Perché l’uguaglianza assoluta resta un’utopia: il paradosso del marxismo

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Se il marxismo promette uguaglianza e giustizia, perché nessuna società è mai riuscita a renderlo stabile e duraturo? Ogni volta che la storia ha provato a realizzare il sogno marxista, qualcosa si è inceppato. I proclami di solidarietà e fratellanza universale si sono infranti contro una realtà ostinata, fatta di rivalità, desiderio di possesso e aspirazioni individuali.

Il contrasto è evidente. Da una parte un’utopia collettiva che immagina un mondo senza classi, senza sfruttamento e senza ricchi e poveri, mentre dall’altra l’individualismo radicato nell’essere umano, che non si accontenta di ricevere “quanto basta” ma vuole distinguersi, emergere e fare meglio degli altri.

Forse è proprio la contraddizione intrinseca dell’essere umano ad aver reso impraticabile il modello marxista.La distanza tra l’ideale e la natura reale dell’uomo è ciò che ha trasformato quell’utopia in un miraggio destinato a svanire ogni volta che si è tentato di realizzarla.”

Eppure, ancora oggi, il fascino del marxismo sopravvive nei dibattiti politici, nelle università e nelle piazze. Ma possiamo davvero sperare in un mondo dove tutti siano uguali, o stiamo inseguendo un miraggio che svanisce ogni volta che ci avviciniamo?

Breve richiamo alla filosofia marxista

Karl Marx immaginava un sistema in cui le disuguaglianze economiche fossero spazzate via. Le classi sociali, considerate il motore di oppressione e ingiustizia, sarebbero dovute sparire. La proprietà privata, fonte di avidità e conflitto, sarebbe stata abolita.

Secondo Marx, l’uomo è naturalmente cooperativo. Può vivere bene solo in comunità, condividendo beni, responsabilità e risultati. In questa visione, non ci sarebbe più bisogno di gerarchie, capi o padroni, perché tutti avrebbero accesso alle stesse risorse. Una società senza sfruttati e sfruttatori.

È un progetto affascinante, non c’è dubbio. Chi non sognerebbe un mondo dove nessuno viene lasciato indietro? Dove ogni individuo lavora non per il proprio tornaconto ma per il bene di tutti? Marx descrive un’umanità quasi angelica, capace di vivere senza invidia e senza brama di possesso.

Eppure, già in questa visione si nasconde il primo problema. È davvero realistica l’idea che l’essere umano, con la sua storia, i suoi bisogni e i suoi impulsi, possa adattarsi a un modello così egualitario? È come chiedere a un leone di diventare vegetariano. Magari per un giorno ci prova, ma prima o poi l’istinto torna a bussare.

Natura umana e la voglia di primeggiare

E qui arriviamo al punto cruciale: la natura umana. Non quella ideale dei manifesti politici, ma quella reale che vediamo ogni giorno.

Evoluzione biologica: Per milioni di anni la sopravvivenza è dipesa dalla competizione. Chi correva più veloce scappava dai predatori. Chi era più furbo otteneva più cibo. Chi sapeva imporsi diventava leader del gruppo. La selezione naturale ha premiato non l’uguaglianza, ma la capacità di distinguersi.

Psicologia sociale: Ognuno di noi cerca riconoscimento. Un bambino vuole il voto più alto a scuola e un adulto vuole lo stipendio migliore. Non è solo una questione di denaro, ma di status, e di sentirsi “più” rispetto agli altri.

Economia comportamentale: Gli studi moderni lo confermano. L’essere umano tende ad accumulare, e a massimizzare il proprio vantaggio. Anche quando ha abbastanza, desidera qualcosa in più. Non per bisogno, ma per confronto. Perché il vicino ha un’auto nuova, perché il collega ha ricevuto una promozione, o perché nella vita non basta sopravvivere, ma bisogna vincere.

In fondo, lo vediamo in cose banali. Due amici comprano lo stesso smartphone. Uno si sente soddisfatto… fino a quando l’altro non prende il modello più nuovo. All’improvviso nasce il tarlo dell’inferiorità. È un meccanismo antico e profondamente umano.

E allora come può attecchire un sistema che chiede all’uomo di rinunciare a questa spinta?

Perché l’uguaglianza assoluta è irrealizzabile?

A parole sembra tutto semplice. Si elimina la proprietà privata, si distribuiscono le risorse e si azzerano le differenze. Ma davvero basta questo per cancellare secoli di pulsioni, desideri e ambizioni?

La storia ci spiega il motivo per cui questo modello è sempre risultato impraticabile:

Unione Sovietica: Doveva essere la patria dell’uguaglianza, eppure si formò una casta privilegiata: la nomenklatura. Dirigenti del partito con case migliori, automobili, e accesso a beni introvabili per il cittadino comune. Uguaglianza, sì, ma non per tutti.

Cina maoista: La rivoluzione culturale prometteva di spazzare via i “borghesi”. Risultato: milioni di persone perseguitate, intellettuali annientati, e una nuova élite di funzionari di partito che detenevano potere assoluto.

Cuba castrista: Nel nome dell’uguaglianza si creò una società dove la popolazione viveva di razionamenti, mentre i vertici del regime avevano accesso a risorse privilegiate.

Il meccanismo è sempre lo stesso! Quando si cerca di livellare tutto, non si ottiene armonia ma frustrazione. La gente non smette di voler primeggiare, così nascono nuove disuguaglianze, più nascoste ma non meno reali. Chi non può distinguersi con la ricchezza lo fa con il potere, o con i privilegi.

Pensiamoci bene: anche in una società dove tutti hanno lo stesso stipendio e lo stesso appartamento, qualcuno troverà sempre un modo per emergere. Magari con le relazioni, o magari con il semplice accesso a informazioni riservate. L’uguaglianza assoluta non è solo difficile: è contraria alla dinamica naturale delle relazioni umane.

Il paradosso del marxismo

E qui tocchiamo il cuore della contraddizione. Il marxismo nasce per eliminare le disuguaglianze, ma nel tentativo di farlo ne crea di nuove. È un paradosso inevitabile.

  • Più cerchi di rendere tutti uguali, più emergono differenze di potere.

  • Più tenti di sopprimere la competizione economica, più la competizione si sposta altrove: carriere politiche, favori, privilegi…

  • Più imponi la collettività, più cresce il desiderio di individualità.

È come un gioco a somma zero. Non puoi cancellare la spinta umana al confronto. Puoi solo spostarla da un campo all’altro.

Persino nel linguaggio quotidiano lo vediamo. Chi è al vertice non dice mai “sono uguale agli altri”. Dice “sono al servizio del popolo”. Una frase apparentemente umile, ma che nasconde una realtà di potere asimmetrico.

Il marxismo sogna una società senza gerarchie. La pratica ci mostra che le gerarchie rinascono comunque, sotto altre forme.

Confronto con società reali

A questo punto la domanda è inevitabile: se il marxismo si infrange contro la natura umana, quale sistema riesce invece a funzionare meglio? La risposta non è semplice, ma la storia recente mostra una direzione chiara.

Il capitalismo, con tutti i suoi difetti, ha dimostrato una capacità unica: quella di trasformare la competizione individuale in motore collettivo. Invece di soffocare la spinta a primeggiare, la incanala in forme produttive.

  • L’imprenditore che vuole guadagnare di più finisce per inventare qualcosa che migliora la vita di milioni di persone.

  • L’azienda che cerca di superare la concorrenza abbassa i prezzi o innova i servizi.

  • Il lavoratore che punta alla promozione sviluppa competenze che rafforzano l’intero sistema.

Certo, il capitalismo non è un paradiso in quanto genera disuguaglianze enormi, concentra ricchezza nelle mani di pochi e produce tensioni sociali. Ma, a differenza del marxismo, non va contro la natura umana. Anzi, la sfrutta!

Il marxismo invece funziona all’opposto. Pretende di azzerare la competizione, e così facendo toglie anche l’incentivo a migliorarsi. Se tutti hanno lo stesso, perché dovrei impegnarmi di più?

Perché dovrei rischiare, innovare e sacrificarmi? Il risultato è la stagnazione. Un sistema che dovrebbe liberare l’uomo finisce per imprigionarlo in una mediocrità diffusa.

E la storia lo conferma. Le società che hanno provato ad applicare rigidamente il modello marxista hanno vissuto povertà, carenze croniche, nonché scarsità di beni essenziali. Quelle che invece hanno accettato la competizione, pur con tutti i loro difetti, hanno conosciuto crescita, innovazione e progresso tecnologico.

Conclusione

Arrivati qui, rimane da rispondere alla domanda più difficile di tutte: è davvero possibile un mondo senza competizione? Oppure significherebbe annullare ciò che ci rende umani?

Il marxismo non muore nei libri, dove resta affascinante, ordinato e coerente. Muore nella realtà umana, fatta di desideri, confronti, e ambizioni. Ogni volta che si cerca di imporre l’uguaglianza assoluta, riaffiorano differenze nuove, spesso più dolorose delle precedenti.

Forse allora il vero punto non è eliminare la competizione, ma governarla. Trasformarla da guerra distruttiva a sfida creativa. Perché l’uomo vuole primeggiare, sempre! Non possiamo cancellare questa spinta, ma possiamo decidere se usarla per distruggerci o per costruire insieme qualcosa di più grande.

Non sarà allora che il vero sogno dell’uguaglianza non è farci tutti uguali, ma dare a ciascuno la possibilità di competere ad armi pari?

Nata e cresciuta a Rosignano Solvay , appassionata da sempre per tutto quello che ruota intorno al benessere della persona. Biologa, diplomata all'I.T.I.S Mattei