L’intelligenza artificiale uccide la creatività?
L’intelligenza artificiale sembra capace di tutto. Scrive testi, compone musica, dipinge quadri digitali, crea video, risolve problemi complessi, e allora, che ne sarà dell’”estro umano”?
Siamo davvero destinati a diventare spettatori inermi di fronte a macchine che producono opere in pochi secondi, oppure potremmo imparare a convivere con questa nuova forza, trasformandola come a una sorta di potenziatore della creatività e del talento?
Il rischio della standardizzazione
Chi sostiene che l’IA possa uccidere la creatività non sta affatto dicendo qualcosa di completamente sbagliato. Se ci abituiamo a delegare tutto alla macchina, attraverso un semplice prompt… allora sì, la creatività rischia davvero di appiattirsi, dato che l’opera finale rappresenterebbe solo una imitazione delle opere già esistenti.
Prendiamo ad esempio, una canzone generata da un algoritmo che ha analizzato migliaia di hit. È probabile che riproduca strutture, melodie e testi già sentiti, e quindi assolverebbe al proprio compito creando una sorta di copia elegante, che però rimane sempre una copia.
La creatività autentica nasce da rotture, errori, intuizioni improvvise, nonché da emozioni non lineari. L’IA invece, per sua natura, si nutre di ciò che già esiste! Se lasciamo che sia lei a guidare tutto, finiremo per appiattire l’arte e il pensiero.
Ecco cosa potremmo perdere:
Il coraggio di inventare
La capacità di sorprendersi
L’imperfezione che rende umani
In poche parole rischiamo di diventare assistenti della creatività, e non più creatori.
l’IA può anche amplificare il talento già esistente
C’è però un altro lato della medaglia, assolutamente da prendere in considerazione. L’intelligenza artificiale può essere uno strumento incredibile, se usato con consapevolezza, in quanto può aiutare a sperimentare, velocizzare la ricerca, nonché ispirare nuove prospettive.
Pensiamo a un pittore che usa un generatore di immagini non per sostituire la sua mano, ma per esplorare combinazioni di colori che non avrebbe mai immaginato, oppure, ad un musicista che chiede all’IA di suggerire variazioni armoniche per superare un momentaneo blocco creativo.
In questi casi l’IA non crea l’opera al posto dell’artista, ma alimenta l’immaginazione dell’artista.
L’arte rappresenta l’idea o il gesto?
Se l’arte fosse solo il gesto, allora un robot potrebbe sostituire un artista, tuttavia l’arte è soprattutto visione, intenzione e significato.
Un quadro non rappresenta solo un dipinto su tela, ma raffigura prima di tutto, un messaggio, un’urgenza emotiva, o l’esperienza di un vissuto personale. L’IA non ha vissuto dolori, amori, o nostalgie. Può imitarli, certo, ma non può provarli.
Per sfruttare l’IA serve conoscenza!
Un equivoco molto diffuso è credere che l’IA faccia tutto da sola, ma non è così! Questa è l’idea che hanno spesso le persone che non hanno mai provato davvero, a usare questo strumento.
L’IA non trasforma un inesperto in maestro. Trasforma un esperto in qualcuno che può andare ancora oltre.
Pensiamo a due persone che vogliono programmare:
- Chi non conosce le basi della programmazione può sempre chiedere all’IA di scrivere un codice, certo… ma non saprà se è corretto, e non capirà nemmeno come potrebbe renderlo ancora migliore. Il risultato è un copia e incolla inconsapevole e banale. Se non hai conoscenze solide nel tuo campo, l’IA ti fornirà informazioni che non saprai valutare, organizzare, né tantomeno applicare. È come mettere un pianoforte nelle mani di chi non ha mai studiato musica. Lo strumento è meraviglioso, sì, ma senza competenza, a cosa serve?
Chi conosce invece già la programmazione, usa l’IA per testare, ottimizzare, e trovare soluzioni alternative in tempi decisamente più brevi. In questo caso l’IA diventa uno strumento estremamente utile.
Questo discorso vale per ogni settore, anche in quello più insospettabile.
PER CAPIRE MEGLIO: Una persona che non possiede alcuna competenza medica, può ricevere informazioni da un modello linguistico, ma non saprà valutarle, né metterle in pratica in modo sicuro.
Un medico invece può usare l’IA per confrontare diagnosi, analizzare dati più velocemente, oltre a evitare errori banali. L’IA aumenta ciò che siamo, e mai ciò che non siamo.
E questo lo vediamo chiaramente anche nel mondo della ricerca scientifica. Quando l’IA contribuisce alla scoperta di una cura a una malattia, non è certo una persona inesperta a ottenerla.
Non è qualcuno che non conosce quel campo, che non sa cosa sta guardando ,o che non sa cosa significhi davvero un determinato dato clinico, ma è uno specialista a ottenerlo: una persona che ha studiato per anni, che conosce quella malattia in tutte le sue sfumature, e che sa interpretarne appieno le variabili che gli si pongono davanti.
Lo specialista usa l’IA per analizzare più velocemente centinaia di studi, correlazioni, e statistiche. L’IA fa ciò che sa fare meglio, velocizza e ordina la complessità, ma è sempre l’esperto a capire cosa cercare, come indirizzare la ricerca, e quale risultato merita di essere approfondito o magari correlato fra i risultati che ha già ottenuto.
Senza l’IA sarebbe stato tutto molto più lento, forse quasi impossibile. Tuttavia, senza la competenza umana non ci sarebbe stato nulla da interpretare.
Allora chi ha scoperto davvero la cura? L’IA, o lo specialista che l’ha guidata?
L’IA è uno strumento, e come tale funge da supporto. L’intuizione, il giudizio, e la responsabilità rimangono prerogative esclusive dell’essere umano.















Post Comment
You must be logged in to post a comment.