Perché cerchiamo sempre un colpevole anche quando non c’è?

Davanti a situazioni caotiche, difficili da spiegare o addirittura casuali, proviamo disagio e forte smarrimento. E allora cosa facciamo? Semplice, cerchiamo un colpevole! Un volto, un nome o anche una categoria a cui attribuire il peso della nostra frustrazione.
L’illusione del colpevole nascosto nasce proprio da questo bisogno psicologico, in quanto ci rassicura pensare che esista un responsabile identificabile invece di accettare che il mondo sia spesso complesso, ambiguo, nonché pieno di variabili incontrollabili. È più facile dire “è colpa loro” piuttosto che ammettere che non abbiamo il totale controllo sugli eventi esterni.
Questa dinamica non riguarda solo l’individuo ma investe anche la società. Nei periodi di crisi o incertezza collettiva, la ricerca di un capro espiatorio diventa quasi una scorciatoia emotiva. Non importa se la spiegazione è fragile o semplificata: ci dà comunque l’impressione di riacquistare un minimo di controllo.
Ma a quale prezzo? Se il prezzo è la distorsione della realtà e la chiusura del pensiero critico, allora non stiamo più proteggendo noi stessi, ma ci stiamo solo auto-ingannando.
Il bisogno umano di avere tutto sotto controllo
Il cuore del problema è tutto qui: il bisogno di controllo. La nostra mente funziona come un radar che cerca costantemente ordine e prevedibilità. Quando qualcosa non torna, o quando gli eventi sembrano sfuggire alla logica, si accende una spia interiore che genera ansia.
Gli psicologi hanno osservato che l’essere umano tende a costruire narrazioni anche assurde, quando non ci sono prove solide. Il cervello non sopporta il caos, quindi collega punti sparsi per creare una storia coerente.
Perché cerchiamo con tutte le nostre forze un colpevole? Perché attribuire la colpa a qualcuno ci dà l’illusione che il mondo sia più semplice di quanto sia davvero. È un meccanismo di difesa che funziona su più livelli:
riduce l’ansia generata dall’incertezza
offre una spiegazione immediata e facilmente comunicabile
ci fa sentire meno impotenti, come se riconoscere il responsabile fosse già un passo per risolvere il problema
Immagina di rompere un bicchiere in cucina. Potresti pensare: “L’ho preso con troppa fretta e mi è scivolato di mano”, che è una spiegazione realistica.
Oppure potresti dire: “È colpa della lavastoviglie che li rovina tutti” o addirittura “qualcuno me l’ha messo male nello scaffale per farmi un dispetto”. Invece di accettare una distrazione momentanea, cerchiamo un colpevole esterno, anche quando non ha alcun senso.
La prima spiegazione ti costringe a fare i conti con la tua responsabilità personale, mentre la seconda scarica la colpa su un’entità esterna. Quale delle due riduce meglio il senso di frustrazione? La risposta è chiara.
Ecco perché l’illusione del colpevole nascosto è così diffusa. È una strategia di sopravvivenza della mente che preferisce una verità semplice, seppur illusoria, a una verità complessa, scomoda e difficile da gestire.
Dal piano individuale a quello sociale
Se a livello personale la ricerca di un colpevole aiuta a lenire l’ansia, a livello sociale questo meccanismo si amplifica in maniera ancora più evidente. Una comunità che vive un momento di crisi ha bisogno di risposte rapide e rassicuranti.
Ecco che nascono i capri espiatori. Storia e cronaca ne sono pieni. Durante le epidemie medievali gli ebrei furono accusati di avvelenare i pozzi.
Durante le crisi economiche moderne alcuni gruppi sociali o politici diventano il bersaglio perfetto per spiegare disoccupazione o precarietà. In entrambi i casi la logica non c’entra, ma l’efficacia psicologica sì. Avere un “colpevole” riduce l’angoscia di fronte all’imprevedibile.
A livello sociale il meccanismo funziona in questo modo:
si individua un gruppo o un individuo simbolico
si attribuiscono a quel soggetto colpe generiche o sproporzionate
si diffonde un racconto semplice che spiega la complessità in poche frasi
si rafforza l’illusione di aver trovato una soluzione, mentre il problema reale rimane irrisolto
Il risultato è che la società si sente temporaneamente sollevata, ma al prezzo di cadere in un autoinganno collettivo. È come se si coprisse una ferita profonda con un cerotto colorato. Dall’esterno sembra tutto a posto, ma la ferita sotto continua a sanguinare.
I bias cognitivi che alimentano l’illusione
Il nostro cervello non è una macchina imparziale che elabora dati in modo neutro, ma è ricco di scorciatoie mentali – i cosiddetti bias cognitivi – che ci aiutano a risparmiare energia ma che spesso ci portano a conclusioni distorte.
L’illusione del colpevole nascosto non fa eccezione e trae forza proprio da queste distorsioni.
Vediamone alcune fondamentali:
Bias di conferma: Tendiamo a cercare solo le informazioni che confermano ciò che già pensiamo e a ignorare quelle che lo smentiscono. Se crediamo che un certo gruppo sociale o politico sia “la causa di tutti i mali”, ogni notizia negativa diventa una prova schiacciante, mentre le notizie contrarie vengono archiviate come irrilevanti.
Bias di proporzionalità: La nostra mente crede che grandi eventi debbano avere grandi cause. Se avviene una catastrofe economica, è difficile accettare che derivi da una somma di errori banali o da coincidenze di mercato. È più rassicurante credere che ci sia stata una mano occulta e quindi un progetto ben calcolato.
Illusione di causalità: Se due eventi avvengono insieme, tendiamo a pensare che l’uno abbia causato l’altro. Questo porta a spiegazioni semplicistiche: “dopo l’arrivo di X le cose sono peggiorate, quindi la colpa è di X”.
Effetto capro espiatorio: Quando viviamo una frustrazione collettiva, proiettiamo la rabbia su un gruppo debole o minoritario che non può difendersi. È un meccanismo di sfogo che riduce la tensione momentanea ma non risolve nulla.
Questi bias sono invisibili, silenziosi, eppure potentissimi. Sono la benzina che alimenta la macchina del colpevole nascosto. Senza di essi, forse riusciremmo a tollerare meglio il caso, la complessità, nonché la possibilità che non sempre ci sia un colpevole.
La psicologia delle masse e il bisogno di un nemico comune
Il passaggio dall’individuo alla collettività è cruciale. Un conto è se una persona trova conforto nel dare la colpa a qualcuno, mentre un altro conto è quando milioni di persone adottano lo stesso schema mentale. Qui entra in gioco la psicologia delle masse.
Lo psicologo Gustave Le Bon, già nell’Ottocento, osservava come le folle tendano a perdere senso critico e a cercare leader o spiegazioni semplici che diano unità.
Nella massa, l’individuo smette di ragionare con la propria testa e si lascia trascinare dal bisogno di appartenenza. È in questo contesto che l’illusione del colpevole nascosto diventa uno strumento potentissimo.
Perché funziona così bene nelle masse?
perché offre un nemico comune che compatta il gruppo
perché semplifica problemi complessi in un racconto unico e facile da ricordare
perché riduce la paura collettiva dando l’impressione che ci sia una soluzione a portata di mano
perché sposta l’attenzione dalle vere difficoltà verso un bersaglio simbolico
Pensiamo alle campagne politiche costruite attorno a slogan semplicissimi. Più che proporre soluzioni articolate, si punta a identificare il “responsabile” del malessere collettivo, che può comprendere l’élite, lo straniero, il governo precedente, i burocrati, le multinazionali… Non importa se queste spiegazioni siano parziali o addirittura false, ma importa che siano convincenti e ripetibili.
Il risultato? Le masse trovano unità e sfogo emotivo, ma la società nel complesso si impoverisce. Si perde la capacità di discutere la complessità, e di accettare che il mondo non sempre offre risposte nette.
Esempi storici di colpevoli nascosti
La storia ci mostra innumerevoli casi in cui l’illusione del colpevole nascosto ha causato effetti devastanti. Non si tratta di eccezioni ma di veri e propri schemi che si ripetono, segno che questo bisogno psicologico e sociale è profondamente radicato in noi.
La caccia alle streghe: Nel Medioevo e nell’età moderna, carestie, malattie e disgrazie venivano spesso attribuite a presunti “patti col demonio”. Invece di accettare che le epidemie avessero cause naturali o che i raccolti potessero fallire per fattori climatici, si preferiva puntare il dito contro figure marginali: donne isolate, guaritrici, vedove e così via… Migliaia di persone vennero perseguitate, torturate e uccise per placare l’ansia collettiva di fronte a fenomeni incontrollabili.
Il maccartismo negli Stati Uniti: Negli anni Cinquanta, la paura del comunismo portò a una vera e propria caccia alle streghe politica. Attori, registi, scrittori e persino insegnanti vennero accusati di simpatie comuniste sulla base di sospetti infondati. Perché? Perché la società americana non tollerava l’idea che la minaccia potesse essere diffusa e complessa. Era più rassicurante immaginare infiltrati ovunque e “ripulire” il sistema colpendo individui specifici.
Le minoranze durante le crisi economiche: Ogni volta che una crisi economica scuote la società, si ripete lo stesso copione. Si cercano responsabili “visibili” da accusare: banche, stranieri, politici… Non importa che le cause reali siano una combinazione di errori di politica economica, cicli globali o mutamenti tecnologici. Il bisogno psicologico di avere un volto su cui scaricare la colpa vince sempre.
Questi esempi ci mostrano un tratto comune: la ricerca del colpevole nascosto non solo semplifica la realtà, ma diventa un potente strumento di potere. Chi riesce a indirizzare l’opinione pubblica verso un bersaglio ha in mano le chiavi del consenso.
L’intreccio con le teorie del complotto
Non sorprende che l’illusione del colpevole nascosto alimenti, e venga alimentata, dalle teorie del complotto. Entrambe rispondono allo stesso bisogno, ovvero quello di ridurre l’angoscia dell’incertezza e trasformare il caos in un racconto lineare.
Le teorie del complotto funzionano così bene perché:
offrono un racconto totale che spiega tutto in modo coerente
identificano un gruppo ristretto di “colpevoli” che agiscono nell’ombra
permettono a chi vi aderisce di sentirsi parte di una minoranza che “ha capito la verità”
rassicurano con l’idea che niente avvenga per caso ma che tutto sia frutto di un disegno ben preciso orchestrato dai poteri forti
Un esempio emblematico è la convinzione che alcuni eventi storici complessi – come la crisi finanziaria del 2008 o la diffusione di malattie globali – siano stati orchestrati da gruppi segreti per trarne profitto o potere.
Accettare che simili fenomeni derivino da un intreccio di errori, coincidenze e variabili globali è molto più difficile da digerire. La mente preferisce la versione con un manipolo di “burattinai” che tirano le fila.
Sul piano psicologico, questa dinamica offre due vantaggi immediati:
riduce l’ansia individuale, poiché offre una spiegazione semplice a eventi complessi
crea un senso di appartenenza a una comunità che “ha visto oltre le bugie ufficiali”
Tuttavia i costi sociali sono enormi, dato che le teorie del complotto possono alimentare odio e diffidenza verso le istituzioni e la scienza ufficiale. Non a caso gli studiosi parlano di epidemia cognitiva: una diffusione virale di narrazioni che, come un virus biologico, sfruttano le vulnerabilità della mente umana per propagarsi.
Il ruolo dei media e dei social network
Se in passato la costruzione del colpevole nascosto era affidata a voci di piazza, predicatori o propaganda politica, oggi ha trovato un acceleratore potentissimo: i media e soprattutto i social network.
Perché proprio i social amplificano questa dinamica?
Algoritmi che privilegiano l’emotività: I contenuti che generano reazioni forti – rabbia, indignazione, paura – vengono premiati perché mantengono l’utente attivo sulla piattaforma. Il risultato è che le narrazioni che individuano un colpevole semplice circolano molto più rapidamente rispetto ad analisi complesse.
Camera dell’eco: I social creano bolle in cui leggiamo solo opinioni simili alle nostre. Se pensiamo che un certo gruppo sia “il responsabile”, vedremo continuamente conferme, rafforzando il nostro bias di conferma.
Semplificazione estrema: In uno spazio dove il messaggio deve stare in pochi caratteri o in un video di pochi secondi, non c’è spazio per la complessità. È naturale che le spiegazioni ridotte all’osso abbiano più successo di lunghe analisi.
Polarizzazione: La logica del “noi contro loro” viene esaltata da sistemi che favoriscono lo scontro. La ricerca del colpevole nascosto diventa un’arma perfetta per alimentare la polarizzazione politica e sociale.
Il problema non è solo la diffusione, ma anche la velocità con cui si diffondono. Una volta, per smontare una falsa accusa servivano giorni o settimane di indagini giornalistiche. Oggi una notizia distorta può raggiungere milioni di persone in poche ore, mentre la smentita arriverà sempre troppo tardi.
Le conseguenze sul dibattito pubblico
Questo meccanismo ha effetti profondi sul modo in cui discutiamo e costruiamo opinioni collettive.
Riduzione del pensiero critico: Se tutto viene spiegato con un colpevole facile da identificare, perdiamo la capacità di ragionare sui problemi nella loro complessità. La società si abitua a risposte semplicistiche.
Erosione della fiducia: Quando la colpa viene sempre attribuita a un nemico invisibile, la fiducia nelle istituzioni, nella scienza e nei media si sgretola. Diventa impossibile distinguere il vero dal falso.
Aumento della polarizzazione: Ogni discussione si trasforma in uno scontro tra chi accetta una narrazione e chi la rifiuta. Non c’è più spazio per il dialogo.
Le conseguenze psicologiche per l’individuo
Attribuire la colpa a un responsabile esterno può essere consolante sul momento, ma nel lungo periodo comporta diversi rischi, tra cui:
Evitare la responsabilità personale: Se i miei problemi sono sempre “colpa degli altri”, smetto di interrogarmi su cosa posso cambiare. È un meccanismo che riduce la crescita personale.
Alimentare un forte senso di frustrazione cronica: La sensazione che ci sia sempre qualcuno che trama contro di noi alimenta rabbia e impotenza, che nel lungo periodo si trasformano in stress e sfiducia.
Favorire l’ansia e la paranoia: Se ogni evento negativo viene spiegato con un “qualcuno ci ha fatto del male”, il rischio è sviluppare una visione paranoica del mondo che amplifica la paura invece di ridurla.
Ecco un esempio banale ma chiarissimo: Facciamo caso che sul lavoro un progetto fallisca. Invece di analizzare i fattori che hanno effettivamente portato a questo fallimento – mancanza di tempo, errori di comunicazione, risorse insufficienti – potrebbe scattare la tentazione di dire “è tutta colpa del capo” o “del collega che mi rema contro”. È rassicurante, perché ci toglie la responsabilità, ma ci impedisce di imparare e migliorare.
Lo stesso vale nello sport: una squadra che perde può incolpare sempre l’arbitro o il campo bagnato. È un modo per salvare l’orgoglio, ma non aiuta a crescere come gruppo.
E nelle relazioni personali? Quante volte un litigio si trasforma in una caccia al colpevole, invece che in un’occasione per capire cosa non ha funzionato da entrambe le parti.
Conclusione
Abbiamo visto come l’illusione del colpevole nascosto nasca da un bisogno profondamente umano. La mente vuole ordine, chiarezza e spiegazioni lineari. È un istinto che ci accompagna da secoli e che ha plasmato conflitti e persecuzioni.
Sul piano psicologico, attribuire la colpa a qualcuno ci protegge dall’ansia dell’incertezza. Sul piano sociale, però, questa stessa dinamica si trasforma in un’arma potente che divide, polarizza, soffoca il dibattito e rende le comunità più fragili.
Il rischio è quello di vivere in una realtà semplificata, dove il pluralismo è solo apparente e la ricerca di un capro espiatorio diventa la regola. In questo modo la libertà di pensiero viene ridotta a una scelta tra poche narrazioni preconfezionate.














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