Perché alcuni italiani tifano per i regimi autoritari pur vivendo in democrazia?

democrazia e totalitarismo

C’è una contraddizione che lascia spesso perplessi. In Italia milioni di persone vivono in un paese democratico, con libertà di parola, elezioni libere, diritti civili garantiti e un livello di benessere che, nonostante i problemi, resta più alto rispetto a quello di gran parte del mondo.

Eppure non mancano gli italiani che guardano con simpatia a regimi autoritari come la Russia di Putin o la Cina di Xi Jinping. Alcuni arrivano perfino a desiderare che un modello simile si affermi qui da noi, come se fosse la soluzione ai mali che percepiscono nella società.

Perché chi gode di libertà e diritti sogna sistemi politici in cui quei diritti sono negati? È solo disinformazione o c’è qualcosa di più profondo?

Il fenomeno non è marginale. Si riflette nei commenti sotto i post dei social, nei talk show televisivi e nelle discussioni da bar. È il segnale di un malessere che va ben oltre la geopolitica e che affonda le radici nella storia, nella cultura e nella psicologia collettiva del nostro paese.

Le radici culturali e storiche

Per capire il presente bisogna guardare al passato. In Italia la diffidenza verso l’Occidente non nasce oggi, ma si trascina da decenni.

Una parte consistente della cultura politica del dopoguerra ha sempre visto gli Stati Uniti e la NATO come potenze imperialiste. Questa visione è rimasta viva in molti movimenti, alimentata da movimenti pacifisti, da partiti di sinistra e destra radicale e da una narrazione che dipingeva l’Occidente come dominatore e sfruttatore.

In certi ambienti continua a vivere l’idea che i autoritari siano in fondo più “puri” rispetto alle democrazie capitaliste, viste come corrotte dalle logiche del profitto.

C’è poi un fattore tutto italiano. La diffidenza verso le élite. Molti cittadini hanno l’impressione che chi governa non lo faccia mai per il bene comune, ma per obbedire a interessi esterni, che siano Bruxelles, Washington o grandi gruppi economici.

Ecco perché per alcuni il nemico non è il regime autoritario lontano, ma la democrazia “difettosa” che hanno davanti. Una democrazia percepita come debole, inefficace e manipolata.

Un esempio emblematico è la narrativa antiamericana che ha attraversato più generazioni. Ancora oggi c’è chi parla della NATO come di un “occupante straniero”, dimenticando che senza quell’ombrello militare l’Italia avrebbe avuto meno sicurezza durante la guerra fredda. Ma quando la storia si semplifica in slogan, la percezione resta più forte dei fatti.

Il paradosso italiano del dopoguerra

Dopo la Seconda guerra mondiale l’Italia, pur essendo tra i Paesi sconfitti, è palese che non abbia subito la stessa sorte di Germania e Giappone. Non è stata divisa e non ha dovuto fare i conti con una lunga occupazione militare, oltre a non aver subito l’umiliazione di processi collettivi alla popolazione.

Anzi, grazie al Piano Marshall e alla sua posizione strategica nel mediterraneo, ha ricevuto aiuti economici enormi e ha visto nascere una nuova fase di crescita e sviluppo.

Eppure, nonostante questo trattamento relativamente favorevole, in una parte dell’opinione pubblica è rimasta la percezione di essere “colonia” degli Stati Uniti e della NATO.

Una contraddizione che mostra quanto la memoria storica e la percezione politica non coincidano sempre con i fatti concreti. È come se, invece di riconoscere i benefici dell’alleanza occidentale, una parte del paese avesse preferito coltivare il mito della sovranità perduta.

Simpatia trasversale: da sinistra a destra

Un aspetto che spesso viene sottovalutato è la trasversalità di questo fenomeno. Non riguarda solo la sinistra radicale o i movimenti antisistema. Anche una parte della destra italiana guarda con favore ai modelli autoritari, ma per motivi diversi.

A sinistra pesa il retaggio dell’antiamericanismo e dell’ideologia marxista, che da decenni vedono l’Occidente come “imperialista” e “dominato dalle multinazionali”. Da qui la simpatia per chi si oppone alla NATO e agli Stati Uniti.

A destra, invece, le motivazioni cambiano. Putin viene dipinto come difensore dei valori tradizionali, della religione e della famiglia. La Russia appare come una nazione che difende con orgoglio la propria sovranità, senza piegarsi alle pressioni di Bruxelles o Washington.

C’è poi il rifiuto del cosiddetto “politicamente corretto”, percepito come un’imposizione culturale dell’occidente. Le rigidità dei regimi autoritari sembrano, a chi guarda da destra, un antidoto a un mondo ritenuto troppo permissivo.

Infine, l’idea securitaria: meglio rinunciare a qualche libertà individuale se in cambio si ottiene ordine, stabilità e controllo dell’immigrazione.

Così, per ragioni diverse, l’ammirazione per i modelli autoritari si estende da sinistra a destra. Cambiano le giustificazioni, ma il risultato è lo stesso. Ed è proprio questa trasversalità a rendere il fenomeno ancora più pericoloso. Quando un’idea riesce a unire opposti schieramenti politici, significa che tocca corde profonde della società.

Psicologia collettiva e fascino dell’uomo forte

Accanto alle radici culturali, c’è un aspetto psicologico che non va sottovalutato. Molti italiani si sentono disillusi, impotenti e arrabbiati. Vivono in un Paese dove la corruzione sembra eterna, la burocrazia soffoca le energie e le crisi economiche si ripetono a ciclo continuo. In questo contesto, la democrazia appare spesso come un meccanismo lento, inefficace, e incapace di “mettere in riga” chi sbaglia.

Ed ecco che nasce il fascino dell’uomo forte. Un leader capace di decidere da solo, di zittire gli oppositori, e di imporre ordine e disciplina. Per molti Putin diventa l’emblema del capo che non si lascia condizionare, Xi l’uomo che guida una potenza senza farsi scalfire dalle proteste.

In cambio di sicurezza e stabilità, si è pronti a sacrificare parte della libertà. È lo stesso meccanismo che porta alcuni a dire “ci vorrebbe qualcuno che li mettesse tutti in riga”. Una frase che sembra innocua, ma che in realtà spalanca le porte al desiderio di autoritarismo.

Il ruolo dei media e della disinformazione

Non possiamo ignorare il peso che hanno oggi i media e soprattutto i social network. La rete è diventata una gigantesca cassa di risonanza, dove verità e falsità si mescolano senza filtri. E proprio lì attecchiscono le narrazioni alternative che dipingono l’Occidente come corrotto, decadente, e dominato dalle lobby finanziarie, mentre presentano Russia e Cina come baluardi di valori tradizionali e stabilità.

Basta un click per imbattersi in contenuti che ribaltano completamente la percezione della realtà. Nei gruppi Facebook o nei canali Telegram si trovano post e video che esaltano Putin come difensore della famiglia, e che presentano la Cina come società meritocratica e ordinata, e che accusano l’Occidente di essere allo sbando morale. Molti di questi contenuti sono costruiti ad arte da apparati di propaganda, ma ciò non impedisce a tanti di condividerli e crederci.

La fiducia nei media tradizionali è ai minimi storici. Quotidiani, televisioni e persino telegiornali vengono percepiti come strumenti al servizio del potere. Così, per una parte degli italiani, il discorso “ufficiale” è automaticamente sospetto. Se i giornali dicono che Putin è un dittatore, allora c’è chi pensa che la verità sia l’opposto. È il trionfo del ribaltamento logico.

Ecco un esempio pratico. Durante l’invasione russa, circolavano immagini e notizie palesemente false. Eppure migliaia di persone le condividevano, convinte che fossero più autentiche delle cronache dei corrispondenti di guerra. Non conta quanto sia credibile una fonte, ma quanto rispecchia la mia diffidenza verso “i poteri forti”.

Benessere materiale e percezione di declino

Un altro tassello fondamentale riguarda la distanza tra realtà economica e percezione soggettiva. È vero che in Italia, rispetto a Russia o Cina, i cittadini godono di maggiori libertà civili, di stipendi medi più alti, di un welfare comunque esistente, nonché di un’aspettativa di vita tra le più alte al mondo. Eppure molti vivono con la sensazione di essere in declino, e di perdere terreno anno dopo anno.

Perché accade? Le cause sono molteplici:

  • Il lavoro è spesso precario, e la sicurezza economica che garantiva il “posto fisso” è ormai un miraggio.

  • I giovani faticano a trovare spazi e prospettive, alimentando il senso che il futuro sia già compromesso.

  • Le crisi economiche degli ultimi decenni hanno logorato la fiducia nelle istituzioni e nel mercato.

  • I confronti con il passato portano a pensare che “si stava meglio una volta”.

Ecco allora che l’Italia, pur essendo un paese libero e benestante, viene percepita da molti come fragile e in declino. In questa cornice psicologica, i modelli autoritari appaiono, anche se solo in superficie, più solidi e capaci di garantire stabilità.

È un’illusione che fa presa soprattutto in tempi di incertezza.

Cultura del tifo e polarizzazione

In Italia la politica e i rapporti internazionali spesso si riducono a una partita da stadio. Non si ragiona più in termini di analisi, ma di tifo. Se l’Occidente è “la squadra del sistema”, allora alcuni scelgono per forza la squadra opposta. Non importa chi gioca meglio o chi rispetta le regole, l’importante è stare dall’altra parte.

Questo atteggiamento si traduce in due effetti principali:

  • Il desiderio di distinguersi diventa un’identità. Non sto con la maggioranza, quindi mi sento più libero, più critico e più “sveglio”.

  • La polarizzazione interna trasforma i rapporti internazionali in un campo di battaglia ideologico domestico. Chi sostiene la NATO è bollato come servo degli Stati Uniti, e chi guarda con simpatia a Mosca o Pechino viene visto come nemico della patria.

La discussione smette di essere razionale e diventa emotiva, quasi calcistica. E questo alimenta ancora di più le divisioni. Invece di discutere su fatti e strategie geopolitiche, ci si insulta a colpi di slogan. “Putin è un dittatore” contro “l’Occidente è marcio”. Una dialettica che non spiega nulla e che lascia spazio solo a tifoserie contrapposte.

Alla fine il rischio è di ridurre temi complessi a cori da curva, dimenticando che in gioco non c’è una coppa, ma il futuro democratico del Paese.

Conclusione

Il vero pericolo non è tanto che alcuni italiani simpatizzino per la Russia o per la Cina. Il pericolo è che, a forza di delegittimare la democrazia, si perda fiducia nel modello democratico stesso.

La libertà non è perfetta, non garantisce sempre ordine e benessere immediato, e spesso appare lenta e farraginosa, tuttavia resta lo strumento che permette di cambiare, di criticare e di migliorare. I regimi autoritari, al contrario, promettono ordine e stabilità in cambio della rinuncia ai diritti. Un patto che, una volta firmato, non si può più stracciare.

E allora la domanda resta sospesa. È davvero libertà scegliere di rinunciare alla libertà?

La risposta sta nella capacità di guardare oltre la rabbia e la disillusione, riconoscendo che la democrazia, pur con tutti i suoi difetti, resta il terreno più fertile su cui costruire un futuro libero e più giusto.

Nata e cresciuta a Rosignano Solvay , appassionata da sempre per tutto quello che ruota intorno al benessere della persona. Biologa, diplomata all'I.T.I.S Mattei