Asteroidi come culle della vita: l’ipotesi che non possiamo più ignorare

asteroidi culla della vita

Da dove proviene la vita sulla Terra? La risposta più intuitiva sembrerebbe anche la più semplice: la vita è nata sul nostro pianeta, grazie a condizioni favorevoli presenti già oltre 4 miliardi di anni fa. Le evidenze geologiche indicano infatti che i primi segnali di attività biologica risalgono a un’epoca molto vicina alla formazione stessa della Terra.

Eppure, da decenni, una parte della comunità scientifica sostiene una possibilità più audace: che la vita – o almeno i suoi ingredienti fondamentali – possa essere arrivata dallo spazio. È la teoria della panspermia, secondo cui comete, asteroidi o materiale interstellare avrebbero seminato di molecole organiche non solo la Terra, ma potenzialmente molti altri mondi.

Un’ipotesi a lungo ritenuta marginale, quasi fantasiosa. Oggi però sta guadagnando nuova credibilità grazie a dati freschi provenienti da due missioni spaziali – OSIRIS-REx della NASA e Hayabusa2 dell’agenzia spaziale giapponese JAXA – che hanno riportato campioni di asteroidi direttamente sulla Terra. Le analisi mostrano la presenza di sostanze essenziali per la vita, come il carbonio, i sali, l’ammoniaca e diversi amminoacidi.

«È assolutamente plausibile», afferma il dottor Jason Dworkin, scienziato del progetto OSIRIS-REx presso il Goddard Space Flight Center della NASA. «La Terra primordiale ha subito un massiccio bombardamento di materiale».

Non tutti sono sorpresi da questi risultati. Il fisico teorico ed astrobiologo Paul Davies ricorda come negli anni ’70 la panspermia fosse oggetto di scherno. «Quando al tempo fu proposta, tutti risero. Oggi possiamo dire che conteneva un germe di verità».

Come nasce l’idea della panspermia?

La teoria possiede radici antiche, ma divenne popolare negli anni ’70 grazie agli astronomi britannici Fred Hoyle e Chandra Wickramasinghe, autori del libro Diseases from Space. Il testo ipotizzava che perfino alcune malattie, come l’influenza, potessero avere un’origine extraterrestre. La comunità scientifica reagì con forte scetticismo, e Hoyle finì ai margini del dibattito accademico.

Secondo i due studiosi, comete ed asteroidi potevano agire come veri “incubatori” di materia organica, in grado di accumulare composti ricchi di carbonio durante le fasi iniziali del sistema solare.

Durante la loro orbita attorno a una stella, sostenevano, questi corpi avrebbero potuto rilasciare molecole complesse nello spazio, contribuendo ad arricchire i pianeti appena formati con gli ingredienti chimici necessari allo sviluppo della vita.

Un’idea giudicata estrema anche da chi oggi studia seriamente il fenomeno della panspermia. «Sono ancora molto scettico su questo scenario specifico», afferma Paul Davies. Tuttavia, il principio generale – che materiali organici possano essere trasportati nello spazio su comete ed asteroidi – è oggi ampiamente considerato plausibile.

Il meteorite che fece tremare la scienza – e la Casa Bianca

Il dibattito raggiunse una dimensione globale nel 1996, quando un gruppo di ricercatori annunciò di aver identificato possibili microfossili all’interno di un meteorite proveniente da Marte: il celebre Allan Hills 84001, ritrovato in Antartide.

La notizia scatenò un interesse senza precedenti, culminato con un annuncio pubblico dell’allora presidente degli Stati Uniti Bill Clinton, che parlò della possibilità di una scoperta «tra le più sorprendenti dell’Universo».

I presunti microfossili vennero poi smentiti, dato che si trattava probabilmente di strutture formate da processi non biologici.

Tuttavia, il caso ebbe un grande impatto mediatico. Lo stesso Paul Davies ricorda come, poche settimane prima dell’annuncio, avesse suggerito in conferenza la possibilità che potesse avvenire un trasferimento naturale di vita tra Marte e la Terra. «Sono stato ridicolizzato. Poi arrivò Clinton, e tutto cambiò».

L’idea che Marte un tempo possa essere stato un luogo più favorevole della Terra per la crescita della vita non è un’idea campata in aria.

Essendo più piccolo, il pianeta rosso si sarebbe raffreddato prima, rendendolo potenzialmente abitabile già 4 miliardi di anni fa. Oggi sappiamo che tra i 3 e i 4 miliardi di anni fa, Marte era caldo ed umido, con laghi, fiumi e forse oceani.

E abbiamo la certezza che frammenti della sua superficie, espulsi da impatti, sono arrivati sulla Terra. Ad oggi ne sono stati identificati circa 300 tra i meteoriti conosciuti.

Materiale che viaggia tra pianeti e sistemi stellari

Lo scambio di rocce tra pianeti via impatto – un processo chiamato litopanspermia – è considerato possibile, ma piuttosto raro nel nostro sistema solare. Nessun meteorite terrestre proviene da Venere o da Mercurio, ad esempio.

Ma, altrove la situazione potrebbe essere diversa.

Nel 2017, il planetologo Fred Ciesla e il suo team dell’Università di Chicago hanno analizzato il sistema planetario TRAPPIST-1, distante circa 40 anni luce. Qui sette pianeti rocciosi di dimensioni simili alla Terra orbitano estremamente vicini alla loro stella, tanto che tutti rientrerebbero nell’orbita di Mercurio.

Secondo i calcoli del team, la vicinanza dei pianeti renderebbe il passaggio di materiale roccioso da un mondo all’altro 10.000–100.000 volte più rapido rispetto al nostro sistema solare. Il 10% dei detriti espulsi da un pianeta della zona abitabile potrebbe raggiungere un altro pianeta vicino nel giro di appena un secolo.

Uno scenario che aumenta considerevolmente la probabilità di panspermia tra pianeti adiacenti.

Asteroidi e comete: possibili vettori della vita primordiale

Se il trasferimento tra pianeti appare complesso, più probabile è che la vita – o i suoi ingredienti – siano stati portati sulla Terra da asteroidi e comete.

Questi corpi hanno fornito, tra le altre cose, gran parte dell’acqua oggi presente negli oceani terrestri, arrivata dopo il catastrofico impatto che formò la Luna circa 4,5 miliardi di anni fa.

«La Terra si è completamente fusa in seguito all’impatto – spiega Dworkin – e verosimilmente ha perso i materiali organici iniziali. Rocce provenienti dallo spazio potrebbero averli ripristinati».

A rafforzare questa visione contribuiscono i nuovi dati raccolti direttamente sugli asteroidi.

Il ritorno dei campioni

Nel dicembre 2020, la missione giapponese Hayabusa2 ha riportato sulla Terra circa 5 grammi di materiale dell’asteroide Ryugu. Tre anni dopo, nel 2023, la NASA ha fatto lo stesso con oltre 120 grammi di suolo dell’asteroide Bennu, raccolti dalla missione OSIRIS-REx.

Entrambi i campioni mostrano una ricchezza sorprendente di composti organici, che comprendono:

  • Carbonio

  • Ammoniaca

  • Sali

  • Molecole complesse

  • e, nel caso di Bennu, 14 dei 20 amminoacidi fondamentali per le proteine terrestri, oltre ai precursori del DNA e dell’RNA.

Alcune regioni dell’asteroide Bennu mostrano anche segni di antichi flussi d’acqua, che avrebbero lasciato vene e depositi salini. «Immaginateli come residui di fango», spiega Dworkin.

Eppure, nel materiale analizzato, la vita non compare. Le condizioni sull’asteroide progenitore erano probabilmente miti, riscaldate da isotopi radioattivi, ma non sufficienti per innescare la chimica complessa necessaria alla formazione della vita.

«Bennu è una dispensa piena di ingredienti, ma non ci sono le condizioni per fare la torta», sintetizza lo scienziato.

Cosa manca per creare la vita?

La missione OSIRIS-REx ha finora analizzato solo il 14% dei campioni. Il resto verrà conservato per future generazioni di ricercatori, quando nuove tecnologie potrebbero rivelare dettagli oggi impossibili da osservare.

Il messaggio che emerge è però chiaro: avere gli ingredienti non basta. La vita sembra richiedere condizioni precise, forse molto più rare di quanto potessimo immaginare.

La panspermia potrebbe avvenire tra stelle diverse?

La scoperta degli oggetti interstellari “Oumuamua (2018) e della cometa Borisov (2019)” ha riacceso il dibattito. Questi corpi, provenienti da altri sistemi stellari, dimostrano che materiali solidi possono viaggiare nello spazio interstellare.

Ma possono farlo anche i microbi o le molecole organiche complesse?

Secondo Davies, le probabilità che un frammento roccioso percorra anni luce, sopravviva per milioni di anni e poi colpisca un pianeta adatto alla vita sono estremamente basse. È molto più plausibile, che avvenga un trasferimento all’interno dello stesso sistema, dove le distanze sono molto più ridotte.

Tuttavia, alcune specie microbiche terrestri possono restare dormienti molto a lungo, resistendo persino a radiazioni e a condizioni estreme. «C’è del potenziale», ammette Ciesla, «anche se è un’idea ancora poco esplorata».

Le missioni future che potrebbero cambiare tutto 

Per rispondere definitivamente alle domande sulle origini della vita, serviranno nuove missioni. Tra le più promettenti, ci sono:

Una missione che riporti campioni da una cometa, desiderio espresso da Ciesla, dato che le comete si formano nelle regioni più fredde del Sistema Solare, e conservano al loro interno materiale primordiale.

Il rover Perseverance su Marte, che sta raccogliendo campioni che potrebbero contenere tracce di vita antica. Il ritorno sulla Terra è previsto nel prossimo decennio.

La missione Europa Clipper, in arrivo nel 2030 presso la luna ghiacciata di Giove Europa, che ospita al suo interno un vasto oceano sotterraneo dove potrebbero esserci condizioni compatibili con la vita.

Siamo figli di un caso cosmico? 

L’ipotesi che la vita non sia nata sulla Terra diventa sempre più plausibile. E porta con sé interrogativi, quali:

  • Siamo il risultato di un impatto fortunato avvenuto miliardi di anni fa?

  • La vita potrebbe essere comune nell’universo e diffondersi come un processo naturale, o rappresentiamo semplicemente l’eccezione di una lunga catena di eventi improbabili?

Per ora non abbiamo risposte definitive. «Dobbiamo accettare che non sappiamo davvero dove sia iniziata la vita», conclude Davies. «Ed è del tutto possibile che non sia iniziata sulla Terra».

Nata e cresciuta a Rosignano Solvay , appassionata da sempre per tutto quello che ruota intorno al benessere della persona.Biologa, diplomata all'I.T.I.S Mattei