, secondo i ricercatori, le terapie che insegnano a riconoscere e coltivare le emozioni positive — come la gratitudine, la consapevolezza o il “savoring” (assaporare i momenti felici) — possono avere un effetto tangibile e reale sul benessere mentale.
Perché tutto questo è importante?
Questo studio ci ricorda che la salute mentale è un intreccio di personalità, emozioni e consapevolezza.
Per esempio:
Chi ha forti tratti machiavellici può trarre beneficio da strategie di gestione dello stress e di riduzione dell’ansia.
Le persone con tendenze narcisistiche possono invece concentrarsi su tecniche per ridurre la pressione dello stress quotidiano.
Chi ha difficoltà a riconoscere i propri sentimenti positivi può imparare, gradualmente, a riconnettersi con la gioia attraverso esercizi di mindfulness o gratitudine.
La buona notizia è che le abilità emotive si possono imparare. Non siamo prigionieri dei nostri tratti di personalità: possiamo allenare la nostra mente come si allena un muscolo, imparando a notare, accogliere e interpretare le emozioni con maggiore consapevolezza.















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