Perché aprirsi agli altri è così complicato? Ecco cosa dice la psicologia (e la nostra storia evolutiva)

perchè aprirsi agli altri è così complicato

Fidarsi significa sentirsi liberi di mostrare ciò che si prova e ciò che si pensa quando si è con qualcuno, senza doversi chiudere o proteggere.

Se non abbiamo fiducia, tendiamo a indossare maschere, e quindi, a comportarci o a parlare in modi che non rispecchiano davvero chi siamo. Questo ci allontana dalla nostra autenticità.

Per essere davvero autentici e liberi, è importante riuscire a mostrare parti vere di noi stessi, che includono pensieri, sogni, paure, … La fiducia rappresenta quindi, il motore che permette a tutto questo di accadere.

Per molte persone la fiducia rappresenta un rischio, perché esporsi può far emergere la paura di essere:

  • giudicati,

  • rifiutati,

  • fraintesi,

  • o persino derisi.

È come se io dicessi all’altro: “Ti mostro ciò che sono e tutto ciò che per me è prezioso. Mi fido che tu possa utilizzare la mia vulnerabilità in modo da non arrecarmi danno”

ESEMPIO: Immagina di essere una persona timida e di aver preso una cotta per una ragazza, e decidi di confidarti con il tuo migliore amico. In quel momento gli stai affidando qualcosa di importante per te: un’emozione, un pensiero, e una parte fragile di te.

Ti stai fidando del fatto che lui non userà questa confidenza per prenderti in giro o per raccontarla ad altri. Se il tuo amico mantiene il segreto e ti sostiene, allora la fiducia che gli hai dato era ben riposta.

Al contrario, se scopri che ne ha parlato con altre persone o che ti ha preso in giro alle tue spalle, quella fiducia si rompe. E quando la fiducia si spezza, è difficile ricostruirla.

Lo stesso accade nelle relazioni di coppia: se uno dei due tradisce o inganna l’altro, la fiducia si incrina, e il rapporto cambia profondamente. La fiducia è la base di ogni rapporto: senza di essa, la relazione perde di valore, dato che viene a mancare la connessione, un fattore importantissimo per qualsiasi tipologia di relazione.

In conclusione, possiamo affermare che la fiducia non riguarda solo l’altro, ma anche il modo in cui noi ci rapportiamo alla nostra vulnerabilità, in quanto dimostra quanto siamo disposti a mostrarla, proteggerla e condividerla.

Origini evolutive della fiducia

Dal punto di vista evolutivo, la fiducia non è nata come gesto spontaneo, ma come strategia di sopravvivenza. Nelle società antiche, organizzate in piccoli gruppi, la cooperazione era di fondamentale importanza in quanto condividere risorse, proteggersi a vicenda e collaborare aumentava alcuni vantaggi, come la sicurezza e l’accesso al cibo.

Tuttavia, questa cooperazione comportava anche un rischio: fidarsi della persona sbagliata poteva avere conseguenze tragiche. Un tradimento o una mancata protezione potevano mettere a serio rischio la vita del singolo e, in alcuni casi, dell’intero gruppo.

Per questo, nel corso dell’evoluzione, il cervello umano ha sviluppato una sorta di “valutazione del rischio sociale”. Questa valutazione potremmo definirla come un insieme di processi rapidi, automatici e non consapevoli che ci aiutano a decidere se una persona è affidabile o meno.

Secondo la psicologia evoluzionistica (Buss, 2019), la mente compie continuamente micro-valutazioni come:

“Questa persona è prevedibile, coerente, sicura?”

Non lo facciamo con ragionamenti complessi, ma accade in pochi secondi, sulla base di segnali non verbali, tono di voce, espressioni facciali, memoria emotiva e somiglianze con esperienze passate.

Quando la risposta a questi micro-calcoli è incerta, il sistema emotivo favorisce uno stato di diffidenza, che si manifesta come:

  • prudenza,

  • distanza,

  • bisogno di osservare prima di esporsi.

Questo comportamento rappresenta un antico meccanismo protettivo costruito al fine di preservare la nostra sicurezza relazionale.

Per riassumere il tutto, possiamo dire che la difficoltà di fidarsi non è un errore, ma è una funzione originaria del cervello umano. L’obiettivo non è fidarsi di tutti, ma imparare a riconoscere chi è degno di fiducia e chi no.

Il ruolo dell’attaccamento nelle relazioni 

La Teoria dell’Attaccamento (Bowlby, 1969) afferma che il modo in cui siamo stati accuditi da bambini plasma il nostro modo di costruire relazioni da adulti.

Ad esempio, questo studio – “Adult Attachment, Stress, and Romantic Relationships” –  ha preso in esame il modo in cui le persone con diversi stili di attaccamento (sicuro, ansioso, evitante) reagiscono emozionalmente in situazioni di stress relazionale, specialmente di tipo romantiche.

Ecco i risultati:

  • Attaccamento ansioso → tende a percepire rapidamente un qualsiasi segnale di rifiuto o distanza, reagendo con estrema ipersensibilità emotiva. Questo tipo di persona ha bisogno continuamente di rassicurazioni e teme l’abbandono.

  • Attaccamento evitante → tende a ridurre o sopprimere le emozioni. Reagisce allo stress allontanandosi o chiudendosi ” a riccio ” per proteggersi.

  • Attaccamento sicuro → riesce a comunicare emozioni e bisogni in modo più diretto e regolato.

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Chi ha vissuto da bambini una forma di attaccamento insicuro tenderà maggiormente a costruire strategie di protezione basate sul controllo, la chiusura emotiva e una tendenziale sfiducia verso il prossimo. 

La vulnerabilità come costruzione di fiducia 

La ricercatrice Brené Brown definisce la vulnerabilità come:

“La capacità di mostrarsi senza la garanzia del risultato.”

In ambito psicologico, la vulnerabilità rappresenta la disponibilità a rendere visibili aspetti autentici del sé, come bisogni, emozioni, pensieri ed incertezze.

In termini pratici, significa:

  • condividere ciò che si prova realmente,

  • riconoscere i propri bisogni emotivi,

  • lasciare che l’altro ci conosca per ciò che siamo davvero,

  • evitare di controllare o manipolare la risposta dell’altro.

Questa capacità di mostrarsi vulnerabili dipende in larga parte dalla propria regolazione emotiva. Quando una persona sperimenta emozioni intense come paura, ansia o vergogna, può percepire la vulnerabilità come una minaccia, e non come uno spazio di condivisione e relazione.

In questi casi, aprirsi non viene vissuto come un gesto naturale, bensì come un rischio di essere messi a nudo, criticati o feriti.
In questo modo la mente interpetra l’esposizione emotiva, come un possibile pericolo e, per proteggersi, attiva automaticamente delle strategie atte a difendersi.

Pensate a quante volte, davanti a situazioni percepite negativamente avete:

  • finto di stare bene,

  • cambiato argomento,

  • finto di pensarla diversamente,
  • o addirittura vi siete chiusi e allontanati.

Non lo avete fatto perché “non vi importava”, ma perché eravate sopraffatti dall’emozione, e il corpo ha scelto la strategia più rapida per ridurre quel disagio.

Emozione difficile Strategia di protezione Effetto sulla relazione
Paura del rifiuto Evitamento o distacco Difficoltà a creare intimità
Vergogna Idealizzazione o maschere sociali Relazioni poco autentiche
Paura dell’abbandono Iper-controllo Relazioni intense ma instabili

In questo senso, evitare la vulnerabilità significa evitare il rischio emotivo, ma anche evitare la possibilità di una connessione reale e autentica, poiché non si può costruire fiducia se non c’è esposizione emotiva reciproca.

La fiducia nasce proprio dal vedere che l’altro accoglie senza giudicare ciò che mostriamo, invece di giudicarlo o usarlo contro di noi.

Quando la relazione diventa asimmetrica 

Non tutte le persone sono in grado di sostenere relazioni basate sulla completa reciprocità. Percorsi di vita difficili, contesti familiari disfunzionali, e/o carenze emotive possono portare ad assetti relazionali sbilanciati, dove uno – il partner più equilibrato – dona ascolto, presenza e cura, mentre l’altro richiede, e pretende senza restituire.

In questo modo si viene a costituire uno scambio relazionale non reciproco, che può comportare nel tempo sfiducia, frustrazione e nei casi più gravi, anche la rottura del rapporto.

Come si costruisce la fiducia in modo sano 

La fiducia non deve essere concessa “a prescindere”, ma data solo a chi veramente la merita. Ecco come dovresti procedere:

  1. Procedi a piccoli passi. Occorre valutare, come l’altro gestisce ciò che gli condividiamo. Non raccontare a una persona che hai appena conosciuto il tuo segreto più nascosto!

  2. Osservare la coerenza comportamentale, non solo parole, ma anche nel lungo periodo. Se a parole ti dice una cosa, ma poi dopo un mese ti accorgi che ha “spifferato” tutto senza riguardi, significa che non merita la tua fiducia.

  3. Stabilire confini chiari che favoriscano sicurezza e non distanza.

  4. Riconoscere la reciprocità. Le relazioni funzionali sono circolari, e mai unidirezionali. Se l’apertura avviene solo da una parte, significa che l’altro non sta partecipando attivamente al processo relazionale, ma sta semplicemente ricevendo senza esporsi emotivamente.
    In questo caso, non si tratta più di condivisione, ma di sbilanciamento, in quanto uno mette in gioco la propria emotività, mentre l’altro la osserva da distanza di sicurezza.

Nata e cresciuta a Rosignano Solvay , appassionata da sempre per tutto quello che ruota intorno al benessere della persona. Biologa, diplomata all'I.T.I.S Mattei