Astensionismo, il virus silenzioso che indebolisce la democrazia

voto

C’è un rumore che nelle ultime elezioni italiane è diventato quasi assordante, quello dell’astensionismo. Quello dei seggi deserti, e dei cittadini che scelgono di restare a casa.

L’astensionismo è la scelta, consapevole o meno, di non andare a votare. In apparenza, un gesto piccolo, tuttavia in realtà, un segnale enorme, in quanto significa rinunciare al principale strumento di partecipazione democratica.

Negli ultimi anni, questo “silenzio collettivo” ha assunto dimensioni preoccupanti. Basti guardare alcune delle più recenti elezioni regionali in Italia.

  • Nelle Marche l’affluenza è stata del 50,01 %

  • In Calabria l’affluenza si è fermata al 43,15 %

  • In Toscana l’affluenza è stata del 47,73 %, con un calo di circa 15 punti rispetto al 2020

Un dato che qualche decennio fa sarebbe sembrato impensabile, basti pensare che negli anni settanta e ottanta, in Italia, le file ai seggi erano la norma.

Ma perché sempre più cittadini decidono di non votare? Le risposte sono tante, e non sempre facili da inquadrare.
C’è chi non crede più che il proprio voto conti davvero. C’è chi si sente tradito da una politica che appare più interessata a sé stessa che ai cittadini e c’è chi non trova nessuno in cui riconoscersi, e chi semplicemente non ha tempo, non ha voglia, non ha fiducia.

Un misto di sfiducia, mancanza di rappresentanza e disinteresse che ha scavato un fossato enorme tra la politica e la società.

Le cause profonde dell’astensionismo

Quando una persona smette di votare, non lo fa all’improvviso. Le radici dell’astensionismo affondano in motivi sociali, politici e culturali che si intrecciano fra loro, creando un terreno sempre più sterile per la partecipazione.

Cause sociali

La società italiana è cambiata profondamente. Un tempo la politica entrava nelle case, nei bar e nelle piazze. Oggi, per molti, è un’eco molto lontano. Le disuguaglianze sociali sono aumentate e, con esse, anche la distanza tra chi si sente parte di una comunità e chi invece vive ai margini.

Spesso chi è più fragile, economicamente o culturalmente, è anche chi vota di meno. Perché non crede che le cose possano cambiare, o perché pensa che la politica non parli la sua lingua.

Un’altra radice del problema è la bassa istruzione civica. Le nuove generazioni conoscono sempre meno i meccanismi istituzionali, il valore della costituzione, e l’importanza della partecipazione democratica.

Se non si comprende il significato profondo del voto, è facile considerarlo una formalità inutile. E poi c’è la scarsa partecipazione giovanile.

Cause politiche

Qui la ferita è ancora più evidente. La fiducia nella politica è ai minimi storici. I partiti vengono percepiti come distanti, autoreferenziali, nonché incapaci di rispondere ai bisogni reali dei cittadini.

E questo dipende dal fatto che molti cittadini sentono che “tanto non cambierà niente”, che “sono tutti uguali”, e che “le promesse finiscono sempre nel nulla”. E quindi si chiedono ” perchè dovrei allora andare a votare?”

La crisi di rappresentanza è il vero cuore dell’astensionismo. Quando un elettore non trova un partito, un leader, o anche solo un’idea in cui credere, sceglie il silenzio.

Tuttavia, quel silenzio, paradossalmente, amplifica proprio ciò che contesta, dato che meno persone votano, e meno persone decidono per tutti. E così il potere si concentra nelle mani di una minoranza sempre più ristretta.

Cause culturali

C’è poi un cambiamento più sottile, ma forse il più pericoloso. Negli ultimi decenni si è perduto il senso civico. Un tempo votare era un atto quasi sacro, e considerato un momento di orgoglio collettivo.

Si andava ai seggi vestiti bene, come per un appuntamento importante. Oggi per molti è solo una domenica come le altre. La politica, agli occhi di tanti, è diventata ” una barzelletta, che non fa nemmeno ridere”.

E il voto, che un tempo era “la voce del cittadino”, è diventato una voce tra tante, facilmente ignorata o sostituita da un commento sui social.

Uno sguardo al passato

Negli anni Settanta e Ottanta, più del 90% degli italiani si recava alle urne. Un dato quasi invidiabile, oggi impensabile. Cos’è cambiato nella mentalità collettiva?

Forse il benessere, ci ha reso più individualisti. Forse la globalizzazione, ci ha fatto percepire la politica nazionale come un qualcosa di inefficace, e così la sfiducia nella politica, si è trasformata in apatia. Ma una cosa è certa: quando il voto perde valore agli occhi del cittadino, è la democrazia stessa a indebolirsi.

Diritto o dovere? 

Ogni volta che si parla di astensionismo, inevitabilmente emerge sempre una domanda: in una democrazia, votare è un diritto o un dovere?
La risposta, a prima vista, sembra semplice. È un diritto, certo, ma fermarsi qui significa guardare solo metà del quadro.

La Costituzione Italiana, all’articolo 48, lo dice chiaramente:

“Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico.”

Un diritto, dunque, ma anche un dovere morale. Non un obbligo imposto con la forza, bensì una responsabilità condivisa, come tenere pulita una piazza o rispettare un semaforo.

Quando votiamo, non lo facciamo solo per noi stessi, ma per l’intera comunità. È un atto di fiducia verso le regole del gioco democratico. È come se dicessi: “Io ci sono, voglio contare, e voglio essere parte del futuro del mio paese.”

Ma cosa succede quando la libertà di non votare diventa la norma, e non l’eccezione? Succede che la democrazia inizia a perdere la sua voce collettiva.

Una democrazia non si misura solo dal numero di leggi, ma soprattutto dalla partecipazione dei suoi cittadini. Più la partecipazione scende, più il sistema si indebolisce. È come una casa con troppe stanze vuote: le fondamenta restano, ma manca il calore delle persone.

Molti si chiedono se allora sarebbe giusto rendere il voto obbligatorio. C’è chi sostiene che la libertà democratica – come il sottoscritto – includa anche il diritto di disinteressarsi e di astenersi. In fondo, la democrazia è libertà, e imporre di votare potrebbe sembrare una contraddizione.

Eppure, altri rispondono che il voto non è un atto privato come tanti, ma un gesto collettivo, e quindi un dovere verso la società. Se nessuno votasse, la democrazia smetterebbe semplicemente di esistere.

E allora la domanda resta sospesa:

La democrazia deve lasciare liberi anche di non partecipare, o deve pretendere che tutti contribuiscano al bene comune?

Forse la verità sta nel mezzo. Una democrazia matura non deve obbligare, ma deve convincere i cittadini a partecipare, e per farlo deve essere credibile, trasparente e vicina ai problemi. Quando le persone si sentono ascoltate e rispettate, non serve costringerle a votare, dato che lo faranno da sole con orgoglio.

Il confronto con gli altri paesi

Guardare oltre i confini aiuta a capire meglio noi stessi. In Italia votare è un dovere civico, ma non esiste alcuna sanzione per chi non lo fa. In altri paesi, invece, la regola è diversa. E non parliamo solo di regimi autoritari, ma di democrazie consolidate.

  • Belgio: il voto è obbligatorio dal 1893. Chi non si presenta può ricevere una multa e, dopo diverse assenze, rischia di essere escluso temporaneamente dalle liste elettorali.

  • Lussemburgo: stessa regola, ma con maggiore flessibilità per gli elettori anziani o residenti all’estero.

  • Grecia: fino a pochi anni fa prevedeva sanzioni per chi non votava, anche se oggi l’obbligo è più simbolico.

  • Australia: qui l’obbligo è ancora pienamente in vigore. Se non vai a votare, devi spiegare perché. In caso contrario, arriva una multa (modesta, ma reale).

Questi paesi registrano in genere tassi di affluenza molto alti, spesso superiori all’80%. Tuttavia mi domando una cosa: votano davvero perché ci credono o solo per evitare la sanzione?

Un voto obbligato non è necessariamente un voto consapevole. Se il cittadino vota per dovere formale, rischia di trasformare un gesto di libertà in un atto burocratico. E allora la democrazia, più che rafforzarsi, si svuota.

Tuttavia, non possiamo nemmeno ignorare il fatto che dove il voto è obbligatorio, la partecipazione resta viva.

Il rischio opposto, come accade in Italia, è che la politica parli soltanto a chi vota, lasciando fuori chi si è disaffezionato. E così il cerchio vizioso si chiude: meno voti, meno rappresentanza; meno rappresentanza, meno fiducia; meno fiducia, ancora meno voti.

La sfida vera sarà quella di costruire un sistema che inviti a votare con convinzione.

Le conseguenze dell’astensionismo

Quando metà di un popolo decide di non votare, qualcosa di profondo si incrina. L’astensionismo significa che una parte della società non si riconosce più nel proprio sistema politico, e che percepisce le istituzioni come lontane, e inaccessibili.

Ogni volta che vota solo una minoranza, la legittimità democratica del governo eletto inesorabilmente si indebolisce. Un presidente regionale eletto con il voto di un terzo degli aventi diritto è, di fatto, rappresentante di una porzione limitata della popolazione.
Eppure governa per tutti.

Pochi decidono per molti, e quei molti restano fuori dal processo decisionale, sempre più disillusi e distanti. L’astensionismo produce:

  • una politica meno rappresentativa

  • una società più divisa

  • un senso di impotenza collettivo

Quando il cittadino rinuncia al voto, il potere si concentra nelle mani di gruppi sempre più piccoli e organizzati. Essite poi un effetto ancora più subdolo e invisibile. L’astensionismo alimenta sé stesso.

Chi sceglie di non votare perché non crede più nella politica, finisce – spesso senza volerlo – per rafforzare proprio ciò che contesta. Più persone rinunciano al voto, meno la politica sente il bisogno di cambiare.

Anche i media e i social amplificano questo fenomeno in quanto spuntano gruppi, pagine e community che non solo esprimono delusione, ma arrivano persino a promuovere l’astensione come forma di protesta. Nel tentativo di punire la politica, si finisce per toglierle proprio quella linfa vitale che potrebbe costringerla a cambiare.

Conclusione

La democrazia, in fondo, è un organismo fragile. Vive di partecipazione, di fiducia, e di senso di appartenenza.

Come si può invertire la rotta? Come si può ricostruire il legame tra cittadini e istituzioni, e ridare valore al voto?

Non esistono soluzioni semplici, ma ci sono alcune strade possibili.
Tra queste:

  • Rafforzare l’educazione civica nelle scuole. Occorre insegnare ai ragazzi non solo come funziona la politica, ma perché è importante partecipare.

  • Rendere la politica più trasparente. Occorrono meno slogan, più chiarezza, e soprattutto più coerenza tra promesse e azioni.

  • Riavvicinare la politica ai territori.

Solo così il voto tornerà ad essere ciò che dovrebbe: una forma di dialogo tra cittadini e istituzioni.

Nata e cresciuta a Rosignano Solvay , appassionata da sempre per tutto quello che ruota intorno al benessere della persona.Biologa, diplomata all'I.T.I.S Mattei