Le sei virtù condivise da tutte le culture: Un modello etico universale.

virtù e felicità

L’idea di virtù accompagna il pensiero umano da millenni. Fin dall’antichità, filosofi, maestri spirituali e studiosi hanno cercato di capire quali qualità rendano effettivamente una vita equilibrata e socialmente armoniosa.

E questo non si limita esclusivamente alle scuole greco-romane: secondo il filosofo Massimo Pigliucci, tutte le grandi tradizioni etiche del mondo condividono tra loro valori sorprendentemente molto simili.

Ogni tradizione le chiama in modo diverso, ma il significato resta invariato: sono le competenze morali che aiutano l’essere umano a ragionare meglio, a gestire le emozioni, a costruire relazioni positive e a trovare un senso più profondo nella propria esistenza.

I filosofi dell’antichità le consideravano la base per una vita felice. Le religioni orientali le interpretavano come passi necessari verso la saggezza o l’illuminazione, mentre le tradizioni occidentali, le hanno trasformate in principi etici centrali per la vita comunitaria.

In altre parole, le culture del mondo sembrano aver riconosciuto, indipendentemente l’una dall’altra, che certe disposizioni del carattere favoriscono una società più equilibrata e relazioni più stabili. E quando la società funziona meglio, anche la vita dei singoli ne trae beneficio.

Il significato originale di virtù

Oggi il termine “virtù” evoca un’immagine austera, legata a concetti morali di stampo cristiano come la castità o la purezza. In realtà, in antichità, la virtù aveva una valenza molto più ricca ed ampia.

La parola deriva dal latino vir, traduzione del greco areté. Areté indicava l’eccellenza, nel senso più generale: la capacità di qualcosa – o qualcuno – di svolgere pienamente la propria funzione.

Per Aristotele e per gli stoici, la funzione propria dell’essere umano era l’uso della ragione e la capacità di vivere in armonia con gli altri. Le virtù erano dunque le qualità che permettevano di esercitare al meglio ciò che ci rende umani.

Le quattro virtù cardinali: il cuore dell’etica platonica

Nella Repubblica, Platone individua quattro virtù fondamentali, considerate per secoli la struttura portante dell’etica occidentale. Non si tratta solo di qualità del carattere: per Platone sono le componenti necessarie affinché l’individuo e la comunità funzionino in modo armonioso.

Queste virtù, sono denominate cardinali, perché costituiscono i “cardini” dell’agire umano, e sono state riprese nel Dizionario di Platone curato da Morris Stockhammer (1965) e continuano ancora oggi a essere punti di riferimento nei dibattiti filosofici ed educativi.

Phronêsis – Saggezza pratica o Prudenza 

La phronêsis è forse la virtù più importante nell’intero sistema platonico. Indica la capacità di giudicare correttamente, distinguendo ciò che è bene, da ciò che è male in ogni circostanza. Non si tratta di saggezza teorica, bensì di sapere pratico, in quanto riguarda le scelte che facciamo durante la vita quotidiana.

Per Platone, padroneggiare la prudenza significa essere in grado di orientare la propria esistenza verso ciò che favorisce la felicità umana (eudaimonia).

È la virtù che guida tutte le altre, poiché permette di valutare attentamente le conseguenze delle proprie azioni, di prevedere i rischi e di prendere decisioni equilibrate. Una persona prudente non agisce mai d’impulso, ma con consapevolezza, pesando attentamente motivazioni, emozioni e valori in gioco.

Dikaiosynê – Giustizia 

La giustizia, nella visione platonica, non è solo il rispetto delle leggi, ma rappresenta uno stato interiore dell’anima: una disposizione interiore che spinge ciascuno a trattare gli altri con equità, riconoscendo a ognuno il rispetto, l’attenzione e i diritti che merita.

Per questo Platone collega la giustizia all’armonia sociale: quando ognuno agisce secondo il proprio ruolo e con equità, la comunità diventa stabile, coesa e capace di prosperare. L’uomo giusto non compie azioni corrette per convenienza, ma perché sente la necessità morale di farlo.

Questa virtù è essenziale anche per mantenere l’equilibrio interiore. Un individuo ingiusto è, per Platone, dominato da conflitti interiori, mentre al contrario, chi coltiva la giustizia vive in una condizione di completa ordine e serenità.

Sôphrosynê – Temperanza 

La sôphrosynê è la virtù della moderazione. Per i greci rappresenta la capacità di gestire desideri, emozioni e piaceri senza negarli, ma mantenendoli in costante equilibrio, così da non influenzare eccessivamente le proprie scelte.

Platone la descrive come la capacità di scegliere con cautela, evitando gli eccessi tanto nel piacere quanto nel dolore. Una persona temperata sa riconoscere i propri limiti, è in grado di controllare le proprie passioni, ed è in grado di mantenere un comportamento equilibrato anche nelle situazioni che richiedono autocontrollo.

È una virtù che aiuta particolarmente nella società moderna: oggi potremmo associarla alla capacità di gestire lo stress, di controllare le reazioni impulsive o di trovare un equilibrio tra doveri e piaceri. Per Platone è indispensabile per vivere in modo armonioso, con sé stessi e con gli altri.

Andreia – Fortezza o Coraggio 

L’andreia è la virtù che permette di affrontare ciò che è temibile senza lasciarsi paralizzare dalla paura. Non è temerarietà, né impulsività, ma è la capacità di rimanere lucidi e saldi di fronte alla minaccia, all’incertezza o al dolore.

Platone la considera una forma di autocontrollo dell’anima: il coraggio è l’abilità di mantenere un giudizio — ciò che la ragione ha individuato come giusto — anche quando la paura spingerebbe nella direzione opposta.

Questa virtù include:

  • l’audacia nell’obbedire alla saggezza;

  • la fermezza nel perseguire il bene;

  • la capacità di affrontare persino la morte con dignità.

È la virtù dei soldati, ma anche di chi difende i propri valori nella vita quotidiana. Per Platone, senza coraggio non è possibile mettere in pratica la giustizia, né sostenere le altre virtù quando vengono messe alla prova.

Le virtù condivise dall’umanità

Uno degli aspetti più sorprendenti evidenziati da Massimo Pigliucci riguarda la straordinaria convergenza di tradizioni culturali profondamente diverse tra loro. Sebbene si siano sviluppate in epoche lontane, con lingue, miti e strutture sociali non sovrapponibili, molte di queste culture condividono un nucleo comune di valori.

Questa intuizione è stata confermata anche da un’analisi sistematica condotta dai ricercatori Katherine Dahlsgaard, Christopher Peterson e Martin Seligman, che hanno esaminato testi e insegnamenti provenienti da otto grandi sistemi etici e religiosi, quali: Confucianesimo, Taoismo, Buddismo, Induismo, filosofie greco-romane, Cristianesimo, Ebraismo ed Islam.

L’obiettivo dello studio era quello di individuare le qualità umane considerate moralmente desiderabili attraverso la storia e in diverse regioni del mondo.

Il loro studio, pubblicato nel 2005 sulla Review of General Psychology, rivela un risultato sorprendente: nonostante le differenze culturali, tutte queste tradizioni riconoscono un insieme ricorrente di sei virtù fondamentali.

Le prime quattro coincidono con le virtù cardinali della filosofia greca, mentre le ultime due si aggiungono come elementi complementari, a conferma di un patrimonio morale condiviso dall’intera umanità.

Ecco le altre due:

Umanità 

Comprende le qualità interpersonali che favoriscono la cura e l’amicizia, come l’amore, la gentilezza, e la compassione. È ciò che permette di riconoscere nell’altro una persona simile a noi.

Trascendenza 

Indica quei fattori che collegano l’individuo a qualcosa di più grande, come la gratitudine, la speranza, la spiritualità, e la meraviglia. È l’insieme delle disposizioni che danno significato all’esistenza.

Le tradizioni greco-romane conoscevano appieno entrambe le categorie, pur senza identificarle formalmente come virtù. Il cosmopolitismo stoico, ad esempio, invitava a considerare ogni essere umano come a un familiare, o ad un amico, mentre l’idea della Provvidenza esprimeva la consapevolezza di far parte di un ordine cosmico più ampio.

Perché queste virtù esistono in tutte le culture?

Secondo Massimo Pigliucci, il motivo per cui queste virtù ricorrono in culture così diverse è sorprendentemente semplice: l’essere umano è, prima di tutto, un animale sociale.

La nostra specie non prospera nella solitudine, ma abbiamo bisogno di vivere in gruppo, di instaurare relazioni armoniose, di costruire fiducia reciproca e di cooperare per raggiungere obiettivi comuni. Senza queste condizioni, nessuna comunità potrebbe durare a lungo e nessun individuo potrebbe realizzare pienamente il proprio potenziale.

In quest’ottica, le virtù fondamentali possono essere interpretate come le disposizioni del carattere che, nel corso della storia, hanno permesso alle società di prosperare al massimo delle sue potenzialità.

Non è un caso, infatti, che tradizioni culturali lontanissime tra loro hanno finito per attribuire valore agli stessi comportamenti.

È come se avessero decodificato un linguaggio morale comune, capace di facilitare la cooperazione tra individui e di rendere più stabile la vita collettiva. Questo linguaggio non è fatto di regole rigide o prescrizioni dogmatiche, ma di inclinazioni del carattere che orientano spontaneamente verso comportamenti vantaggiosi per tutti.

Le virtù come bussola morale

Nella vita quotidiana queste sei virtù possono diventare una guida semplice da seguire. Pigliucci propone un criterio pratico: prima di prendere una decisione rilevante, occorre chiedersi se l’azione che stiamo per intraprendere è giusta, temperata e coraggiosa, e se rispetta i principi dell’umanità e della trascendenza.

Se la risposta è positiva, l’azione è probabilmente allineata ai valori che favoriscono una buona convivenza. Se la risposta è negativa, vale la pena fermarsi e riflettere meglio sul da farsi.

Un esempio per capire meglio

Pigliucci propone una caso tipico: immagina di entrare in ufficio e vedere il proprio capo molestare un collega. Bisogna intervenire o dobbiamo fare finta di nulla?

Le sei virtù indicano chiaramente cosa fare:

  • Saggezza pratica: intervenire significa aiutare il collega e proteggere un ambiente di lavoro sano.

  • Coraggio: l’azione richiede forza, perché potrebbero esserci ritorsioni.

  • Giustizia: La molestia è una violazione evidente dell’equità e della dignità.

  • Temperanza: L’intervento può essere deciso, ma non violento.

  • Umanità: La difesa del collega esprime gentilezza e cura.

  • Trascendenza: Il gesto dà la sensazione di partecipare a qualcosa di più grande del semplice interesse personale.

Agire secondo queste virtù non garantisce che tutto andrà per il meglio, ma offre un orientamento morale forte e condivisibile.

Conclusione

Le virtù non sono tratti innati, ma si sviluppano con la pratica, l’esperienza e l’attenzione costante al proprio comportamento. Ogni situazione quotidiana può diventare un’occasione per affinarle meglio.

Se sei prudente, temperato, giusto, coraggioso, umano e capace di connetterti a qualcosa di più grande, contribuisci non solo al tuo benessere personale, ma anche a quello dell’intera comunità.

Nata e cresciuta a Rosignano Solvay , appassionata da sempre per tutto quello che ruota intorno al benessere della persona.Biologa, diplomata all'I.T.I.S Mattei