L’impotenza appresa: quando la mente smette di credere di poter cambiare la realtà
Ti è mai capitato di sentirti bloccato in una situazione negativa, pur sapendo che teoricamente potresti provare a cambiarla? Oppure di vedere persone che sembrano rassegnate alla propria condizione, senza tentare nuove strade?
Questa condizione non dipende dalla forza di volontà, ma è legata a un meccanismo psicologico ben studiato: l’impotenza appresa. Il termine è stato introdotto alla fine degli anni ’60 dallo psicologo Martin Seligman, che scoprì come, dopo ripetuti fallimenti o situazioni percepite come incontrollabili, le persone possono arrivare a credere che i loro sforzi non facciano alcuna differenza.
Quando questo accade, si sviluppa una sorta di RESA INTERIORE: un cedimento silenzioso, spesso invisibile a chi ci sta intorno, ma profondamente potente nel modo in cui condiziona decisioni e comportamenti futuri.
Non smettiamo di agire perché non vogliamo cambiare, ma perché abbiamo interiorizzato il pensiero, che non vale più la pena provarci.
Le radici dell’impotenza appresa
La scoperta di questo fenomeno nasce da una serie di esperimenti condotti da Martin Seligman sugli animali. Seligman notò che quando alcuni cani, venivano sottoposti a scosse elettriche dalle quali non potevano sfuggire, smettevano progressivamente di cercare una via di fuga.
In seguito, anche quando veniva data loro la possibilità di evitare la scossa, rimanevano immobili, come se avessero interiorizzato l’idea che ogni tentativo fosse inutile.
In altre parole, avevano imparato che ogni sforzo era inutile e quindi avevano appreso una sorta di impotenza.
Questo accade perché il cervello impara attraverso tentativi ed errori. Se ripetiamo un’azione e ogni volta otteniamo un risultato negativo, il cervello registra quell’esperienza come “uno spreco di tempo ed energie”. Se la stessa sequenza si ripete molte volte, la mente arriva a questa conclusione:
“Provare non serve a nulla.”
Lo stesso meccanismo si osserva anche negli esseri umani. Quando una persona vive ripetutamente situazioni che percepisce come incontrollabili – fallimenti continui, tentativi ignorati – può arrivare a conclusioni quali:
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“Non ho alcun potere su ciò che mi accade.”
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“Non serve provarci, tanto il risultato non cambia.”
Con il passare del tempo, non è solo il comportamento a cambiare, ma anche la percezione di sé e del mondo. La persona non smette di agire perché non vuole, ma perché ha appreso che agire non fa alcuna differenza.
I meccanismi psicologici coinvolti
L’impotenza appresa non nasce all’improvviso, ma rappresenta il risultato di tre processi mentali ben definiti:
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Attribuzione del fallimento a sé: La persona crede che gli insuccessi dipendano da caratteristiche personali (“Non valgo”, “Non sono in grado”).
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Generalizzazione del fallimento: Una difficoltà in un’area viene estesa a molte altre (“Non sono capace in niente”).
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Stabilità della causa: Il fallimento viene percepito come permanente (“Sarò sempre così, non posso cambiare”).
Questo processo porta a un crollo dell’autoefficacia, cioè della convinzione di essere in grado di influenzare ciò che accade nella propria vita. L’autoefficacia non riguarda solo “quanto ci sentiamo capaci”, ma il modo in cui interpretiamo la relazione tra le nostre azioni e i risultati che otteniamo.
Quando è alta, pensiamo:
“Se mi impegno, posso cambiare la situazione.”
Quando è bassa, pensiamo:
“Non importa cosa faccio, non cambierà mai nulla.”
L’autoefficacia è quindi il motore della motivazione.
Cosa succede quando l’autoefficacia crolla
Quando la persona interiorizza il messaggio che “i miei sforzi tanto non servono a nulla”, si instaurano tre effetti principali:
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Perde la motivazione ad agire: Se agire non porta risultati, smettere di agire sembra la scelta più logica.
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Riduce i tentativi futuri: Si evitano opportunità, sfide, e cambiamenti. Non perché non si vogliono… ma perché si pensa di non poterli gestire.
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Si restringe la visione del possibile: Le alternative sembrano poche, e le strade realmente percorribili appaiono alquanto limitate.
Quando l’impotenza appresa diventa esperienza quotidiana
Questo fenomeno può svilupparsi in contesti di vita molto diversi:
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Relazioni difficili in cui i tentativi di cambiare vengono ignorati.
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Fallimenti scolastici o lavorativi ripetuti.
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Ambienti familiari critici o svalutanti.
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Situazioni economiche e sociali percepite come immutabili.
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Disturbi emotivi come ansia e depressione.
In molti casi, la persona non si accorge che sta “rinunciando”: interpreta la propria resa come un dato oggettivo, non come un effetto psicologico.
I segnali dell’impotenza appresa
Ecco alcuni segnali tipici da osservare in sé o negli altri:
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Difficoltà ad iniziare nuovi progetti.
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Percezione di non avere controllo sulla propria vita.
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Bassa motivazione.
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Sfiducia nelle proprie capacità.
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Tendenza a chiedere agli altri di decidere.
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Frasi ricorrenti come: “Tanto non serve a niente”; “Sono fatto così”; “È inutile provare”
Effetti sulla salute mentale
L’impotenza appresa è un forte fattore di rischio per:
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Depressione
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Ansia
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Auto-svalutazione
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Procrastinazione e blocco emotivo
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Difficoltà nelle relazioni
Si può superare? Sì, ecco come!
Non devi farcela da solo! Nessuno ricostruisce l’autoefficacia in isolamento.
Conclusione
L’impotenza appresa nasce quando ci troviamo più volte in situazioni in cui, nonostante i nostri tentativi, non riusciamo a influenzare ciò che accade.
In quei momenti, la mente impara a proteggersi riducendo lo sforzo, come se volesse dire: “Non sprecare energia inutilmente, non farti male di nuovo. La buona notizia è che, proprio perché si tratta di qualcosa che abbiamo imparato nel tempo, può anche essere disimparata.
Il primo passo è riconoscere il meccanismo: occorre recuperare la consapevolezza di poter incidere attivamente sulla propria vita. e questo non avviene chiedendosi se si è “abbastanza capaci”, ma interrogandosi sulle esperienze che ci hanno portato a credere di non esserlo.
Invece di dire: “Ce la faccio o no?”, chiediti: “Quand’è che ho iniziato a pensare che non potessi farcela?”



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