Il codice metabolico della salute: le lezioni di Benjamin Bikman

Perché ci ammaliamo così tanto? Benjamin Bikman, ricercatore in fisiologia e autore di Why We Get Sick, ci offre una risposta chiara.
La radice comune di molte delle malattie moderne – diabete, Alzheimer, cancro, patologie cardiovascolari — si chiama insulino-resistenza.
L’insulino-resistenza non significa solo “avere troppi zuccheri nel sangue”, ma rappresenta uno stato metabolico distorto che manda in tilt i segnali del corpo, altera la produzione ormonale, alimenta l’infiammazione, indebolisce il sistema immunitario e, nel tempo, spegne la lucidità mentale.
L’insulino-resistenza: la radice nascosta di (quasi) tutti i mali
Il corpo utilizza l’insulina per regolare l’assorbimento dei nutrienti nelle cellule, e per stabilire quando usare o conservare energia. Quando però, giorno dopo giorno, questo segnale viene trasmesso in modo eccessivo a causa di un’alimentazione sbilanciata, stress o inattività, le cellule iniziano a non rispondere più correttamente all’insulina.
È qui che nasce l’insulino-resistenza. Le cellule, bombardate da un eccesso di stimoli (troppi zuccheri, stress cronico, mancanza di sonno, inattività fisica), diventano sorde al messaggio dell’insulina.
Il risultato? Il corpo produce sempre più insulina nel tentativo di farsi ascoltare. Questo stato “silenzioso” può durare anni senza sintomi evidenti. Nel frattempo, però, il danno si accumula.
L’eccesso di insulina:
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favorisce l’accumulo di grasso, soprattutto addominale
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mantiene alta l’infiammazione sistemica
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ostacola la corretta comunicazione tra ormoni
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interferisce con la normale funzione cerebrale, portando nebbia mentale e stanchezza cronica
E così, mentre pensiamo di essere “solo un po’ stressati” o “fuori forma”, in realtà stiamo costruendo il terreno fertile per le grandi malattie del nostro tempo.
Bikman ci invita a osservare attentamente tutto l’insieme. L’insulino-resistenza non è un evento isolato, ma un nodo centrale che lega tra loro decine di disturbi apparentemente diversi. È la miccia accesa che, lentamente, fa esplodere tutto il sistema.
Le quattro forze che alimentano la resistenza insulinica
L’aspetto più interessante del lavoro di Bikman è che non parla mai di una sola causa. Non esiste un colpevole unico, ma una combinazione di fattori moderni che agiscono in sinergia, minando il metabolismo giorno dopo giorno.
1. Alimentazione: il carburante sbagliato
Il nostro corpo è nato per gestire periodi di abbondanza e carestia, ma il mondo moderno ci ha messo davanti a una tavola che non si svuota mai. Dolci, cereali raffinati, snack “light” pieni di zucchero nascosto, bibite, nonché spuntini continui: viviamo in un flusso costante di eccessi insulinici.
Ogni volta che mangiamo, l’insulina sale per far entrare il glucosio nelle cellule. Se questo accade cinque, sei, o sette volte al giorno, il sistema si esaurisce e le cellule finiscono per non rispondere più all’insulina.
Come dice ironicamente Bikman, “non puoi pretendere che un dipendente lavori senza sosta e poi stupirti se smette di ascoltarti”. Ecco perché molti protocolli moderni – digiuno intermittente, riduzione dei carboidrati raffinati – rappresentano dei tentativi per ripristinare una corretta sensibilità insulinica.
2. Stress: l’insulina invisibile
Non serve mangiare male per alterare il metabolismo. Ogni volta che siamo stressati, il corpo rilascia il cortisolo, l’ormone che prepara alla fuga o alla lotta. È un meccanismo prezioso in caso di pericolo, ma devastante se attivo tutto il giorno.
Il cortisolo, infatti, aumenta il glucosio nel sangue per fornire energia immediata. E indovinate chi arriva subito dopo per sistemare la situazione? Avete indovinato, l’insulina! Stress cronico significa avere l’insulina cronicamente elevata.
3. Buon riposo notturno
Come spiega Bikman, ogni ora di sonno perduta è un colpo inferto al nostro equilibrio ormonale.
Durante la notte, il corpo ricalibra i livelli di insulina, di cortisolo e di leptina (l’ormone della sazietà). È il momento in cui le cellule “ascoltano” nuovamente i segnali, si rigenerano e si preparano a una nuova giornata di attività. Saltare questo processo significa vivere in uno stato metabolico di emergenza costante.
Bikman nel suo libro cita numerosi studi che mostrano come anche solo una notte di sonno frammentato possa ridurre la sensibilità all’insulina del 20-30%.
Non serve dunque soffrire di un’insonnia cronica: basta una settimana di sonno agitato per entrare in un circolo vizioso in cui più siamo stanchi, più cerchiamo zuccheri e caffeina, e più il metabolismo si confonde.
Ecco i principali effetti della carenza di sonno sulla resistenza insulinica:
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Aumento del cortisolo e quindi del glucosio nel sangue
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Maggiore desiderio di cibi dolci e grassi, che a loro volta fanno impennare i livelli di insulina nel corpo
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Riduzione della produzione di ormoni che favoriscono il consumo di energia
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Diminuzione della sensibilità insulinica nel tessuto muscolare
È come se il corpo, ormai esausto, non riuscisse più a “parlare la stessa lingua” dei propri ormoni.
4. L’inattività fisica
Stiamo la maggior parte del tempo seduti. Seduti davanti al computer, in macchina, a tavola, davanti alla TV… Il corpo umano è progettato per muoversi. Ogni volta che un muscolo si contrae, richiede energia, consuma glucosio, riduce l’insulina in circolo e ristabilisce la sensibilità cellulare.
Il movimento non serve solo a “bruciare calorie” — concetto ormai superato — ma rappresenta un dialogo costante con i nostri ormoni. Bikman lo riassume con una frase: “Il muscolo è l’organo della longevità.”
L’attività fisica regolare, seppur lieve, come una camminata dopo i pasti o salire le scale, può avere effetti paragonabili a un farmaco in quanto:
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Riduce l’insulina e migliora la risposta delle cellule
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Aumenta la capacità del corpo di usare i grassi come carburante
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Diminuisce i livelli di infiammazione
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Stimola l’attività mitocondriale, cioè la vera “centrale energetica” del corpo
Ilo paradosso è che abbiamo creato un mondo in cui tutto è progettato per evitare il movimento. Scale mobili, ascensori, auto ovunque, sedie ergonomiche… eppure muoversi è una delle medicine più potenti per il corpo umano.
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Il mito del colesterolo
Uno dei punti più sorprendenti del libro di Bikman è la sua critica diretta a una delle convinzioni più radicate della medicina moderna: ovvero, che l’idea che il colesterolo sia il principale responsabile delle malattie cardiovascolari.
Secondo Bikman, questo approccio ha distratto per decenni l’attenzione dal vero motore che alimenta molti disturbi: l’eccesso di insulina. Lui lo definisce, come “il grande regista nascosto” che, agendo sotto la superficie, altera la gestione dei grassi, provoca infiammazione e danneggia i vasi sanguigni.
Nel corpo sano, l’insulina serve anche a regolare il metabolismo lipidico, aiutando a immagazzinare i grassi in modo controllato, ma quando resta alta per troppo tempo, interferisce con il normale ciclo dei lipidi, favorendo l’accumulo di trigliceridi e rendendo le particelle di colesterolo più piccole e più dense – quelle realmente pericolose.
Bikman spiega che il problema non è “avere troppo colesterolo”, ma avere colesterolo in un ambiente metabolico danneggiato, dominato da infiammazione e resistenza insulinica. In questa condizione, il colesterolo ossidato diventa più instabile e tende a depositarsi nelle pareti delle arterie.
Il messaggio è chiaro:
“Non è il colesterolo in sé a farci ammalare, ma il modo in cui l’insulina ne altera il comportamento.”
Ecco perché molti pazienti con colesterolo “normale” sviluppano comunque malattie cardiovascolari, mentre altri con valori più alti restano in salute. Il punto non è il numero, ma il contesto metabolico in cui quel numero si trova.
Il metabolismo come equilibrio energetico
In Why We Get Sick, Bikman insiste su un concetto spesso trascurato: la salute è una questione di energia cellulare.
Ogni cellula del corpo vive di un equilibrio continuo tra produzione e utilizzo di energia. Quando la resistenza all’insulina si sviluppa, questa capacità di generare energia si deteriora.
Le cellule muscolari faticano a usare il glucosio, il fegato accumula grasso, e il cervello riceve segnali confusi. Il risultato è un corpo che ha tanta energia in circolo, ma poca disponibile per essere usata. È il paradosso della stanchezza moderna: siamo pieni di zuccheri, ma privi di energia reale.
Bikman spiega che, in queste condizioni, il corpo perde anche la flessibilità metabolica, cioè la capacità di passare in modo naturale dall’uso del glucosio a quello dei grassi come carburante. È come se il sistema si fosse “bloccato” su un’unica fonte energetica, costringendoci a mangiare di continuo per sentirci attivi.
Ecco perché promuove uno stile di vita che ristabilisca la sensibilità insulinica e permetta al corpo di tornare a usare i grassi come fonte primaria di energia. Il risultato non è solo un miglior controllo del peso, ma una salute sistemica più stabile, con effetti positivi su cervello, ormoni e infiammazione.
Il ruolo dei grassi nella salute metabolica
Un altro tema che Bikman affronta con decisione riguarda la demonizzazione dei grassi alimentari. Nel suo lavoro spiega che non solo i grassi non sono il nemico, ma possono essere un alleato fondamentale quando il metabolismo funziona correttamente.
Quando l’insulina è bassa e stabile, il corpo utilizza i grassi in modo efficiente. I mitocondri – le centrali energetiche delle cellule – riescono a ossidarli per produrre energia pulita e duratura, tuttavia, quando l’insulina è alta, questo processo viene bloccato: il corpo smette di bruciare grassi e comincia ad accumularli.
Per questo, la chiave non è “mangiare meno grassi”, ma ridurre l’insulina attraverso scelte alimentari che mantengano stabile la glicemia. Bikman cita diverse evidenze che mostrano come diete a basso contenuto di carboidrati, ricche di grassi sani e proteine di qualità, possano migliorare la sensibilità insulinica e ridurre il rischio di malattie croniche.
Naturalmente ciò, non tutti i grassi sono uguali.
L’autore distingue con chiarezza:
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Grassi sani: presenti in alimenti naturali come pesce, uova, avocado, noci, semi, burro e olio d’oliva.
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Grassi dannosi: quelli industriali e ossidati, come gli oli vegetali raffinati (soia, mais, girasole), protagonisti dell’alimentazione moderna.
Quello che l’autore vuole passare come messaggio è il fatto, che non si debba eliminare intere categorie di cibi, tuttavia occorre capire che ogni scelta alimentare e non influisce sull’insulina e, quindi, sull’intero metabolismo.
Prime fasi della resistenza insulinica
Benjamin Bikman mette in luce un aspetto che spesso sfugge anche alla medicina clinica: nelle prime fasi della resistenza insulinica, il corpo riesce ancora a mantenere la glicemia perfettamente normale. Questo accade perché il pancreas compensa questo squilibrio, producendo quantità sempre maggiori di insulina.
In altre parole, l’organismo inizia a diventare meno sensibile all’insulina, ma per evitare che il livello di zucchero nel sangue salga, il pancreas “spinge di più sull’acceleratore”. Il risultato è che, a un esame del sangue di routine, la glicemia appare nella norma, ma l’insulina è già molto più alta del normale.
È un inganno metabolico. L’equilibrio sembra reggere, ma dietro le quinte il corpo sta lavorando ad un ritmo forzato per tenere tutto sotto controllo. Bikman paragona questa condizione a un’azienda che aumenta il personale per compensare un calo di produttività: per un po’ funziona, ma non è sostenibile a lungo.
Con il tempo, questo meccanismo di compensazione inizia a logorarsi:
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Le cellule continuano a “resistere” al segnale dell’insulina.
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Il pancreas si affatica nel produrla in quantità eccessive.
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I livelli di insulina rimangono costantemente elevati, anche a digiuno.
A questo punto, il danno metabolico è già in corso, anche se non si vede ancora nei valori glicemici.
Ecco perché Bikman considera l’iperinsulinemia (l’insulina cronicamente alta) come il primo campanello d’allarme e invita a misurarla ben prima della glicemia o dell’emoglobina glicata, che si alterano solo nelle fasi più avanzate.
In pratica:
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Una persona può avere glicemia “perfetta” ma insulina altissima, e trovarsi già in uno stato di resistenza insulinica.
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Quando anche la glicemia inizia a salire, significa che il pancreas non riesce più a compensare: è l’inizio del diabete di tipo 2.
Bikman lo riassume così:
“Non ci ammaliamo quando la glicemia si alza, ma molto prima, quando l’insulina resta alta troppo a lungo.”
La persona “apparentemente sana”, con analisi nella norma, può già essere malata a livello metabolico, e non accorgersene – e questo è la parte negativa – finché il sistema non collassa.
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Come riconoscere l’iperinsulinemia prima che compaia il diabete
Uno dei messaggi più pratici del libro di Bikman è che aspettare che la glicemia salga è un errore. Quando i livelli di zucchero nel sangue si alterano, il processo è già in corso da anni. Per intercettare la resistenza insulinica nelle sue prime fasi, bisogna guardare oltre la glicemia.
Bikman propone di prestare attenzione a una serie di segnali indiretti e parametri di laboratorio che rivelano un’insulina troppo alta anche in assenza di diabete.
1. Misurare l’insulina a digiuno
È il test più diretto, ma purtroppo raramente viene prescritto di routine. Secondo Bikman, un valore ideale dovrebbe stare ben al di sotto dei 10 μU/mL, e preferibilmente tra 3 e 6 μU/mL.
Molti laboratori considerano “normale” anche un valore di 15 o 20, ma per Bikman questo è già un segnale di compensazione: il corpo sta producendo troppa insulina per mantenere stabile la glicemia.
2. Indice HOMA-IR
È un calcolo che combina insulina e glicemia a digiuno per stimare il grado di resistenza insulinica.
La formula è semplice:
HOMA-IR = (Insulina a digiuno [μU/mL] × Glicemia a digiuno [mg/dL]) / 405
Un valore superiore a 2 indica già una ridotta sensibilità all’insulina.
Bikman considera ottimali i valori compresi tra 1 e 1.5, che riflettono un metabolismo flessibile e reattivo.
3. Rapporto Trigliceridi / HDL
Bikman suggerisce questo rapporto come un marcatore metabolico affidabile e facile da ottenere anche senza test costosi.
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Si calcola dividendo i trigliceridi (mg/dL) per il colesterolo HDL (mg/dL).
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Un valore inferiore a 2 è considerato ottimale.
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Un rapporto superiore a 3 è spesso segno di insulino-resistenza e disfunzione lipidica indotta da iperinsulinemia.
Questo rapporto è particolarmente utile perché mostra come l’insulina alta altera il metabolismo dei grassi, non solo quello degli zuccheri.
4. Altri indizi clinici e fisici
Oltre ai dati di laboratorio, Bikman invita a osservare anche i segnali corporei e comportamentali, spesso sottovalutati:
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accumulo di grasso addominale (“pancia insulinica”)
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fame frequente, soprattutto per cibi dolci o ricchi di carboidrati
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difficoltà a perdere peso nonostante la dieta
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stanchezza dopo i pasti
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sbalzi di energia e concentrazione
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aumento della pressione arteriosa o dei trigliceridi
Questi sono campanelli d’allarme pratici che indicano una scarsa flessibilità metabolica e un possibile eccesso di insulina.
5. Test di risposta insulinica post-prandiale
Nei centri specializzati, è possibile valutare la risposta dell’insulina dopo un pasto o un carico di glucosio. Bikman spiega che alcune persone mantengono una glicemia apparentemente normale, ma il corpo lo fa al prezzo di un picco insulinico abnorme. Questi test permettono di vedere la “fatica” metabolica nascosta che gli esami standard non mostrano.
Il cervello e l’insulina: un legame sottovalutato
Uno degli aspetti più affascinanti del libro è il collegamento tra insulino-resistenza e salute cerebrale. Bikman mostra come il cervello, pur rappresentando solo il 2% del peso corporeo, consumi circa il 20% dell’energia totale.
Quando le cellule cerebrali diventano meno sensibili all’insulina, il cervello comincia letteralmente a “morire di fame”, anche in un corpo pieno di zuccheri.
È qui che entrano in gioco i grassi e i chetoni, fonti alternative di energia che il cervello può usare in modo efficiente quando il metabolismo è flessibile. Bikman suggerisce che questo spiega in parte il legame tra insulino-resistenza e malattie neurodegenerative come l’Alzheimer, che alcuni ricercatori definiscono “diabete di tipo 3”.
Il ruolo del fegato
Quando l’insulina è cronicamente elevata, il fegato:
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smette di bruciare grassi e inizia ad accumularli (steatosi epatica);
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produce più glucosio del necessario, anche quando nel sangue ce n’è già abbastanza;
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altera la produzione di colesterolo e trigliceridi. Questo porta a una cascata di problemi sistemici, che includono infiammazione, aumento dei grassi nel sangue e sovraccarico del pancreas.
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Insulino-resistenza e squilibri ormonali
Bikman spiega che la resistenza all’insulina non colpisce solo il metabolismo energetico, ma anche la sfera ormonale.
Nelle donne può favorire la sindrome dell’ovaio policistico (PCOS) e difficoltà di fertilità, mentre negli uomini riduce i livelli di testosterone e aumenta la produzione di estrogeni.
Il risultato è un indebolimento generale del tono muscolare, del desiderio sessuale e della capacità di recupero. Tutto questo non per colpa dei singoli ormoni, ma per via di un’insulina che altera la loro regolazione.
Il legame tra insulino-resistenza e sistema immunitario
Un aspetto meno discusso ma molto interessante è la relazione tra metabolismo e immunità. Secondo Bikman, un’eccessiva esposizione all’insulina modifica il comportamento delle cellule immunitarie, rendendole più infiammatorie e meno capaci di difendere l’organismo.
È uno dei motivi per cui le persone con resistenza insulinica hanno una maggiore predisposizione a infezioni, cicatrizzazione lenta e peggiori esiti in malattie virali.
Le strategie pratiche proposte da Bikman
Il libro non è solo di natura teorica, ma nelle ultime sezioni del libro, l’autore propone una serie di strategie concrete per ridurre l’insulina cronica e migliorare la sensibilità cellulare:
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Privilegiare cibi reali, come carne, uova, pesce, verdure, frutta a basso indice glicemico, e grassi sani.
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Limitare il consumo di carboidrati raffinati e i cibi industriali che provocano picchi glicemici.
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Inserire momenti di digiuno naturale, come saltare la colazione o allungare gli intervalli tra i pasti.
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Muoversi ogni giorno, anche con esercizi brevi ma costanti, come camminate o lavori di resistenza.
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Dormire regolarmente per mantenere stabile il cortisolo.
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Gestire lo stress, poiché il cortisolo alto aumenta indirettamente l’insulina.
Bikman non impone un protocollo rigido, ma un principio guida: fai in modo che il corpo passi più tempo in uno stato di bassa insulina. È lì che il metabolismo guarisce, il grasso viene bruciato e l’energia torna stabile.
Conclusione
Il libro si chiude con un messaggio di speranza. L’insulino-resistenza è una condizione reversibile. Tramite la costanza e la consapevolezza è possibile invertire anni di squilibrio metabolico.
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