Le viti potrebbero rappresentare un’alternativa rivoluzionaria agli imballaggi in plastica
Chi l’avrebbe mai detto? Ciò che fino a ieri veniva potato e bruciato nei vigneti, domani potrebbe diventare la pellicola che avvolge la nostra spesa… per poi sparire senza lasciare traccia!
Un’innovazione sorprendente arriva dall’Università Statale del South Dakota (SDSU), dove un gruppo di ricercatori guidato dal professor associato Srinivas Janaswamy, in collaborazione con l’esperta di viticoltura Anne Fennell, ha sviluppato un materiale biodegradabile ricavato dalle potature della vite.
Una pellicola che imita la plastica in tutto e per tutto, ma con una differenza cruciale: si decompone naturalmente in poco più di due settimane.
Il grande problema della plastica
Non possiamo nascondercelo: la plastica è comoda, economica e onnipresente, tuttavia dietro questa praticità si cela un’enorme emergenza ambientale. La maggior parte degli imballaggi, infatti:
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viene usata una sola volta e poi gettata,
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deriva dal petrolio,
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resiste per secoli nelle discariche e negli oceani,
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si frammenta in micro e nanoplastiche che finiscono negli animali, nelle persone e perfino nei nostri organi.
Il simbolo di questo disastro ambientale è rappresentato dal Great Pacific Garbage Patch: la gigantesca “isola” di plastica che galleggia nell’oceano Pacifico.
Tra tutti gli oggetti di plastica che usiamo ogni giorno, uno dei più problematici è senza dubbio il sacchetto della spesa: comodo, leggero ed economico, tuttavia quasi impossibile da riciclare e tra i più dispersi nell’ambiente.
Avere un materiale sostitutivo che si comporti come la plastica, ma che scompaia in pochi giorni, potrebbe davvero cambiare le regole del gioco.
La visione del packaging in cellulosa
Il laboratorio di Janaswamy lavora da anni su una missione precisa, che comprende quello di ridare valore a ciò che normalmente consideriamo scarto. Non è la prima volta che i ricercatori provano a trasformare i residui agricoli in risorse utili.
L’idea alla base è tanto semplice quanto rivoluzionaria: perché bisogna buttare via tonnellate di bucce, gusci e avanzi vegetali, quando al loro interno si nasconde la cellulosa, uno dei materiali più abbondanti e versatili che la natura ci offre?
Così hanno iniziato a sperimentare con tutto ciò che l’agricoltura produce in eccesso: bucce di avocado, gusci di soia, fondi di caffè già usati, bucce di banana, pannocchie di mais, nonché l’erba medica. Tutte queste “scorie” che normalmente finiscono in compost o rifiuti possono invece diventare la base per estrarre cellulosa, il polimero organico che costituisce l’ossatura delle piante.
La cellulosa è, infatti, una sorta di “mattoncino universale” della vita vegetale in quanto è abbondante, rinnovabile e completamente biodegradabile. Con la giusta lavorazione può trasformarsi in sottili pellicole trasparenti, perfette per sostituire gli imballaggi plastici.
Come dice lo stesso Janaswamy:
“Estraendo cellulosa da prodotti agricoli, si possono creare prodotti a valore aggiunto, riducendo sprechi e creando nuove opportunità per la bioeconomia circolare”.
Dal vigneto al packaging
L’idea di usare le viti è nata da un’intuizione della professoressa Fennell. Ogni inverno, infatti, nei vigneti viene potata gran parte della biomassa. La maggior parte di queste canne di vite viene trinciata e sparsa sul terreno come compost, oppure bruciata. Ma Fennell si è chiesta: “Perché non sfruttarle per creare pellicole utili e sostenibili?”
A differenza di altri materiali agricoli ricchi d’acqua, le potature della vite hanno un alto contenuto di cellulosa e poca umidità. In altre parole, sono perfette per essere lavorate.
Il processo è semplice ma ingegnoso:
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le canne vengono essiccate e macinate,
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da esse si estrae una cellulosa simile al cotone,
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il materiale viene solubilizzato e colato su lastre di vetro,
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il risultato è un sottile foglio trasparente, pronto a diventare imballaggio.
Forte come la plastica, ma destinato a svanire
I test di laboratorio hanno dato risultati sorprendenti. Le pellicole ricavate dalla vite sono:
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trasparenti in quanto permettono di vedere i prodotti sullo scaffale senza aprire la confezione,
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resistenti, addirittura più forti dei comuni sacchetti di plastica nelle prove di trazione,
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biodegradabili in quanto in soli 17 giorni spariscono senza lasciare residui tossici.
Perché la cellulosa è così speciale?
La cellulosa è la spina dorsale del mondo vegetale. È abbondante, rinnovabile e spesso sprecata. Pensiamo al cotone, composto quasi interamente da cellulosa, o al legno, che ne è ricchissimo.
Utilizzare questi sottoprodotti non significa sottrarre nuove risorse, ma dare valore a ciò che già esiste. È un approccio che si inserisce perfettamente nella logica della bioeconomia circolare.
Imballaggi pensati per scomparire
L’obiettivo finale del laboratorio di Janaswamy è chiaro: hanno come obiettivo quello di creare una borsa della spesa che faccia il suo dovere e poi scompaia.
Il bello è che a seconda della pianta da cui si estrae la cellulosa si possono modulare trasparenza, resistenza e facilità di lavorazione. Nel caso delle viti, il risultato è particolarmente equilibrato.
Come sottolinea Janaswamy:
“Usare le potature della vite come fonte di cellulosa non solo migliora la gestione dei rifiuti agricoli, ma offre una soluzione concreta all’inquinamento da plastica”.
Ecco i prossimi passi da seguire
Naturalmente, la strada verso la produzione su larga scala non è ancora finita. Serviranno:
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una fornitura costante di materia prima,
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processi di estrazione efficienti,
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linee di produzione industriale capaci di rispettare gli standard di sicurezza alimentare,
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la fiducia dei rivenditori, che chiedono uniformità,
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e quella dei consumatori, che vogliono convenienza e familiarità.
I primi risultati, però, sono più che promettenti! La prospettiva è quella di sostituire la plastica con una pellicola che svanisce in 17 giorni!
Conclusione
Questa nuova pellicola non eliminerà da sola tutto l’inquinamento causato dalla plastica, tuttavia rappresenta un passo importante verso scaffali più puliti, oceani più sicuri e un pianeta più sano.
Ed è affascinante pensare che la soluzione arrivi proprio dalla vite, una pianta che da millenni accompagna la nostra cultura e le nostre tavole.



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