Perché ci sentiamo vuoti? Alan Watts e il lato nascosto della società moderna

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«La società si considera libera solo perché non riesce a scorgere le catene che lei stessa ha creato», affermava Alan Watts in uno dei suoi interventi più incisivi.

Attraverso questa frase sosteneva l’idea che nella realtà contemporanea esista una sorta di inganno diffuso, un velo sottile capace di mascherare la vera natura dell’essere umano e di alimentare una crescente insoddisfazione interiore.

Questo lo si denota soprattutto dal fatto che, nonostante i progressi tecnologici e l’apparente benessere materiale, molti individui sperimentano sentimenti di vuoto, alienazione e disconnessione.

Le principali organizzazioni internazionali registrano da anni un aumento costante dei disturbi legati alla salute mentale, un dato che difficilmente può essere considerato una semplice coincidenza. Piuttosto, sembra essere la conseguenza di un modello sociale che ha progressivamente smarrito la propria rotta.

Alan Watts: il ponte tra due mondi

Alan Watts nacque nel 1915 a Chislehurst, vicino Londra. Fin dall’infanzia mostrò un vivo interesse per il mistero, la spiritualità e la filosofia. Nonostante la sua famiglia fosse tradizionale, la curiosità lo spinse a esplorare territori culturali poco convenzionali, come le dottrine orientali.

Da giovanissimo entrò in contatto con il Buddhismo e con lo Zen, rimanendo affascinato dal loro modo di affrontare temi legati alla mente, alla percezione e all’imperfezione umana.

Negli anni cinquanta e sessanta — un periodo segnato da grandi trasformazioni sociali, dalle lotte per i diritti civili, fino alle critiche ai modelli di vita standardizzati — il pensiero di Watts trovò un terreno fertile.

Definirlo un semplice professore o saggista sarebbe riduttivo. Watts rappresentava un vero ponte tra due visioni dell’esistenza: da un lato quella occidentale, fondata su logica, efficienza e profitto, e dall’altro quella orientale, che privilegia la consapevolezza, l’esperienza diretta e l’armonia con il mondo naturale.

Il contesto storico: tra ricostruzione e nuove illusioni

Il dopoguerra fu un periodo di grande crescita economica per il mondo occidentale. Le città si riempirono di automobili, fabbriche, ed uffici. La televisione e i mass media iniziarono a plasmare i desideri e le abitudini di milioni di persone, spingendo forzatamente verso l’idea di un successo basato sul consumo, sulla carriera e sulla stabilità finanziaria.

Allo stesso tempo, la guerra fredda alimentava tensioni geopolitiche che favorivano lo sviluppo di tecnologie sempre più avanzate. L’individuo veniva così, incoraggiato a correre per “stare al passo”, adattandosi a modelli di realizzazione personale sempre più rigidi e standardizzati.

In questo scenario frenetico, mentre i ritmi naturali e la dimensione interiore passavano in secondo piano, Watts iniziò a mettere in luce alcune fragilità profonde del modello occidentale. Dietro la facciata del benessere materiale, sosteneva, si stava formando una crisi esistenziale diffusa.

L’inganno della modernità: strumenti che diventano padroni

Secondo Watts, una delle più grandi illusioni contemporanee è la convinzione che il denaro, il lavoro e i beni materiali possano definire il valore di una vita. Strumenti nati per semplificare l’esistenza si sono trasformati nel tempo in padroni della quotidianità.

La società moderna invita a inseguire obiettivi spesso indefiniti, a competere per status e riconoscimento, e a ricercare una perfezione quasi irraggiungibile. A prima vista, questo percorso sembra offrire sicurezza; in realtà, produce un senso di vuoto e una profonda disconnessione da ciò che conta davvero.

Watts spiegava questo, ricorrendo spesso a un concetto centrale delle filosofie orientali: il pericolo di “scambiare la mappa per il territorio”.

La mappa, spiegava, è l’insieme delle idee, dei simboli e delle etichette con cui interpretiamo il mondo, e sono rappresentate dal prestigio sociale, la carriera e i risultati raggiunti.

Il territorio, invece, è la vita reale, fatta di relazioni autentiche, emozioni ed esperienze quotidiane. Quando si confonde la mappa con il territorio, si finisce per credere che questi simboli rappresentino veramente ciò che siamo. Ed ecco che le persone finiscono per identificarsi con i propri beni materiali, il proprio lavoro e il proprio successo.

Ma il rischio, continua Watts, è quello di vivere inseguendo immagini astratte di successo, perdendo il contatto con la dimensione più vera ed immediata dell’esistenza. Watts invitava a ricordare che i concetti non sostituiscono la realtà: servono a orientarsi, ma non devono diventare la meta.

E se succede questo, le conseguenze sono evidenti: un aumento dell’alienazione, una competizione costante, e la difficoltà nel costruire legami autentici.

Produttività senza fine e burnout: la corsa frenetica che logora

Una delle dinamiche più rilevate da Watts è la corsa infinita verso un futuro sempre più veloce. «L’essere umano è come un corridore che vede sempre il traguardo un passo più in là», affermava. In questa condizione, il presente viene sacrificato in nome di obiettivi che cambiano di continuo.

Numerosi studi moderni confermano questa intuizione: l’esaurimento nervoso colpisce una porzione sempre più crescente della popolazione attiva, generando stanchezza emotiva, apatia e perdita di senso. Il tempo libero si restringe, mentre le scadenze e gli impegni riempiono ogni spazio mentale.

Il paradosso è evidente: si lavora di più nella speranza di ottenere una gratificazione futura, ma la gratificazione continua a spostarsi, diventando irraggiungibile.

La solitudine nell’era delle connessioni infinite

Un altro elemento centrale del pensiero di Watts riguarda la solitudine. Nonostante le tecnologie permettano di comunicare in ogni momento, le relazioni profonde non aumentano necessariamente. L’eccesso di interazioni superficiali può addirittura generare un senso di isolamento maggiore.

Watts paragonava l’essere umano a un’onda dell’oceano: singola, ma inseparabile dal tutto. Quando si persegue un individualismo esasperato, si perde questa consapevolezza e si alimenta un vuoto che nessun bene materiale può colmare.

Paura dell’incertezza e ossessione del controllo

Nelle società occidentali viene spesso insegnato che l’imprevisto sia un nemico da evitare. Di conseguenza, si sviluppano strategie elaborate per controllare ogni aspetto della vita: dal lavoro alle finanze, dalle relazioni alla gestione del tempo.

Ma, come ripeteva Watts, «tentare di controllare la vita è come cercare di afferrare l’acqua con le mani: più stringi, e più ti sfugge». L’ansia da prestazione e il timore di fallire derivano proprio da questa lotta costante contro l’imprevedibilità.

La rottura del legame con la natura

Un ulteriore punto critico riguarda il distacco dal mondo naturale. Le città, lo stile di vita urbano e la dipendenza dalla tecnologia hanno reso la natura un elemento esterno, quasi decorativo.

Eppure, ricordava Watts, allontanarsi dalla natura significa allontanarsi anche da una parte fondamentale della propria identità. Ritrovare un contatto diretto con l’ambiente significa ristabilire un equilibrio profondo.

Frenesia e distrazione: ostacoli alla consapevolezza

Secondo Watts, la frenesia quotidiana è uno dei motivi principali che impediscono di riconoscere l’inganno della modernità. Gli impegni si susseguono senza pausa, e la mente corre da un obiettivo all’altro. È come viaggiare su un treno in corsa: il paesaggio esterno esiste, ma lo si vede solo di sfuggita.

In questo contesto, le pratiche legate alla presenza mentale — come la meditazione, il respiro consapevole o anche solo il silenzio — diventano strumenti indispensabili per ritrovare un contatto autentico con il presente.

Relazioni, comunità e il valore dei legami

Watts sottolineava inoltre, l’importanza della connessione umana. Una società fondata sulla competizione tende a generare isolamento, mentre una società fondata sulla cooperazione produce invece un senso di completezza e sostegno reciproco.

Condividere emozioni, paure e progetti senza timore di essere giudicati rafforza il senso di appartenenza e contribuisce a scardinare l’illusione dell’individualismo estremo.

Il cambiamento come processo quotidiano

L’eredità di Alan Watts non consiste in un insieme di regole, ma in un invito costante a mettere in discussione i paradigmi della modernità. Il cambiamento, sottolineava, non avviene attraverso imposizioni dall’alto, ma attraverso piccole scelte quotidiane: un gesto gentile, un momento di gratitudine, o una pausa consapevole.

«Il mistero della vita non è un problema da risolvere, ma una realtà da sperimentare», diceva Watts.

Scomparso nel 1973, Alan Watts continua oggi a parlare attraverso i suoi libri, le sue registrazioni e le sue conferenze, offrendo a molti, strumenti per comprendere appieno la complessità del presente e per ritrovare una verità più profonda.

Nata e cresciuta a Rosignano Solvay , appassionata da sempre per tutto quello che ruota intorno al benessere della persona.Biologa, diplomata all'I.T.I.S Mattei