L’illusione della geoingegneria: la falsa promessa che potrebbe distruggere il pianeta

È una corsa contro il tempo. I ghiacci dell’Artico e dell’Antartide si stanno sciogliendo a una velocità che pochi decenni fa sarebbe sembrata impensabile.
E davanti a questo scenario, sempre più voci si alzano per proporre soluzioni tecnologiche estreme, come i progetti di geoingegneria polare capaci, almeno sulla carta, di fermare la fusione dei ghiacci. Ma davvero l’uomo è in grado di “aggiustare” il clima con macchine, e barriere sottomarine?
Un nuovo e autorevole studio pubblicato su Frontiers in Science risponde chiaramente, che non è possibile. Le soluzioni miracolose che promettono di “salvare il Polo” rischiano invece di peggiorare la situazione, e di trascinarci in una spirale di costi, rischi e disastri ecologici veramente immensi.
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ToggleUn verdetto netto da parte della comunità scientifica
La ricerca, guidata da Martin Siegert dell’Università di Exeter e condotta da 46 scienziati di sei continenti, ha analizzato cinque tra i principali progetti di geoingegneria proposti per le regioni polari. Tra questi, ci sono esperimenti che vanno:
dall’irrorazione di aerosol nella stratosfera per riflettere la luce solare,
alla costruzione di barriere marine per bloccare le correnti calde,
fino all’uso di microsfere di vetro per rendere il ghiaccio più riflettente.
L’esito? Nessuna delle idee analizzate è risultata né praticabile né sicura. Come si legge nell’abstract dello studio: “I concetti proposti sono pericolosi per l’ambiente e non fattibili”.
Soluzioni che costano troppo, funzionano poco e rischiano moltissimo
Il primo esempio analizzato è quello dell’iniezione di aerosol stratosferico. L’idea è di spruzzare particelle nell’alta atmosfera per riflettere la luce solare, imitando gli effetti di un’eruzione vulcanica. Sembra plausibile, vero? Ma c’è un piccolo problema: durante l’inverno polare non c’è luce solare da riflettere!
Oltre a questo, servirebbero circa 60.000 voli all’anno, con costi operativi enormi e un impatto ambientale da capogiro. Insomma, un rimedio peggiore del male.
Un’altra proposta prevede la creazione di “cortine marine” sottomarine per impedire all’acqua calda di sciogliere i ghiacciai antartici. Affascinante sulla carta, impossibile nella realtà.
Costi stimati? 80 miliardi di dollari solo per un tratto di 80 chilometri, senza contare che le acque antartiche sono tra le più inospitali del pianeta. Basti pensare che oltre la metà delle missioni scientifiche nella zona ha subito interruzioni a causa del ghiaccio marino.
E poi ci sono le idee più bizzarre, come quella di spargere perle di vetro sull’Artico per aumentarne la riflettività. Una sorta di “coperta lucente” per il ghiaccio. Peccato che, secondo i calcoli, servirebbero 360 milioni di tonnellate di microsfere ogni anno!
Un progetto, chiamato Arctic Ice Project, è stato addirittura sospeso dopo che test ecotossicologici hanno dimostrato rischi per la rete alimentare artica.
Quando il rimedio diventa più pericoloso della malattia
Gli scienziati non si limitano a dire che questi interventi sono costosi e complessi. Il punto è che potrebbero causare danni irreversibili. L’aggiunta di materiali estranei agli ecosistemi, le modifiche alle correnti marine o ai cicli atmosferici sono manovre di cui non conosciamo gli effetti a lungo termine.
E poi c’è il pericolo dello “shock da interruzione”: se un giorno questi interventi dovessero essere fermati, la Terra subirebbe un rapido e violento aumento delle temperature, perché i gas serra continuerebbero ad accumularsi. Un po’ come togliere improvvisamente il ghiaccio a un corpo febbricitante: il calore si espanderebbe in modo vertiginoso.
Oltre la scienza: gli ostacoli politici e legali
Anche ammesso che fosse tecnicamente possibile, chi dovrebbe autorizzare interventi così invasivi? L’Antartide è protetta da un sistema di trattati internazionali che richiede il consenso di decine di paesi. Finora, nessuno ha mai approvato progetti di simile portata.
L’ultimo Consiglio consultivo del Trattato Antartico ha espresso una posizione netta e chiara: nessuna forma di geoingegneria deve essere applicata in assenza di prove certe sulla sua sicurezza ambientale.
Nell’Artico, la questione è ancora più complessa: otto nazioni si dividono la giurisdizione della regione, tra cui la Russia. In un contesto geopolitico già teso, immaginare un’azione coordinata è quasi un’utopia.
E non bisogna dimenticare le comunità indigene, che da millenni vivono in equilibrio con gli ecosistemi polari e che si oppongono fortemente a interventi artificiali di questo tipo.
Il nodo economico: cifre astronomiche e risultati incerti
Oltre ai rischi ambientali, i costi sarebbero proibitivi. Gli scienziati stimano centinaia di miliardi di dollari solo per avviare i progetti, senza contare le spese di manutenzione che durerebbero secoli. E per cosa? Per ottenere benefici temporanei e incerti.
Inoltre, questi interventi aprirebbero un mare di problemi legali e assicurativi: chi pagherebbe i danni in caso di conseguenze transnazionali? Come si risarcirebbero i paesi colpiti da effetti collaterali?
Non sorprende, allora, che il team di ricerca abbia individuato un pericoloso parallelo: alcune compagnie petrolifere finanziano studi sulla geoingegneria, proprio mentre continuano a estrarre combustibili fossili.
È la stessa logica con cui, in passato, le aziende del tabacco promuovevano le sigarette “con filtro”, dando l’illusione al consumatore di un rischio minore per la salute al fine di non provocare una cessazione del loro utilizzo.
Le vere soluzioni esistono già
E allora, cosa si può fare davvero? Gli scienziati non lasciano spazio a dubbi: occorre decarbonizzare rapidamente le economie mondiali, oltre ad investire nelle energie rinnovabili e proteggere le aree polari.
Secondo i modelli climatici citati nello studio:
le attuali politiche climatiche, se pienamente attuate, offrono circa una possibilità su cinque di contenere il riscaldamento entro 1,5 °C;
rafforzandole, le probabilità salgono a quattro su cinque di restare sotto i 2 °C.
Attraverso una decarbonizzazione ambiziosa, le temperature globali potrebbero stabilizzarsi entro 20 anni dal raggiungimento delle emissioni nette zero.
In questo scenario, il contributo dell’Antartide all’innalzamento del mare sarebbe limitato a soli 6 cm entro il 2070, contro i 27 cm previsti se le emissioni restassero invariate come ad oggi.
Occorre guardare avanti con realismo e responsabilità
In fondo, la conclusione del team è semplice: invece di sognare tecnologie che “aggiustino” il pianeta dall’alto, dovremmo affrontare le cause del problema qui, e subito. La geoingegneria è un’illusione pericolosa, in quanto promette una scorciatoia che non esiste.
Serve un approccio sistemico, umano, e cooperativo. Serve fidarsi della scienza, ma anche della prudenza. E forse è proprio questa la lezione più importante da portare a casa: la Terra non va “aggiustata”, ma rispettata.














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