La coscienza come errore evolutivo: il pensiero più radicale di Ligotti

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Secondo Thomas Ligotti — autore statunitense del libro ” La cospirazione contro la razza umana ” — vivere significa essere intrappolati in un ciclo inevitabile di sofferenza, dolore, invecchiamento e morte.

Nel saggio, Ligotti espone una visione spietata della condizione umana e afferma che molti evitano persino di formulare questi pensieri.

L’esistenza, sostiene, si regge su una cospirazione collettiva di illusioni, formate da menzogne necessarie che ci permettono di continuare a vivere senza soccombere al peso della coscienza.

La cospirazione del silenzio 

Secondo Ligotti, chi è pienamente sincero con sé stesso si accorge che vivere è, prima di tutto, soffrire. La felicità è descritta come una tregua breve, una pausa tra due dolori. Per non soccombere, gli esseri umani indossano un velo di illusione, dato che fingono che l’esistenza sia accettabile, e che valga la pena proseguire.

Ligotti sintetizza la sua diagnosi in un’affermazione tagliente: «La vita è malignamente inutile.» Non inutile e basta, ma malignamente, perché inganna, dato che lascia credere che esista un senso, mentre spinge gli individui a inseguire traguardi e ideali che alla fine si dissolvono nel nulla.

Il ruolo della coscienza: l’errore dell’evoluzione

Prima che la coscienza emergesse, la vita umana seguiva lo stesso schema degli altri animali, dato che nascevi, ti riproducevi, e infine morivi.

Con l’avvento della consapevolezza tutto è cambiato, e l’uomo si è trovato improvvisamente esposto a nuove verità:

  • Il pensiero della morte,

  • La percezione della sofferenza universale,

  • L’angoscia del tempo che scorre,

  • La certezza che tutto ciò che esiste oggi avrà una fine.

Per Ligotti questa lucidità è il «genitore di tutti gli orrori», il vero errore dell’evoluzione: un difetto che ha spezzato l’armonia con la natura, e ha reso l’uomo l’unico animale costretto a contemplare la propria condanna.

Non possiamo vivere senza coscienza, ma è proprio la coscienza che ci impedisce di vivere serenamente.

Le quattro strategie di Zapffe 

A questo punto entra in scena Peter Wessel Zapffe, filosofo norvegese che secondo Ligotti ha descritto con maggiore chiarezza le conseguenze dell’eccesso di lucidità. Secondo Zapffe, per non crollare sotto il peso della coscienza, gli esseri umani hanno elaborato quattro strategie adattive, quali:

1. Isolamento

Bisogna imparare ad escludere i pensieri più angoscianti, ed evitare ciò che potrebbe rivelare la verità sull’esistenza.

2. Ancoraggio

Bisogna aggrapparsi a valori considerati assoluti, quali religioni, ideologie, ed identità collettive.

3. Distrazione

Bisogna riempire il tempo con attività che occupano la mente ed impediscono di riflettere troppo.

4. Sublimazione

Bisogna trasformare l’orrore in arte, filosofia o creatività.

Secondo Ligotti, questi meccanismi rappresentano la struttura portante della cospirazione silenziosa che sostiene la società.

E nel mondo moderno la loro presenza è assolutamente evidente. Basta osservare la vita frenetica che impegna le persone, i social media che catturano costantemente l’attenzione, i valori trasformati in prodotti, nonché un’industria dell’intrattenimento costruita ad “hoc” per distrarre.

Senza queste difese — sostiene l’autore — la coscienza rivelerebbe l’aspetto più nudo dell’esistenza: un organismo in decomposizione, temporaneamente animato, ma destinato inesorabilmente a dissolversi.

Il sé come illusione 

La riflessione di Ligotti arriva ancora più in profondità e colpisce il cuore stesso dell’identità personale. L’idea dell’“io”, inteso come centro stabile ed autonomo, viene smontata pezzo per pezzo.

Secondo lo scrittore, ciò che chiamiamo io non è che un espediente narrativo creato dal cervello per garantire coerenza ai nostri comportamenti.

In realtà, saremmo organismi programmati da impulsi biologici elementari — sopravvivere e riprodurci — convinti erroneamente di scegliere liberamente.

Le decisioni che percepiamo come frutto della volontà emergono invece da processi inconsci ed automatici. Questa immagine riduce l’essere umano ad un automa che si crede protagonista della propria storia, quando in verità recita un copione scritto altrove.

L’illusione di un sé unitario è indispensabile per non crollare, ma resta pur sempre un artificio, il più sofisticato dei meccanismi di autodifesa della coscienza.

Religioni, ideologie ed arte: anestetici della coscienza 

Ligotti è particolarmente severo verso tutte le costruzioni simboliche che gli esseri umani generano per colmare il proprio vuoto, e così, secondo lui:

  • Le religioni diventano narrazioni per tranquillizzare.

  • Le ideologie politiche offrono una promessa di progresso, ma servono soprattutto a occupare la mente.

  • L’arte e la filosofia, anche le più pessimiste, finiscono per essere elaborate, come forme di distrazione.

Tutto contribuisce nella sua meticolosità a mantenere in vita la più grande menzogna collettiva: “che la vita vada bene così”.

L’estinzione volontaria: l’unico atto etico? 

Il punto più controverso del libro arriva quando Ligotti spinge la sua logica all’estremo: se la vita è una condanna, e la coscienza è una trappola, allora l’unico atto veramente etico sarebbe sospendere la riproduzione e lasciare che la specie umana si estingua pacificamente.

Una scelta non motivata dall’odio verso la vita, ma da una forma estrema di compassione: bisogna evitare di imporre ad altri la stessa condanna.

Ligotti immagina persino una scena utopica: un’umanità che scompare nel giro di poche generazioni, senza guerre o catastrofi, guidata da una decisione lucida e condivisa. Volti sorridenti che scelgono di non perpetuare più il ciclo “dell’angoscia consapevole”.

Un’immagine paradossale, dove la verità più cupa si trasforma nell’atto più gentile.

L’essere umano è un paradosso vivente! 

Ligotti arriva così alla sua conclusione più amara: l’essere umano è un paradosso vivente, dato che:

  • Non può vivere senza coscienza, ma non può sopportare il peso della coscienza.

  • Non può vivere senza menzogna, ma la menzogna stessa lo tormenta.

L’uomo non è “pura natura”, non è divinità, e non è nemmeno davvero libero, ma è una creatura spezzata da un eccesso di lucidità che vede troppo, e soffre per ciò che vede.

Per questo la cospirazione non è soltanto di tipo sociale o culturale, ma anche interiore, dato che ha il bisogno costante di inventare uno scopo, di coprire il vuoto con racconti, simboli, credenze e narrazioni che ci permettono di andare avanti senza soccombere.

Ligotti offre delle soluzioni? 

L’autore non offre soluzioni, e non indica vie di salvezza, ma spiega soltanto quello che vede.

Gli esseri umani — secondo la sua visione — reagiscono in modi differenti:

  • C’è chi preferisce “non pensare”, e tornare alle distrazioni e alle illusioni quotidiane;

  • C’è chi sceglie di vivere guardando in faccia l’assurdità dell’esistenza, come un atto di ribellione lucida.

Le mie riflessioni

Forse non conosciamo davvero il quadro completo dell’esistenza

Ligotti parte da una prospettiva puramente materialista: ciò che vediamo è ciò che c’è, ma molte culture, filosofie e religioni sostengono che la realtà, che vediamo, non è la sola realtà esistente.
Ad esempio:

  • Le tradizioni orientali parlano di cicli di rinascita, karma e liberazione;

  • Molti filosofi, come Platone, parlano di un’anima immortale, che trascende la morte;

  • Persino alcuni approcci contemporanei in fisica suggeriscono che ciò che percepiamo potrebbe essere solo un piccolissimo frammento della realtà.

  • Sono molte le testimonianze di persone uscite dal coma, che raccontano esperienze di “confine”, percepite come incontri con una dimensione oltre la vita. Dopo questi episodi, molti riferiscono di aver ritrovato un senso più profondo nell’esistenza. Per alcuni, l’idea di una continuità dopo la morte diventa una fonte di serenità e cambiamento.

Dal punto di vista umano, è ragionevole pensare che la nostra percezione sia limitata. E se è limitata, non possiamo escludere che esistano dimensioni dell’esistenza che Ligotti non prende in considerazione perché estranee al suo sistema filosofico.

Secondo Ligotti, questa visione consolatoria, rappresenta esclusivamente il bisogno umano di credere in qualcosa oltre la materia, come se l’essere umano dovesse razionalizzare la fine dell’esistenza, come un qualcosa per non impazzire davanti all’inevitabilità della fine. 

Non possiamo stabilire quale visione sia corretta. Possiamo però osservare che la scienza, un tempo molto scettica verso il concetto di anima o di coscienza non materiale, oggi si mostra più prudente e aperta. Le neuroscienze e la fisica moderna ammettono infatti che la natura della coscienza resta in gran parte un mistero ancora da comprendere.

Percezione, consapevolezza e il valore del tempo

Ligotti sostiene che la vita sia priva di senso e composta soprattutto da sofferenza, ma questa conclusione dipende fortemente dal modo in cui osserviamo l’esistenza.

È vero che la sofferenza è parte integrante del vivere, ma la psicologia contemporanea dimostra che la qualità dell’esperienza umana non è determinata solo dagli eventi, ma anche dalla nostra percezione, e dall’interpretazione che diamo a ciò che ci accade.

Numerosi studi indicano che il benessere può aumentare riducendo la ricerca compulsiva del successo, coltivando pochi desideri essenziali, vivendo focalizzandoci nel presente, e adottando pratiche che stimolano naturalmente i neurotrasmettitori della felicità, come relazioni autentiche, meditazione, attività significative e una cura più consapevole di sé.

In questo senso, anche la morte — inevitabile e spesso temuta — non deve trasformarsi in una condanna anticipata.

Se sapessimo con certezza che un evento tragico ci attendesse tra un mese, la scelta più razionale non sarebbe quella di trascorrere quei trenta giorni nell’angoscia, ma sarebbe quella di investirli nelle persone che amiamo, o perfino nel semplice piacere di una cena a base di pesce.

Angosciarsi dall’inizio alla fine equivarrebbe a morire due volte: una nel pensiero, e una nei fatti. Accettare l’attimo di paura e poi tornare intenzionalmente alla vita è un atto di maturità emotiva che non cancella la sofferenza, ma la colloca dentro una prospettiva più ampia.

La consapevolezza della morte non distrugge il valore del tempo, ma può perfino potenziarne il significato.

Ricorda che si può vivere con dignità, anche sapendo che la vita ha una fine: non si tratta di negazione, o illusione, ma rappresenta una scelta consapevole di godersi il viaggio, proprio perché ha un termine.

Altri spunti di riflessione

Ligotti coglie perfettamente il potere e il peso della coscienza. La consapevolezza umana ha un costo emotivo enorme, ed è vero che spesso viviamo grazie a illusioni che ci proteggono.

La sofferenza è parte della vita, ma lo sono anche la meraviglia, la relazione, la scoperta, l’amore, la risata e la creatività. Ligotti tende a considerare questi aspetti come semplici distrazioni, mentre potrebbero essere componenti autentiche dell’esperienza umana.

Anzi, si potrebbe dire che la sofferenza sia spesso un elemento effimero, che diventa dominante solo quando la nostra percezione si distorce, o quando commettiamo errori di interpretazione.

In molte situazioni, è la mente a ingrandire il dolore fino a trasformarlo nel centro dell’esistenza, mentre in realtà è uno dei tanti frammenti del vivere, e non necessariamente quello più rappresentativo.

Inoltre, Ligotti parla dell’idea che la coscienza sia “un errore”, ma dal punto di vista evolutivo, ciò che esiste è ciò che funziona. La coscienza infatti, potrebbe non essere un errore, ma una tappa ancora incompleta di un processo più vasto che non riusciamo ancora totalmente a comprendere.

Nata e cresciuta a Rosignano Solvay , appassionata da sempre per tutto quello che ruota intorno al benessere della persona.Biologa, diplomata all'I.T.I.S Mattei