La pubblicità è immorale?

pubblicità è immorale

La pubblicità fa parte della nostra vita quotidiana: ci segue sui social, negli spazi pubblici, nei podcast, e perfino nei video più brevi. Ma fino a che punto è moralmente accettabile?

L’idea che molte pubblicità siano immorali può sembrare estrema, eppure diversi filosofi sostengono che gran parte dei messaggi commerciali non si limita a informare, ma utilizza tecniche di persuasione scorrette.

Secondo questa prospettiva, la pubblicità non è sbagliata semplicemente perché talvolta contiene falsità, ma perché usa strategie tipiche del sofismo: un modo di persuadere che non ha nulla a che fare con la verità o con argomentazioni valide.

Cos’è il sofisma, e perché riguarda la pubblicità?

Per capire davvero il problema occorre partire dall’antica Grecia. I sofisti erano insegnanti itineranti di retorica e filosofia. Nei dialoghi di Platone vengono spesso criticati da Socrate perché, a differenza sua, accettavano denaro per insegnare, e perché insegnavano soprattutto l’arte di rendere più forte un argomento debole.

In altre parole, offrivano gli strumenti per persuadere anche quando le ragioni non erano buone. Da qui deriva il significato moderno di “sofisma”: una tecnica per convincere, senza basarsi sulla verità o sulla solidità dell’argomentazione. Un parente stretto, quindi, della menzogna.

Quando mentiamo, infatti, tentiamo di far credere qualcosa che non andrebbe creduto. Allo stesso modo, quando facciamo sofismi, convinciamo le persone con ragioni che non dovrebbero convincerle.

PER CAPIRE MEGLIO

Menzogna

Un venditore dice:

«Quest’auto ha solo 10.000 km.» … sapendo perfettamente che ne ha 180.000. Qui sta palesemente mentendo, perché il contenuto è falso.

Sofisma

Lo stesso venditore lega dei palloncini colorati al cofano e dice:

«Guarda come stanno bene! È un’auto perfetta per te.»

I palloncini sono veri, non sta dicendo nulla di falso, ma:

  • non hanno alcun legame con la qualità dell’auto;

  • sfruttano emozioni, associazioni visive e contesto per indurre il cliente all’acquisto.

Questo è un sofisma: nessuna bugia, ma una tecnica che non dovrebbe convincere.

Ed è proprio qui che entra in gioco la pubblicità.

Perché mentire e fare sofismi è considerato immorale?

Quando usiamo tecniche persuasive scorrette per ottenere un vantaggio – che sia vendere un prodotto o ottenere consenso – ignoriamo volontariamente ciò che è giusto, e opportuno, che le persone pensino e facciano. In sintesi: mentire e fare sofismi è sbagliato perché mira a rendere vero un risultato che non dovrebbe esserlo.

Con la menzogna questo è evidente: dire a qualcuno qualcosa che sappiamo essere falso significa impedire alla persona di scegliere sulla base dei fatti.

Con il sofisma succede qualcosa di simile, anche se più sottile. Non diciamo una bugia, ma usiamo argomenti che sembrano validi, pur non essendolo, per spingere l’altro a fare ciò che vogliamo. In questo modo non rispettiamo il suo ragionamento, perché lo portiamo a una conclusione non attraverso motivi veri, ma attraverso dettagli irrilevanti.

Il caso Messi: quando l’immagine diventa argomento

Uno degli esempi più chiari è rappresentato dalle pubblicità della Pepsi in cui compare Lionel Messi. Il campione del calcio è raffigurato in pose atletiche accanto al logo della bibita. L’obiettivo è evidente: sfruttare la sua fama per indurre il pubblico ad acquistare le Pepsi.

Ma l’immagine di un calciatore, per quanto iconico, è un buon motivo per scegliere una bibita gassata? Decisamente no: Messi non è un nutrizionista, e gli esperti sconsigliano il consumo eccessivo di bevande zuccherate. Inoltre, bere Pepsi non aiuterà a somigliare a Messi a torso nudo – anzi, probabilmente farà il contrario.

La domanda da porsi allora è un’altra: Messi sa che il suo volto non dovrebbe convincere nessuno ad acquistare una bibita? Forse sì, forse no. Potrebbe non averci mai pensato. Potrebbe considerare le sponsorizzazioni come un semplice aspetto della vita da celebrità.

Per questo, se vogliamo essere impeccabili, possiamo sospendere il giudizio: Messi potrebbe non essere un sofista, ma solo qualcuno che non ha riflettuto sul tipo di persuasione che sta contribuendo a creare.

Tuttavia, un interlocutore “socratico” – qualcuno cioè disposto al ragionamento – capirebbe facilmente che quelle pubblicità non dovrebbero avere alcun peso sulle scelte dei consumatori.

Gli inserzionisti: i veri architetti del sofisma

Se Messi può essere assolto per ignoranza, diversa è la posizione di chi produce gli spot. Gli inserzionisti conoscono bene il potere delle tecniche persuasive: celebrità, sex appeal, humor, jingle memorabili… li usano perché funzionano, e non perché  logicamente legittimi. E spesso sanno bene che non dovrebbero convincere nessuno.

Un esempio semplice ma efficace è quello del venditore d’auto che lega palloncini a un veicolo usato per attirare i clienti. I palloncini non hanno alcun rapporto con la qualità dell’auto, ma aumentano le vendite.

E il venditore, che conosce il valore reale delle auto, non comprerebbe mai un mezzo solo perché decorato con palloncini. Ciò dimostra che sta utilizzando una tecnica che non dovrebbe persuadere nessuno – e questo è il cuore vero del sofisma.

Un esempio ancora più critico: quando a pubblicizzare è un esperto

Se il caso di Messi solleva dubbi etici, l’esempio diventa ancora più problematico quando la pubblicità coinvolge figure percepite come esperti del settore.

Si pensi ad esempio, a uno chef celebre come Joe Bastianich, mentre promuove i prodotti di una grande catena di fast food come il McDonald’s. A differenza di un calciatore, uno chef gode di un’autorevolezza direttamente legata al cibo: il pubblico infatti, gli attribuisce competenze sulla qualità degli ingredienti, sulla preparazione e sul valore nutrizionale dei piatti.

L’apparizione di uno chef in una pubblicità di fast food crea quindi un’associazione implicita – ma potentissima – tra il concetto di “qualità” e un prodotto industriale che, per sua natura, difficilmente rispecchia gli standard della cucina professionale.

È proprio questa dissonanza a rendere l’endorsement di uno chef ancora più vicino al sofisma: anche senza affermare qualcosa di falso, l’effetto della sua immagine spinge il consumatore a credere che un alimento altamente processato sia equivalente, o almeno compatibile, con ciò che uno chef considererebbe un prodotto di qualità.

In questo caso non è solo la tecnica persuasiva a essere discutibile, ma anche il ruolo di autorità sfruttato per conferire credibilità a un messaggio che non dovrebbe averne.

È possibile una pubblicità etica?

In teoria sì, anche se sarebbe rara e poco riconoscibile. Una pubblicità etica dovrebbe limitarsi a fornire informazioni verificabili sul prodotto, senza ricorrere a emozioni, personaggi famosi o dettagli irrilevanti.

In pratica, però, quasi nessuno spot funziona così. La comunicazione commerciale si basa più sulle emozioni, che sulle ragioni.

Il caso dei podcaster: sofisti o semplici promotori?

Molti podcast includono al loro interno segmenti pubblicitari in cui promuovono prodotti ai loro ascoltatori. Sono quindi sofisti?

La risposta è complessa… Ammettiamo anche che dicano solo cose vere su un sistema di sicurezza domestica. Anche così, il pubblico non dovrebbe essere convinto dalla loro opinione che quel sistema sia “il modo giusto per proteggere la casa”. Perché?

  • Presentano solo aspetti positivi, e questo produce una rappresentazione parziale.

  • Non sono esperti del settore.

  • Probabilmente non hanno nemmeno testato il prodotto con rigore.

  • La loro valutazione non è paragonabile a quella di un recensore professionista.

Un’affermazione come “questo è il modo giusto per proteggere la casa” è falsa come generalizzazione: ciò che vale per un ascoltatore potrebbe non valere per un altro. In alcuni casi, la soluzione migliore è semplicemente… un cane.

Tuttavia, i podcaster potrebbero difendersi affermando che il loro scopo è fornire premesse utili ai ragionamenti degli ascoltatori. Finché non mentono e si limitano a condividere fatti veri, non possono essere accusati di sofismo. Il problema emerge quando trasformano una descrizione in una raccomandazione generale ed assoluta.

Quand’è che il sofisma diventa inevitabile?

Arrivati a questo punto sorge un dubbio: se il sofisma è così diffuso, non sarà che lo stiamo giudicando troppo severamente? È possibile che una pratica così comune sia davvero immorale?

Una parte della risposta riguarda l’assuefazione, dato che viviamo immersi nella persuasione, e siamo abituati a considerarla normale… ma esistono anche, ragioni più profonde.

1. Il sofisma è difficile da regolamentare

La persuasione è relativa agli atteggiamenti del persuasore. Ciò che un pubblicitario considera legittimo, un altro lo giudica scorretto. Non esiste un codice condiviso per distinguere metodi accettabili da quelli manipolativi.

2. È relativo anche al contenuto

Lo stesso strumento può essere usato in modo lecito o illecito. Mostrare un video al rallentatore può servire a comprendere un dettaglio tecnico o, come nel caso del pestaggio di Rodney King, a rendere la violenza “meno violenta” agli occhi della giuria.

La tecnica non è di per sé immorale: lo diventa secondo il contenuto che si vuole far apparire più convincente.

3. Esistono circostanze eccezionali

In certi contesti, usare una tecnica ingannevole è considerato moralmente accettabile. L’avvocato Barry Scheck, nel processo a O.J. Simpson, ricorse a immagini emotivamente potenti per generare disgusto verso la tesi dell’accusa.

Pur sapendo che quelle reazioni non dovrebbero influenzare un giudizio razionale, considerava suo dovere ottenere l’assoluzione del cliente.

Cosa possiamo fare? Occorre diventare interlocutori socratici

Nonostante la complessità, una cosa è chiara: la diffusione del sofisma non lo rende moralmente neutro. Come per la menzogna, possiamo e dobbiamo criticare gli abusi, anche se non esiste uno standard oggettivo perfetto.

Il primo passo è riconoscerli. Il secondo è chiedere conto a chi li utilizza, che si tratti di un pubblicitario, di un influencer o di un podcaster, tutti devono poter giustificare i propri metodi di persuasione.

Solo così possiamo difendere la nostra autonomia di giudizio.

Nata e cresciuta a Rosignano Solvay , appassionata da sempre per tutto quello che ruota intorno al benessere della persona.Biologa, diplomata all'I.T.I.S Mattei