Più della metà della Terra ha superato i suoi limiti ecologici

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Se la Terra fosse un paziente e potessimo farle una radiografia, il risultato sarebbe allarmante: più del 60% delle sue terre emerse vive già oltre i limiti ecologici di sicurezza.

È quanto emerge da una nuova e approfondita analisi del Potsdam Institute for Climate Impact Research, guidata da Fabian Stenzel e pubblicata su One Earth.

Un dato che pesa come una diagnosi: oltre un terzo del pianeta – il 38% – si trova in una zona di alto rischio ecologico, dove gli ecosistemi faticano a garantire stabilità, biodiversità e servizi vitali.

Un segnale di allarme globale

Questo studio non è un annuncio di condanna, ma piuttosto un campanello d’allarme. È come un medico che, dopo aver analizzato ogni parametro, ci dice: “non è troppo tardi, ma bisogna intervenire subito”.

Il concetto alla base è quello dei “confini planetari”, un quadro scientifico che definisce i limiti entro cui la Terra può funzionare in modo stabile.

Finché restiamo dentro questi confini, gli ecosistemi garantiscono aria pulita, acqua, cibo e un clima vivibile, tuttavia, superare tali limiti significa entrare in una zona di rischio, dove anche piccoli squilibri possono provocare effetti a catena difficili da prevedere.

Due sono i confini fondamentali:

  • Il cambiamento climatico, che altera la temperatura, le piogge e la stabilità del pianeta.

  • L’integrità della biosfera, ovvero la salute complessiva dei sistemi viventi, quali foreste, praterie, zone umide, fauna e flora che regolano il clima e sostengono la vita.

Ed è proprio quest’ultimo – l’integrità della biosfera – al centro dello studio.

Come si misura la salute della Terra?

Misurare la salute del pianeta non è semplice. Gli scienziati non possono limitarsi a un unico termometro, come si farebbe per la febbre. Hanno quindi utilizzato due indicatori chiave:

  1. HANPPHol (Appropriazione Umana della Produzione Primaria Netta – linea di base dell’Olocene): misura quanta parte della produttività naturale (cioè la crescita delle piante, base di ogni catena alimentare) viene “usata” dall’uomo per l’agricoltura, il disboscamento e l’urbanizzazione. In pratica, questo indicatore ci indica quanta energia vitale della Terra stiamo prelevando per i nostri scopi.

  2. EcoRisk: valuta quanto un ecosistema si è discostato dal suo stato naturale, considerando i cambiamenti nella vegetazione e nei cicli di carbonio, azoto e acqua. È una sorta di indice di “stress ecologico”, che mostra quanto l’ambiente è stato alterato.

Per calcolare questi dati, i ricercatori hanno mappato ogni porzione di Terra (in griglie di circa 34 miglia per lato), dal 1600 a oggi. È come se avessero ripercorso secoli di storia ambientale, osservando come la pressione umana sia cresciuta di secolo in secolo.

Dalle prime ferite all’espansione agricola

Nel 1600, la maggior parte del pianeta era ancora in equilibrio. Solo alcune regioni – Europa, India, Cina e la costa orientale degli Stati Uniti – mostravano segni di stress ambientale dovuti all’agricoltura.

Tuttavia, con l’arrivo del 1900, tutto cambiò. Fu il secolo della grande espansione agricola, a causa del fatto che immense foreste e praterie furono convertite in campi coltivati. In quel periodo, il mondo superò per la prima volta le soglie ecologiche globali.

Nel 1900, circa il 37% delle terre emerse era già oltre i limiti di sicurezza. Oggi siamo al 60%, con un 38% in condizioni di rischio elevato.
Un aumento drammatico in poco più di un secolo. E non è solo una questione di agricoltura.

Non più solo agricoltura: il ruolo giocato dal clima

Oggi, anche zone remote e quasi incontaminate stanno mostrando segni di squilibrio. Regioni come l’Artico o l’Altopiano del Tibet, lontane dall’agricoltura intensiva, stanno cambiando rapidamente a causa del riscaldamento globale.

Le temperature aumentano, le precipitazioni cambiano, il ghiaccio si scioglie e l’azoto proveniente dai combustibili fossili altera i suoli e le piante. Persino gli ecosistemi che sembravano “fuori portata” stanno cedendo sotto la pressione di un clima che cambia troppo in fretta.

Questo significa che non possiamo più considerare il cambiamento climatico un problema distante. Anche chi vive lontano dalle foreste tropicali o dai poli subisce le conseguenze di un pianeta che perde via via equilibrio: meno acqua pulita, meno impollinatori, più eventi estremi.

Perché tutto questo riguarda anche noi

Spesso pensiamo alla crisi ecologica come a una questione che riguarda gli orsi polari o la foresta amazzonica, ma in realtà, riguarda la nostra quotidianità. Gli ecosistemi ci offrono “servizi” invisibili ma fondamentali, come:

  • Impollinazione delle colture, grazie a insetti e animali.

  • Purificazione dell’acqua, tramite zone umide e bacini forestali.

  • Assorbimento del carbonio, che aiuta a stabilizzare il clima.

  • Regolazione di inondazioni e siccità, grazie a suoli e foreste sane.

Quando questi “servizi naturali” si degradano, aumentano i costi economici e sociali. Pensiamo ad esempio, a una città che deve desalinizzare l’acqua perché i fiumi non la filtrano più naturalmente, o a un contadino che perde raccolti perché gli insetti impollinatori scompaiono. In alcune parti del mondo sta già avvenendo tutto questo!

Le regioni più vulnerabili

Lo studio mostra che Europa, Asia e Nord America sono tra le aree più colpite. Qui, secoli di uso intensivo del suolo hanno ridotto la capacità degli ecosistemi di rigenerarsi.

Le foreste temperate e le praterie sono tra gli ambienti più degradati. Al contrario, le foreste tropicali e le boreali – pur restando più vicine al loro stato naturale – stanno subendo crescenti pressioni dovute al disboscamento e al clima che cambia.

Mappe per il futuro

Uno dei punti di forza della ricerca è la sua precisione geografica. Le mappe realizzate dagli scienziati mostrano, punto per punto, dove gli ecosistemi sono più a rischio. Questo permette a governi e comunità di decidere dove concentrare gli sforzi.

  • Se un’area mostra un HANPPHol elevato, servono pratiche agricole più sostenibili.

  • Se invece il punteggio EcoRisk è alto nonostante un basso uso del suolo, significa che è il clima a mettere pressione: in questi casi servono politiche di mitigazione e adattamento.

Queste mappe sono, di fatto, una bussola per orientare le scelte ambientali dei prossimi decenni.

Un margine di sicurezza che si restringe

Il messaggio finale dello studio è chiaro: lo spazio operativo sicuro per la vita sulla Terra si sta restringendo. Non significa che tutto sia perduto, ma che la finestra d’azione si sta chiudendo pericolosamente. Gli autori lo definiscono un “appello urgente” a proteggere ciò che resta integro e a ripristinare ciò che è stato degradato.

Che cosa possiamo fare, allora? Non si tratta solo di grandi politiche, ma anche di scelte quotidiane, come sostenere un’agricoltura più rispettosa, consumare meno, ridurre gli sprechi, nonché proteggere gli habitat vicini a noi.

Ogni gesto contribuisce a mantenere in vita i meccanismi invisibili che tengono in equilibrio il nostro pianeta. Come in una visita medica, prima si interviene, migliore è la prognosi. E questo vale anche per la Terra: il nostro unico, fragile paziente.

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Nata e cresciuta a Rosignano Solvay , appassionata da sempre per tutto quello che ruota intorno al benessere della persona.Biologa, diplomata all'I.T.I.S Mattei