Immigrazione in Italia: oltre gli schieramenti, tra numeri, realtà e prospettive future

In Italia, parlare di immigrazione significa troppo spesso parlare di politica. Questioni come sicurezza, lavoro, accoglienza o cittadinanza diventano così, facilmente terreno di scontro ideologico, più che oggetto di un confronto basato su dati e soluzioni concrete.
Se restringiamo lo sguardo solo a una mera questione ideologica, rischiamo di perdere il quadro complessivo, e – cosa peggiore – rischiamo di provocare danni sociali.
La domanda che dovremmo porci è: che tipo di immigrazione può essere utile e sostenibile per il nostro paese? Perché sì: l’immigrazione può essere una risorsa, ma può anche essere un problema, se mal gestita.
INDICE DEI CONTENUTI
ToggleUn quadro demografico ed economico
L’Italia è oggi uno dei paesi più anziani d’Europa: il 24% della popolazione ha più di 65 anni, mentre la natalità è ai minimi storici. Allo stesso tempo, diversi settori – agricoltura, sanità, logistica, turismo – soffrono una carenza cronica di manodopera.
Per questo, l’immigrazione non può essere vista solo come un “problema da gestire”, ma come una leva economica da governare con equilibrio e lungimiranza.
Immigrazione e criminalità
Spesso, quando si affronta il tema dell’immigrazione, esso viene ridotto solo a una questione di sicurezza pubblica.
Si tende infatti ad associare gli stranieri a un aumento della criminalità, sostenendo che, a fronte di una popolazione straniera pari a circa il 9% del totale, la loro incidenza nei reati sarebbe proporzionalmente più elevata.
Tuttavia, l’immigrazione, se non gestita in modo efficace, può avere ripercussioni ben più ampie, incidendo in modo significativo anche sul tessuto economico e sociale del paese.
ECCO UN PO’ DI DATI
Secondo l’ansia.it nel 2024 in Italia sono state denunciate o arrestate 828.714 persone di cui 287.396 stranieri. Nel complesso, gli stranieri rappresentano oltre un terzo dei segnalati, ma l’incidenza è quasi doppia (supera il 60%) per alcuni reati predatori come furti con destrezza, furti con strappo e rapine.
Secondo i dati instat del 2023: ci sono stati 334 omicidi in Italia, in cui gli stranieri erano responsabili nel 32% dei casi.
Al 30 giugno 2024, secondo il sito del ministero della giustizia, i detenuti nelle carceri erano circa 61.480, di cui 19.213 stranieri, pari al 31,2% della popolazione carceraria.
ECCO LE CAUSE
Perché, statistica alla mano, gli stranieri mostrano tassi più elevati di criminalità? Non perché siano “cattivi per definizione”, ma per ragioni sistemiche.
Ecco le cause principali:
MANCANZA DI LAVORO → SOPRAVVIVENZA → REATO. Quando una persona non trova un impiego legale, dignitoso, e stabile, l’attenzione si rivolge maggiormente al lavoro nero e all’illegalità.
MANCANZA DI IDENTITÀ → MARGINALITÀ → REATO. Essere senza radici, lingua o legami, è un fattore di fragilità sociale.
MANCANZA DI INTEGRAZIONE → FRUSTRAZIONE → REATO. L’integrazione non rappresenta un “optional”. Senza accesso alla lingua, alla cultura civica, e al lavoro regolamentato, la frustrazione può alimentare comportamenti antisociali e devianti.
Ecco le conseguenze
E qui arriviamo al punto fondamentale che molti vogliono EVITARE di capire: conoscere le cause non significa annullare la responsabilità delle conseguenze.
Magari, possiamo dire che se fossimo nella loro stessa situazione, molto probabilmente ci comporteremmo allo stesso modo, ma questo non cambia la gravità di ciò, che sta accadendo in Italia.
Non cambia il fatto che ci sono interi quartieri, città, e comunità che vivono con più insicurezza, degrado, e criminalità. NON possiamo ignorarlo.
Quindi, sì: gli stranieri – in particolare coloro che sono irregolari e messi ai margini – possono rappresentare un pericolo per la coesione sociale, se il modello d’accoglienza non funziona.
Occorre rimodulare completamente il modello dell’immigrazione. Non basta “accogliere” e basta, e non basta “chiudere” e basta.
Destra e sinistra: entrambi sbagliano!
La sinistra accoglie senza realmente integrare
Per decenni, la sinistra ha difeso il principio dell’accoglienza come un valore assoluto. Il loro mantra recitava questo: accogliere, aiutare, e offrire asilo. Tutto giusto sul piano umano e morale, ma la storia recente mostra che accogliere senza integrare non solo non funziona, ma rischia di essere addirittura disumano.
Molti migranti arrivano, vengono registrati, e poi abbandonati a sé stessi. Nessun percorso di formazione linguistica strutturato, nessun tutoraggio civico, e nessuna prospettiva di lavoro reale… solo mesi – a volte anni – passati in centri d’accoglienza sovraffollati o in periferie dimenticate.
Questa mancanza di progettualità è alla base del problema odierno, perché dietro l’intenzione nobile di “fare del bene”, si finisce col creare esclusione e miseria.
E così, molti stranieri si ritrovano nella situazione più crudele possibile: né integrati, né respinti, e sospesi in un limbo sociale dove la sopravvivenza è l’unico obiettivo. Da lì al lavoro nero o al piccolo crimine, il passo può essere breve. Non per natura, ma per necessità!
La destra chiude “senza pianificare”
All’estremo opposto c’è la destra, che tende a enfatizzare il controllo dei confini e la sicurezza come risposta principale. “Blocchiamo gli sbarchi”, “Difendiamo i confini”, “Prima gli italiani”.
La realtà, però, dimostra che senza accordi bilaterali ben definiti con i paesi d’origine, senza vie legali d’ingresso e senza una politica del lavoro chiara, la chiusura resta solo uno slogan privo di efficacia.
In più, il mondo non è statico: guerre, disastri climatici e povertà estrema continueranno a generare flussi migratori. Bloccarli del tutto è impossibile.
Serve quindi una visione che non si limiti a dire “no”, ma che costruisca alternative reali. Su questo fronte, la destra italiana ha finora mostrato una scarsa capacità di pianificazione a lungo termine.
La terza via: Basta copiare quelle realtà che funzionano davvero!
Prima di riformare il nostro sistema, è utile guardare ai modelli di altri paesi che hanno saputo conciliare accoglienza, sicurezza e sviluppo economico.
Canada – Il modello a punti e il progetto di vita
Il sistema canadese si fonda su un meccanismo di selezione trasparente e meritocratico: ogni candidato all’immigrazione riceve un punteggio basato su istruzione, conoscenza delle lingue ufficiali (inglese e francese), esperienze lavorative, età e capacità di adattamento.
Solo e DICO SOLO chi raggiunge la soglia minima ottiene l’ingresso. Questo metodo, oltre a garantire che ogni nuovo arrivato contribuisca alla crescita economica, permette di allineare i flussi migratori alle reali esigenze del mercato del lavoro.
Ogni progetto di ingresso è quindi legato a un piano di vita concreto: lavoro, integrazione e contributo alla società canadese. Lo stato, a sua volta, offre percorsi di orientamento e formazione per facilitare l’inserimento e prevenire marginalizzazione o lavoro sommerso.
Australia – Accoglienza selettiva e integrazione strutturata
L’Australia adotta una politica migratoria selettiva e fortemente basata su due pilastri fondamentali: competenza e integrazione.
Il paese privilegia l’ingresso di lavoratori qualificati e studenti con prospettive professionali, mentre pone limiti rigorosi ai flussi non programmati.
Ai nuovi arrivati vengono offerti corsi obbligatori di lingua inglese e programmi di educazione civica per comprendere valori, diritti e doveri del sistema australiano.
L’obiettivo è chiaro: costruire una comunità coesa in cui l’immigrazione rafforzi – e non metta in tensione – il tessuto sociale ed economico del paese.
Percorsi di cittadinanza ben definiti, controlli costanti e un forte legame tra ingresso e impiego rendono il modello australiano uno dei più stabili al mondo.
Giappone – Ingressi limitati, e integrazione profonda
Il Giappone rappresenta l’opposto dei modelli occidentali: pochissimi ingressi, ma un forte investimento umano e culturale per chi riesce ad entrare.
Le autorità giapponesi accettano un numero molto contenuto di migranti, concentrandosi su profili altamente qualificati o su categorie specifiche (assistenza, tecnologia, ricerca).
Una volta ammessi, i migranti ricevono un intenso supporto linguistico e professionale, accompagnato da iniziative di inclusione sociale promosse da enti locali e imprese. La logica non è quella del numero, ma della qualità dell’inserimento: ogni nuovo cittadino deve poter diventare parte integrante del tessuto nazionale, con diritti e doveri condivisi.
Svezia: dall’apertura totale alla svolta pragmatica
Per decenni la Svezia è stata il simbolo dell’accoglienza incondizionata, accettando un numero di richiedenti asilo tra i più alti in europa in rapporto alla popolazione.
Tuttavia, a partire dal 2015 il sistema di welfare e i servizi pubblici hanno cominciato a mostrare segni di cedimento: aumento della disoccupazione tra i nuovi arrivati, difficoltà di integrazione linguistica e culturale, nonché la nascita di quartieri segregati nelle grandi città come Malmö, Göteborg e Stoccolma.
I rapporti della polizia e delle agenzie sociali hanno evidenziato un incremento dei reati giovanili e della criminalità organizzata legata a reti etniche.
Di fronte a questa realtà, anche i socialdemocratici – storicamente fautori di politiche di apertura – si sono sentiti obbligati a rivedere le loro posizioni, introducendo controlli più severi, requisiti di integrazione e limiti all’asilo.
Oggi la politica migratoria svedese si fonda su un principio di responsabilità sostenibile: accogliere chi può realmente integrarsi, garantendo al tempo stesso sicurezza e coesione sociale.
Non si tratta di una svolta ideologica, ma di una scelta dettata dall’esperienza: la consapevolezza che un modello inclusivo funziona solo se equilibrato, gestito e condiviso da tutta la società.
FONTE ATTENDIBILE
Le tre tipologie di migrazione
Gli “immigrati” non rappresentano una categoria unica. Dietro quella parola si nascondono storie, percorsi, speranze e livelli di integrazione profondamente differenti. Per capire davvero cosa sta accadendo in Italia, bisogna distinguere gli immigrati in tre profili:
Tre profili, tre destini
Ecco uno schema utile per comprendere le differenze fondamentali:
| Tipo | Come arrivano | Integrazione probabile | Effetto sulla società |
|---|---|---|---|
| Migranti selezionati per il lavoro | Con contratto o competenze riconosciute | Alta | Portano ricchezza |
| Studenti e ricercatori | Con visto formativo | Molto alta | Portano talento e innovazione |
| Migranti economici disperati e irregolari | Barconi, trafficanti, e ingressi clandestini | Molto bassa | Rischio di marginalità e criminalità |
Il problema italiano
L’Italia, purtroppo, accoglie soprattutto il terzo gruppo. E non perché lo voglia, ma perché ha costruito un sistema che favorisce solo l’emergenza. Niente selezione preventiva, niente piani di integrazione per categorie specifiche, né strategie di lungo periodo.
Il risultato è che migliaia di persone arrivano ogni anno senza competenze trasferibili, senza conoscenza della lingua, senza contratto, né prospettive. Non possiamo stupirci se, dopo mesi o anni di abbandono, molti finiscono per vivere ai margini o essere sfruttati.
Accogliere senza pianificare significa generare caos e frustrazione, non inclusione.
Esempi pratici
Migranti selezionati per lavoro: basti pensare ai lavoratori stagionali in agricoltura o agli infermieri provenienti dalle Filippine e dall’Albania. Sono integrati, produttivi, e rispettosi delle regole.
Studenti stranieri: portano conoscenza e spesso restano a contribuire alla crescita del paese. Secondo il MIUR, gli studenti internazionali nelle università italiane sono oltre 100.000 e in crescita.
Migranti irregolari: rappresentano la parte più fragile del fenomeno, spesso in balia di trafficanti o di reti criminali che li sfruttano per lavoro nero o prostituzione.
La realtà è sotto gli occhi di tutti
L’Italia è come un’azienda che assume senza guardare il curriculum, e poi si lamenta della scarsa produttività. Serve pianificazione, non improvvisazione.
Per ogni ingresso, ci dovrebbe essere un percorso chiaro, che comprenda formazione, lavoro, lingua, e cultura civica. Invece regna il “vedremo”. E il “vedremo”, si trasforma in disordine e illegalità.
Richiedenti asilo vs migranti economici
Spesso, nel dibattito pubblico, queste due categorie vengono confuse, ma sono profondamente diverse.
Richiedenti asilo: persone che fuggono da guerre o persecuzioni. La protezione è un dovere morale e giuridico, ma deve essere concessa solo a chi ne ha diritto, dopo verifiche rapide e trasparenti.
Migranti economici: cercano migliori condizioni di vita e lavoro, ma non rientrano nel diritto d’asilo.
Il problema nasce quando queste due realtà si sovrappongono, rallentando le procedure e creando confusione. Servono centri di valutazione rapida, accordi di rimpatrio sicuri e canali specifici di ingresso per il lavoro.
Così si protegge chi scappa davvero dalla guerra e si offre un’alternativa regolare a chi cerca solo un futuro migliore.
Il costo dell’integrazione reale
Un migrante irregolare che arriva in Italia, spesso senza lingua, formazione o rete sociale, ha bisogno di ricevere tutta una serie di strumenti concreti per poter diventare parte attiva della società. Non basta un letto e un pasto caldo, ma:
Corso di lingua italiana per comunicare e lavorare.
Formazione professionale per adattare o creare competenze spendibili nel mercato del lavoro.
Educazione civica per capire come funziona la nostra democrazia, i diritti e i doveri.
Inserimento lavorativo tramite aziende disposte a collaborare e tutor sociali.
Supporto psicologico, perché chi fugge da guerra, fame o sfruttamento, porta con sé, anche ferite invisibili.
Tutoraggio sociale per il primo anno, ovvero una figura di riferimento che aiuti nelle pratiche, nella casa, nel lavoro, e nelle relazioni quotidiane.
Tutto questo ha un costo.
Secondo Diaconia Valdese, “i 35 euro al giorno” sono il massimale per la gestione dei progetti di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati: “35 euro al giorno per ogni persona accolta”.
Occorre specificare che alla persona vengono consegnati solo 2,50 euro, dato che il restante viene utilizzato per l’alloggio, il riscaldamento, il cibo, il trasporto, le spese mediche, nonché per pagare il personale specializzato impiegato dai progetti stessi.
Un documento accademico afferma che la corte dei conti stimava nel 2016 un costo medio per l’accoglienza di un singolo migrante era “tra i 30 e i 35 euro al giorno”. https://www.openpolis.it/esercizi/la-stretta-del-decreto-sicurezza-al-sistema-di-accoglienza/
Da questi numeri si evince che per integrare realmente anche solo la metà di loro, servirebbero miliardi di euro, ma un paese che fatica anche ad aiutare i propri poveri, e che taglia fondi a scuola e sanità, può davvero riuscire a sostenere un’integrazione di massa coì ingente, e non selettiva?
Solidarietà o illusione
Accogliere tutti, senza alcuna distinzione, e senza mezzi per integrarli, non è altruismo, ma abbandono mascherato da bontà. Non serve salvare delle vite se poi le lasciamo morire socialmente.
Serve una direzione chiara e ben precisa. L’Italia non può farsi carico da sola di un fenomeno così grande, tuttavia, può seguire le orme di paesi che sono riuscite a inglobare un modello migratorio sano e sostenibile.
Immigrazione selettiva
Ogni stato, per restare solido, deve poter gestire chi entra nei propri confini. Occorre instaurare una sorta di equilibrio tra i bisogni interni del paese – persone specializzate per fare certi lavori – e capacità di accoglienza, tra lavoro e sostenibilità sociale.
In pratica, un’immigrazione “funzionale” dovrebbe reggersi su alcuni pilastri fondamentali, che dovrebbero includere:
| Aspetto | Deve essere | Perché |
|---|---|---|
| Ingresso | Regolare e controllato | Evita marginalità e sfruttamento |
| Profilo | Istruito o formabile | Evita assistenzialismo cronico |
| Lavoro | Contratto prima dell’ingresso | Riduce lavoro nero e illegalità |
| Lingua | Corso obbligatorio durante il primo anno | È la base di ogni integrazione |
| Cultura civica | Bisogna insegnarla subito | Riduce i conflitti culturali |
| Percorso | Orientato all’autonomia | Dà dignità, e non dipendenza |
Modelli dal mondo
Il Canada è il riferimento più citato: assegna punteggi a ogni candidato sulla base di lingua, formazione, esperienza e adattabilità.
L’Australia usa un sistema simile: chi entra firma contratti e impegni precisi, partecipa a corsi obbligatori di lingua e civiltà, e riceve supporto solo in cambio di risultati.
Il Giappone, seppur rigidissimo, ha introdotto corridoi selettivi per tecnici e infermieri, garantendo inserimento immediato e controllato.
Non serve copiare, ma adattare. L’Italia possiede le sue specificità nel turismo, nell’agricoltura, nell’artigianato, e nella sanità. Potrebbe costruire un modello “made in Italy” di immigrazione utile e selettiva, che risponda a esigenze reali del mercato e della società.
Gli effetti positivi
Un sistema del genere ridurrebbe drasticamente:
il lavoro nero,
la criminalità legata alla marginalità,
la pressione sui servizi sociali,
la percezione di insicurezza.
E aumenterebbe:
la produttività,
la coesione sociale,
la fiducia dei cittadini,
la dignità degli stessi migranti.
“Gli italiani non vogliono più fare certi lavori”
Quante volte abbiamo sentito questa frase? È diventato quasi un mantra per giustificare tutto: “eh, ma se non ci fossero gli immigrati, chi raccoglierebbe i pomodori?”, “chi pulirebbe le case?”, “chi farebbe l’autista, il bracciante, o il muratore?”.
Questa affermazione, contiene al suo interno una bugia comoda, dato che non spiega il motivo per cui gli italiani non vogliono fare questi lavori, ma giustifica tutto, insinuando che gli italiani sono solo pigri e viziati.
Gli italiani non è che “non vogliono più lavorare”, gli italiani non vogliono farsi sfruttare, cosa assai diversa, ma procediamo per ordine.
Questo è il vero problema di fondo
Molti dei lavori “che gli italiani non vogliono più fare” non sono umili, bensì disumani. Paghe da fame, orari interminabili, nessun contratto, tutele inesistenti, e ricatti continui.
Ti sembra un caso che nei campi del sud, nelle campagne del foggiano o nelle serre siciliane lavorino in maggioranza migranti africani o asiatici? Non lo è! È un modello economico basato sullo sfruttamento.
Dove il lavoro è regolare, gli italiani ci sono eccome!
Nell’agricoltura e nei cantieri con contratti veri, e nelle imprese turistiche serie, ci lavorano italiani e stranieri insieme, senza nessun tipo di distinzione.
Dove invece prospera l’irregolarità, e quindi dove si lavora 12 ore al giorno per 3 euro l’ora, e dove non esiste contributi, né ferie, lì trovi solo chi non ha alternative.
E chi non ha alternative? Il migrante irregolare. Il ricatto è perfetto: “se non ti sta bene, ti denuncio e ti faccio espellere”. È così che nasce la schiavitù moderna.
Ecco gli effetti collaterali di questo sfruttamento
Questo sistema distrugge il mercato del lavoro per tutti, dato che lo sfruttamento di uno diventa concorrenza sleale per l’altro. L’imprenditore che paga in nero un migrante disperato può vendere i propri prodotti a prezzi più bassi, danneggiando paradossalmente chi invece, rispetta le regole. Il risultato? Gli stipendi scendono, le tutele spariscono, e la rabbia cresce.
Chi è che guadagna davvero dall’immigrazione irregolare?
Dietro ogni grande caos sociale, c’è quasi sempre un grande interesse economico, e l’immigrazione irregolare, nonostante venga raccontata come una tragedia umanitaria o un problema di sicurezza, è anche un business enorme.
Badate bene, lo sto dicendo, perché è tutto documentato da indagini, inchieste e rapporti ufficiali. Analizziamo nel dettaglio, gli attori che traggono un enorme vantaggio da questo sistema perverso.
1. Le ONG (non tutte, ma alcune)
Le organizzazioni non governative svolgono un ruolo cruciale nel salvataggio in mare. Molte operano con coraggio e trasparenza, tuttavia non possiamo ignorare che, secondo alcune inchieste giornalistiche e rapporti europei, esistono anche ONG che alimentano indirettamente i flussi, “mettendo in moto un meccanismo che si ripete senza sosta.”
Ogni salvataggio genera nuove partenze, nuovi costi, nuovi fondi, nonché nuovi finanziamenti pubblici e privati. Non si tratta di un “complotto”, ma di un meccanismo perverso, che si alimenta ricevendo più donazioni – soldi – a fronte di una maggiore emergenza.
L’Unione Europea stessa ha più volte richiamato la necessità di regole comuni per evitare abusi o sovrapposizioni tra soccorso umanitario e business della migrazione.
FONTI ATTENDIBILI
ICMPD – Studio sul traffico di migranti: caratteristiche, risposte e cooperazione (2015)
Analisi che descrive il traffico di migranti come un vero “business” con reti, intermediari e pagamenti, fornendo il contesto economico in cui alcune ONG vengono coinvolte o sospettate indirettamente.
🔗 https://www.icmpd.org/our-work/publications/a-study-on-smuggling-of-migrants-characteristics-responses-and-cooperation-with-third-countries
Agenzia europea dei diritti fondamentali – Operazioni di soccorso e diritti fondamentali nel mediterraneo (giugno 2024)
Il rapporto documenta indagini e procedimenti penali contro ONG e membri degli equipaggi impegnati nei salvataggi in mare, evidenziando la necessità di maggiore chiarezza normativa e trasparenza operativa.
🔗 https://fra.europa.eu/en/publication/2024/search-and-rescue-operations-mediterranean-fundamental-rights-update
Aumento degli arrivi e ciclo di abusi in Libia (2023)
Analizza come il forte aumento degli sbarchi nel mediterraneo sia legato a un “ciclo di dipendenza” tra soccorsi, flussi migratori e traffico di esseri umani, criticando la complicità europea nel sistema libico.
🔗 https://ecre.org/mediterranean-significant-increase-of-arrivals-eu-complicity-in-cycle-of-abuse-in-libya-ngos-continue-rescues
Repressione delle ONG che assistono migranti e rifugiati (2019)
Descrive inchieste e restrizioni nei confronti di ONG e volontari coinvolti nei salvataggi nel Mediterraneo, sottolineando l’esistenza di zone grigie operative e sospetti di collusione con reti di traffico.
🔗 https://www.migpolgroup.com/publications/crackdown-on-ngos-assisting-refugees-and-other-migrants
Finanziamenti UE alle ONG troppo nascosti (aprile 2025)
Riporta le conclusioni della Corte dei Conti Europea: i finanziamenti dell’UE alle ONG soffrono di scarsa trasparenza e controlli insufficienti, con dati incompleti su chi riceve i fondi e come vengono usati.
🔗https://www.eca.europa.eu/en/news/news-sr-2025-11?utm_source=
2. I grandi gruppi agricoli e logistici
In Italia interi comparti produttivi si reggono letteralmente sulla manodopera irregolare: un esercito silenzioso che tiene in piedi pezzi interi dell’economia nazionale.
Dalle campagne pugliesi, dove migliaia di braccianti stranieri raccolgono frutta e ortaggi sotto il sole per pochi euro, fino ad arrivare ai magazzini della logistica nel Nord, dove si lavora dodici ore al giorno per stipendi che non raggiungono nemmeno la soglia di sopravvivenza.
Secondo un rapporto Oxfam–Flai CGIL, oltre il 40 % dei lavoratori agricoli stranieri è sfruttato, con salari inferiori di un terzo rispetto agli italiani e condizioni spesso al limite della schiavitù, che includono turni infiniti, baracche senza acqua, nessuna tutela sanitaria, e nessun contratto.
Questo sistema, per quanto disumano, è diventato funzionale: per molte aziende è più conveniente mantenere l’irregolarità che regolarizzare, poiché pagare contributi e garantire diritti significherebbe alzare i costi e perdere di competitività.
Così l’illegalità si trasforma in convenienza economica e lo sfruttamento diventa, di fatto, una fetta importante, e non trascurabile del PIL italiano.
Ecco la contraddizione tutta “MADE IN ITALY”: il nostro paese si fonda sulla ” legalità e la sicurezza”, ma si regge in modo inesorabile anche sulla fatica invisibile di chi lavora nell’ombra, creando un’economia parallela che arricchisce i pochi, impoverisce tutti, e abbassa il valore del lavoro per italiani e stranieri allo stesso modo.
La politica
Già, anche la politica ci guadagna, ma non dal lato economico, ma dal lato del consenso. La sinistra ottiene consenso morale difendendo l’accoglienza a oltranza, e presentandosi con una linea umanitaria e solidale, mentre la destra ottiene consenso emotivo denunciando l’invasione, e urlando che loro – gli stranieri – sono il nemico da abbattere.
La cosa divertente? Entrambi gli schieramenti nel concreto non risolvono nulla! Il tema migratorio diventa così una miniera elettorale, e uno strumento per polarizzare e spaventare gli ignari cittadini.
Una realtà amara
In questo sistema, tutti vincono… tranne due categorie:
i cittadini onesti, italiani o stranieri che siano, che pagano le conseguenze di questo sistema scellerato;
e i migranti stessi, sfruttati da chi li salva, e poi abbandonati da chi li difende solo a parole.
È il circolo vizioso dell’immigrazione irregolare. E per romperlo serve un salto culturale enorme: occorre riconsiderare il migrante non come vittima o minaccia, ma come risorsa solo se integrato, formato e tutelato.
Lavoro e salario minimo
Parlare di immigrazione senza parlare di lavoro è come discutere di traffico senza nominare le strade. Il lavoro è il cuore della questione, ed è proprio qui, che l’Italia mostra una delle sue debolezze più storiche.
L’eccezione europea
L’Italia è tra i pochissimi paesi dell’unione europea a non avere un salario minimo legale. In Germania c’è, in Francia c’è, e in Spagna pure. Da noi no!
Qui i salari vengono stabiliti dai contratti collettivi nazionali di lavoro (CCNL). In teoria, dovrebbe essere un sistema equo in quanto i sindacati e le associazioni di categoria dovrebbero fare gli interessi dei lavoratori.
In pratica, però, molti contratti collettivi sono datati, applicati in modo parziale o del tutto disattesi. E quando le regole non vengono rispettate, a prevalere non è la giustizia, ma la legge del più forte.
Effetto domino sull’immigrazione
Quando i salari scendono e la precarietà aumenta, chi è che accetta di lavorare secondo condizioni poco allettanti? Chi non ha alternative!
I migranti irregolari diventano così un “tappo” perfetto per il mercato del lavoro, in quanto mantengono bassi i salari, alimentano la concorrenza al ribasso e creano un esercito di lavoratori usa e getta. È la versione moderna della manodopera servile.
Ma attenzione: non è colpa loro! È colpa di un sistema che non tutela nessuno, né loro, né gli stessi italiani. Se l’Italia introducesse un salario minimo legale, fissato su base equa e monitorato, lo sfruttamento crollerebbe, poiché nessuno potrebbe più pagare 3 euro l’ora senza incorrere in grosse sanzioni.
E questo comporterebbe meno migranti irregolari sfruttabili, e più dignità per tutti.
La politica del doppio standard
E qui torniamo dritti alla politica, che anche su questo tema ha mostrato una grande incoerenza. La destra finge di non vedere, mentre la sinistra sembra oggi riscoprire una realtà che, in verità, è sempre stata sotto gli occhi di tutti.
Vale la pena ricordare che la sinistra ha avuto anni di governo per introdurre il salario minimo, ma non lo ha fatto. Perché?
La sinistra al governo ha evitato di introdurre una legge sul salario minimo per non scontrarsi con questi due attori:
I grandi sindacati, che già stipulano contratti collettivi e vogliono mantenere il proprio ruolo centrale nella contrattazione (temono che una legge sul salario minimo “sposti” il potere dallo strumento sindacale allo Stato).
Le imprese, che traggono vantaggio dalla flessibilità del lavoro — cioè la possibilità di assumere, pagare e licenziare con più libertà, spesso con salari bassi e contratti precari.
Oggi, invece all’opposizione, lo propone come bandiera sociale. Ottimo, meglio tardi che mai, ma viene spontaneo chiedersi: dov’era questa convinzione quando si poteva agire davvero?
Badate bene: non sto affermando che, per principio, si debbano boicottare le iniziative della sinistra sul salario minimo. Anzi, sarebbe da folli farlo.
Bisogna però tenere bene a mente un fatto: il realismo politico insegna che, spesso, le scelte morali vengono fatte solo quando diventano convenienti, ma non per noi cittadini, ma per loro!
Cosa serve davvero?
Per una politica migratoria sana e sostenibile occorrono quattro pilastri ben definiti:
Controllo dei confini e accordi bilaterali seri: Servono intese stabili con i paesi di origine, per bloccare i trafficanti e aprire canali legali di ingresso.
Punizioni ESTREMAMENTE severe per chi sfrutta il lavoro nero e la tratta umana: Il lavoro nero è una forma di schiavitù. Chi assume irregolari deve rischiare davvero: multe esemplari, chiusura delle aziende, e carcere per i recidivi. Finché sfruttare sarà conveniente, nulla cambierà.
Formazione e salario dignitoso per gli italiani: L’immigrazione non può essere la stampella di un mercato malato. Prima di tutto, bisogna rendere attrattivi i lavori “rifiutati” garantendo paga e diritti. Solo così l’italiano non sarà più concorrente del migrante, ma collega.
Accoglienza sostenibile, e non accoglienza di facciata: Ogni persona accolta deve essere inserita in un percorso preciso, che comprenda lingua, lavoro, casa, e cittadinanza. Chi non vuole integrarsi deve essere rimpatriato, con rispetto e fermezza.
Nessuna politica migratoria può funzionare se non si interviene sulle cause dei flussi: guerre, disuguaglianze, disastri ambientali, e mancanza di opportunità.
Italia e Unione Europea devono investire in cooperazione mirata, formazione e sviluppo locale nei paesi d’origine, affinché partire non sia l’unica scelta possibile.
Non si tratta di “aiutarli a casa loro”, ma di creare le condizioni per non costringerli a partire.
Conclusione finale
L’immigrazione in Italia non rappresenta né un’invasione e né una missione divina. È un modello complesso, che come tale, può distruggere o rafforzare, a seconda di come lo gestiamo.














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