Un QI alto funge da fattore predittivo per la tolleranza e la libertà di pensiero?
Secondo le ricerche condotte da Satoshi Kanazawa, – psicologo evoluzionista britannico – gli individui con un quoziente intellettivo più elevato tenderebbero ad abbracciare valori “più nuovi” dal punto di vista evolutivo. Ma cosa significa esattamente?
In poche parole, Kanazawa sostiene, che la mente umana più brillante sarebbe più propensa ad allontanarsi dai comportamenti, e dai valori tipici delle epoche più antiche, per avvicinarsi invece, a ideali più recenti e complessi. È un po’ come se l’intelligenza, fungesse da predizione morale e culturale.
Secondo Kanazawa, chi possiede un QI elevato tende a mostrare una maggiore inclinazione verso alcuni valori, quali:
-
ALTRUISMO UNIVERSALE: cioè la capacità di provare empatia, non solo per i propri cari, ma anche verso l’intera umanità.
-
APERTURA ALL’UGUAGLIANZA SOCIALE: ovvero, il riconoscimento del diritto di tutti a una vita dignitosa, senza privilegi basati su razza, genere o status.
-
LAICISMO: inteso come separazione tra la sfera religiosa e quella pubblica, e come libertà di pensiero nei confronti dei dogmi.
-
RISPETTO DEI DIRITTI LGBTQ+: simbolo di una mentalità aperta, flessibile, e capace di riconoscere la diversità, come valore e non come minaccia.
Questi tratti, secondo la teoria evoluzionista, si sarebbero sviluppati solo di recente. Per millenni, infatti, la sopravvivenza è dipesa dalla lealtà verso il proprio gruppo, dalla conformità, e dalla protezione reciproca all’interno di cerchie ben ristrette.
Oggi, invece, in un mondo globalizzato, queste caratteristiche un tempo inutili, sono diventate un vantaggio cognitivo e sociale molto importante. La sopravvivenza – e soprattutto il progresso – non dipendono più dalla chiusura, ma dalla capacità di cooperare con chi è diverso, di adattarsi a culture multiple, e di comprendere prospettive anche molto lontane dalle nostre.
In altre parole, ciò che un tempo era “strano” o addirittura ritenuto “pericoloso”, oggi può essere la chiave stessa dell’evoluzione umana.
Una mente più curiosa verso il nuovo
Kanazawa descrive l’intelligenza, come una sorta di forza che orienta l’individuo verso comportamenti “non istintivi”. Gli individui più intelligenti sarebbero quelli maggiormente pronti a mettere in discussione ciò che è ritenuto “naturale”, cioè ciò, che l’evoluzione ha impresso in noi milioni di anni fa.
In altre parole, una maggiore intelligenza sarebbe in grado di farci percorrere anche strade meno battute, che l’istinto cerca di farci evitare.
Pensaci bene: un altruismo che si estende anche a persone sconosciute, o il rispetto di chi ama in modo diverso da noi, non apportano vantaggi immediati alla sopravvivenza individuale.
Eppure, chi possiede una mente più acuta sembra trovarli più naturali. Forse perché l’intelligenza non serve solo a “sopravvivere”, ma anche a immaginare mondi migliori.
Tuttavia, se da un lato un QI più alto spinge verso comportamenti più aperti, dall’altro, può anche causare un forte senso di alienazione . Questo, perché in una società dove dominano maggiormente i valori più tradizionali, essere troppo avanti mentalmente, può portare a un senso di frustrazione e smarrimento.
In fondo, l’intelligenza non è sempre un biglietto per la felicità. Come scriveva Schopenhauer, “maggiore è l’intelligenza, maggiore è la capacità di soffrire”.
Gli studi di Kanazawa e i loro risultati
Nel suo celebre articolo “Why Liberals and Atheists Are More Intelligent” pubblicato nel 2010 su Social Psychology Quarterly, Kanazawa analizzò diversi set di dati longitudinali provenienti dal Regno Unito e dagli Stati Uniti.
L’obiettivo era capire se esistesse una relazione tra livello di intelligenza e orientamenti morali, politici e religiosi. I risultati indicarono che, in media, gli individui con un QI più elevato tendevano a definirsi più liberali, atei o agnostici, e più propensi ad adottare valori, come l’altruismo universale e la tolleranza verso gruppi minoritari.
L’idea centrale era che le persone più intelligenti sarebbero più inclini a comportamenti e convinzioni, che non offrono vantaggi immediati per la sopravvivenza, ma che riflettono un pensiero più astratto e universale.
Un altro studio, “Intelligence and Substance Use” , indagò invece la relazione tra QI e consumo di sostanze. In modo sorprendente, Kanazawa e Hellberg trovarono che gli individui con QI più alto avevano una maggiore probabilità di provare alcol, tabacco o droghe leggere almeno una volta nella vita.
L’interpretazione? Le persone più intelligenti tendono a sperimentare comportamenti nuovi o “non naturali” dal punto di vista evolutivo, anche se potenzialmente rischiosi.
Infine, nell’articolo “Evolutionary Psychology and Intelligence Research” pubblicato su American Psychologist, Kanazawa propose una sintesi teorica di queste osservazioni: secondo lui, l’intelligenza umana si sarebbe evoluta per risolvere problemi nuovi, e non per gestire situazioni ricorrenti.
Da qui la sua tesi: chi possiede un QI più alto è più predisposto ad accettare idee o comportamenti che vanno oltre l’istinto, l’abitudine o la tradizione.
In breve, gli esperimenti di Kanazawa disegnano un quadro provocatorio: l’intelligenza non solo aiuta a comprendere il mondo, ma anche a immaginare mondi diversi, dove ciò che un tempo sembrava innaturale — come l’altruismo universale o la libertà di pensiero — diventa parte del progresso umano.
Quando l’intelligenza prende strade diverse
Quando si parla degli studi di Kanazawa (e in generale della psicologia evoluzionista), non si tratta mai di leggi assolute, ma di tendenze statistiche.
Quindi sì: mediamente, gli individui con un QI più elevato tendono a mostrare una maggiore apertura verso valori come l’altruismo universale, la laicità, l’uguaglianza sociale e il rispetto dei diritti LGBTQ+, tuttavia questo non significa affatto, che tutte le persone intelligenti condividano questi valori, o che chi non li condivide abbia un QI basso, oppure, che chi condivide questi valori abbia automaticamente un QI più elevato.
L’intelligenza è solo uno dei tanti fattori che influenzano i valori di una persona. Entrano in gioco anche:
-
L’ambiente familiare e culturale (una mente brillante cresciuta in un contesto chiuso può interiorizzare valori più tradizionalisti);
-
Le esperienze di vita (traumi, educazione, esperienze religiose, nonché contesti sociali).
-
La personalità (ad esempio l’apertura mentale o il bisogno di controllo). Una persona più ansiosa sarà più propensa verso i valori tradizionali.
-
L’influenza dei gruppi di appartenenza (politici, religiosi, ideologici).
Perciò, sarebbe più corretto dire, che tendenzialmente un QI più elevato si associa a una maggiore predisposizione verso quei valori “nuovi” dal punto di vista evolutivo.
Conclusione
Trovo affascinante l’idea che il cervello possa evolversi non solo per adattarsi, ma anche per superare l’adattamento stesso. L’intelligenza, in questo senso, non rappresenta soltanto la risposta ai problemi della vita, ma rappresenta anche, quella spinta che ci spinge a porci nuove domande.
Forse, è proprio grazie a quelle menti che si sono ribellate alla normale convenzionalità, se oggi possiamo parlare di diritti civili, di giustizia sociale, nonché di libertà individuale.
Post Comment
You must be logged in to post a comment.